il Punto Coldiretti

Vertice a Roma con presidenti e direttori, ecco la Coldiretti del futuro

Una strategia d’attacco interna ed esterna. E’ quella messa a punto dalla Coldiretti e condivisa, in occasione della plenaria, con i vertici regionali e provinciali. Un incontro che il presidente Ettore Prandini e il segretario generale Vincenzo Gesmundo hanno voluto con una formula nuova. Spazio agli interventi dei dirigenti di regioni e province in coerenza con la visione dell’organizzazione proiettata proprio sui territori.

Ad aprire l’incontro il segretario generale Vincenzo Gesmundo che ha indicato due priorità. La prima di continuare a lavorare per aumentare sempre di più la reputazione della Coldiretti che ha già raggiunto livelli elevatissimi.

La seconda che prevede un percorso difficile, complesso di vera e propria guerra per la difesa dell’ agricoltura che oggi è sotto attacco. Insidiata dal cibo artificiale.

Si parte dunque proprio dal cibo per rafforzare la strategia della Coldiretti. Il presidente Ettore Prandini ha evidenziato la necessità di dare un giusto valore alle produzioni alimentari. Per anni – ha detto – il cibo è stato considerato come un elemento scontato. E se si riducevano le coltivazioni, nessun problema, c’era l’import. Magari a basso costo. Il problema per Prandini è proprio questo: il cibo costa troppo poco e “se non ci riappropriamo della giusta remunerazione sarà difficile intraprendere le nuove sfide”.

Bisogna dunque puntare su sostenibilità, formazione e innovazione. Occorre saldare il rapporto con la scuola e i giovani. Il presidente della Coldiretti ha anche affrontato il tema del calo demografico “se un Paese invecchia, senza ripresa delle nascite anche i consumi calano”. E sulla riduzione dei consumi ha citato il caso dell’ortofrutta che ha perduto nel periodo 2017/2021 mezzo milione di tonnellate e altrettante solo nel 2022.

Prandini ha poi ribadito la filosofia della Coldiretti e cioè di portare sempre più in alto l’asticella delle sfide. “La nostra idea del futuro è radicata nel nostro passato. La nostra è una storia di biodiversità, distintività che si contrappone al cibo sintetico. Alla fine degli anni Ottanta – ha ricordato – si è rischiato il crollo del sistema agricolo seguendo esclusivamente i dettami della scienza. Non sappiamo a quale deriva andiamo incontro con i cibi sintetici”. Da tempo Coldiretti denuncia che intorno a questo business si stanno costituendo nuove figure di oligarchi. Il dovere della Coldiretti- è stato riaffermato – è di andare oltre i confini della nazione.

“Se non avessimo parlato noi di questa nuova emergenza non lo avrebbe fatto nessuno”. Coldiretti dunque sempre avanti. Lo ha fatto con l’emergenza idrica lanciando anni fa il piano laghetti. “Stiamo lavorando – ha spiegato il presidente – per rafforzare l’opportunità del progetto invasi che abbiamo presentato da tempo, ma abbiamo avuto a che fare con la politica che fino a che non tocca il disastro non si muove”.

Si punta poi ad aprire su nuove filiere come quella del legno per generare valore nelle aree interne e montane. Le idee per preservare l’agricoltura nelle aree difficili e rispondere così anche agli smottamenti idrogeologici ci sono. C’è interesse a investire nelle rinnovabili anche per rafforzare i redditi degli agricoltori. Sul fotovoltaico però Coldiretti ha riaffermato un no secco ai pannelli a terra. Un altro cavallo di battaglia resta Campagna Amica con l’obiettivo di avere una presenza in tutte le province perché i mercati danno visibilità e soprattutto offrono la possibilità di un contatto diretto con i consumatori.

Quel rapporto saldato nel periodo duro della pandemia quando è stato più che mai evidente il ruolo sociale della Coldiretti: “Abbiamo trasmesso serenità rassicurando i consumatori che il cibo non sarebbe mancato, assumendoci anche una grande responsabilità. E abbiamo evitato gli assalti ai supermercati che, per esempio, ci sono stati in Gran Bretagna”.

Sull’estero poi l’organizzazione sta giocando molte delle sue carte. Perché l’idea dell’internazionalizzazione non si esaurisce nella vendita del prodotto. Si vende il valore dell’italianità che è quello che spinge tanti gruppi e fondi esteri ad acquistare, per esempio, aziende italiane del vino.

Se si gioca al ribasso si spiegano anche gli accordi di libero scambio come quello con il Mercosur che non riconosce la distintività delle produzioni. L’idea di internazionalizzazione che Coldiretti porta avanti è improntata a una logica diversa che vede l’export anche come cultura e conoscenza.

La Coldiretti è stata la sola ad avere il coraggio di sfidare Timmermans con argomenti scientifici per dire veramente come stanno le cose. Ma si guarda anche oltre i confini europei. Per esempio all’Africa, ma in un’ottica diversa da quei Paesi che finora hanno solo occupato i territori. Così come è stato avviato un rapporto con Israele centrato sull’innovazione.

Per sostenere queste sfide è fondamentale la formazione e su questo Coldiretti è fortemente impegnata. Prandini ha citato Oscar Green che – ha detto – “è l’orto dove coltiviamo le intelligenze”.

La linea, condivisa pienamente da tutta la dirigenza, è chiara e ben delineata. Ma i vertici non si sono nascosti le tante difficoltà e insidie. Presidenti e direttori hanno fatto quadrato sulla battaglia al cibo finto visto come il male assoluto. Troppi però gli interessi in campo sono tanti, con il rischio, secondo Gesmundo, che la produzione in provetta di latte e formaggi possa far gola anche a qualche industriale italiano che magari vede in questa produzione la possibilità di “tagliare” i rapporti con gli allevatori. Il segretario generale ha ricordato che quando la Coldiretti ha iniziato a parlare di questo pericolo sembrava quasi fantascienza. Ma oggi sul cibo sintetico non si tratta più solo di progetti.

In Danimarca la torre da 80 metri del bioreattore è già in costruzione e una volta a regime lo stabilimento potrà rifornire tutta l’Europa di latte finto. Gesmundo ha sottolineato poi come alcune scelte volute soprattutto dal vice presidente della Commissione europea Frans Timmermans, dai fitofarmaci agli imballaggi, vadano proprio nella direzione di smantellare il sistema agricolo. L’accusa è sempre la stessa: gli allevamenti inquinano, senza però dire che queste nuove industrie del cibo ultra processato inquinano molto di più. La narrazione si costruisce sulla sostenibilità che è diventata l’esca. Il cibo tende sempre più a diventare un orpello, se non un medicinale. Tutto nel segno si quello che è stato definito “soluzionismo tecnologico”.

Insomma la questione agricola non è più solo alimentazione e tenuta sociale ed economia, ma un sistema complesso che se prende una direzione sbagliata può mettere a rischio l’intero pianeta.​

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