il Punto Coldiretti

Preoccupazioni per le trivellazioni in Sardegna, territorio a rischio

Il 21 marzo a Sassari si è svolto un incontro organizzato dalla Fondazione Antonio Segni sulle prospettive energetiche per la Sardegna. Il convegno, dal titolo “L’energia in Sardegna: vecchi problemi e nuove prospettive”, ha rappresentato  un’occasione per approfondire il dibattito, sempre più di attualità, sulla sostenibilità ambientale ed economica degli investimenti energetici.

All’incontro hanno partecipato  ambientalisti, agricoltori, amministratori e  tecnici, mentre, piuttosto inaspettatamente, non è intervenuta la Saras, la società promotrice del progetto Eleonora,  caratterizzato dalla verifica delle potenzialità estrattive del gas naturale nell’oristanese. L’assenza della Saras deve considerarsi di particolare rilievo, visto che l’iniziativa di Sassari era stata lanciata proprio con l’obiettivo di aprire un confronto in merito alla realizzazione dei pozzi esplorativi per la ricerca di idrocarburi nel comune di Arborea (OR).

Nell’ambito dei lavori, dunque, numerosi soggetti interessati, per lo più “contrari” all’iniziativa, hanno avuto modo di esprimere le proprie motivazioni. In relazione alla realizzazione del pozzo esplorativo, occorre rilevare, infatti, che dallo studio di impatto ambientale presentato dalla società proponente, risulta che, nonostante la predisposizione di azioni rivolte a raggiungere i migliori risultati con il minore sacrificio possibile per l’ecosistema e la tutela dell’ambiente, i metodi di gestione e realizzazione del progetto non sembrano sufficienti ad impedire effetti destabilizzanti sulle componenti ambientali e sulle attività agricole condotte con costanza e profitto sul territorio interessato. 

La scelta di posizionare la sonda estrattiva a poche centinaia di metri da una zona di salvaguardia e a pochi chilometri dalla costa e dal centro abitato, si pone, infatti, in evidente contrasto con l’intenzione, manifestata dalla società, di operare nel più ampio rispetto dell’ecosistema. In particolare, non si sono stati attentamente valutati gli effetti che, tanto nel breve, quanto nel lungo periodo, possono verificarsi a seguito dell’avvio dei lavori di posizionamento dell’impianto, visto che, come è noto, l’ecosistema si sviluppa sulla base di un complesso e delicato insieme di equilibri tra organi viventi e ambiente circostante, e risulta particolarmente sensibile alle alterazioni del territorio, seppur di breve periodo.

Appare, dunque, evidente come le aree protette siano destinate a subire le contaminazioni (in termini di rumori, sversamenti accidentali, fluidi utilizzati per la perforazione, rifiuti prodotti) provocate dalla messa in atto del pozzo esplorativo. Alla luce di una valutazione complessiva e condotta nel lungo periodo, occorre rilevare, inoltre, che le attività di esplorazione sono comunque  finalizzate alla successiva attività di estrazione di gas naturale e, dunque, ad un’attività non più circoscritta al breve periodo, e che, quindi, il progetto della Saras è parte di un insieme di altri progetti, molti dei quali facenti capo alla medesima società, aventi ad oggetto ulteriori e distinte attività di ricerca nel territorio sardo.

In conclusione, sembrerebbe che la realizzazione di un impianto per l’estrazione del gas naturale non possa giustificarsi solo al fine di dotare la Regione di un’eventuale fonte autonoma di produzione energetica, non solo per la scelta di ubicare il pozzo nei pressi di un’area SIC e ZPS e accanto alla fascia costiera, ma anche perché il progetto si pone in netto contrasto con l’esigenza di proteggere le possibili forme di sviluppo sostenibile dei territori attraverso il ricorso alle fonti di energia rinnovabile, ostacolando, inoltre, le iniziative dirette a garantire il rispetto delle antiche tradizioni agricole e zootecniche dell’isola.

La rilevante produzione ortofrutticola di qualità che caratterizza la zona, infatti, concorre in modo consistente al  fatturato annuo del territorio, valutato in oltre 200 milioni di euro. Occorre ricordare, inoltre, che le attività di estrazione sono la causa principale del fenomeno della “subsidenza”, che determina una compattazione dei terreni interessati dovuta all’iniezione di acqua proveniente dagli acquiferi nel giacimento sovrastante contenente il gas.

Tra l’altro, la genesi del territorio sardo è tale che il fenomeno della subsidenza è ampiamente presente e l’eventuale attività di trivellazione ed estrazione potrebbe causarne un drastico peggioramento, con conseguenze irreversibili sull’ambiente, sulle aree costiere o bonificate, sugli edifici, determinando, inoltre, il malfunzionamento dei sistemi di bonifica e il danneggiamento dei pozzi. In breve, sembra proprio che la popolazione che risiede e lavora nell’area interessata sia orientata ad esprimere una sostanziale e motivata contrarietà alle trivellazioni, in quanto non vede in questa attività un modello di sviluppo sostenibile per il territorio.

La questione è stata particolarmente sottolineata anche dalla Coldiretti che, nell’ambito del convegno e per mezzo dei suoi dirigenti locali, ha dichiarato: nella zona coinvolta dal progetto Eleonora si produce il 10 per cento dell’agroalimentare sardo. Cosa direbbero a Porto Rotondo se si proponesse qualcosa di simile? Quando si fanno le valutazioni di impatto, oltre a quelle di tipo ambientale, andrebbero fatte anche quelle di tipo socio-economico, sulla base degli interessi e degli investimenti delle attività locali, prima tra tutte quella agricola.

E’ chiaro, allora, come l’interrogativo che emerge da queste dichiarazioni debba considerarsi anche su un piano più generale: su quali elementi si intende basare lo sviluppo economico di un territorio? Non è questo il ruolo principale della politica in ambito regionale? Su questo profilo, allora, la vicenda esce dall’ambito dell’interesse esclusivamente sardo e va ad inserirsi in un ragionamento che interessa tutto il territorio nazionale. Il tema, infatti, è quello dell’integrazione degli impianti energetici nel territorio e della creazione di modelli di sviluppo compatibili con le attività e le aspettative della popolazione locale.

In Sardegna, come in altre numerose regioni, infatti, la situazione è particolarmente preoccupante per la crescita dei contenziosi legati a tentativi di diffusione incontrollata di infrastrutture ed impianti sul territorio, molti dei quali legati anche a particolari tipologie di fonti energetiche rinnovabili. Si è partiti dai grandi impianti eolici e dal fotovoltaico a terra, per arrivare ai pozzi di estrazione degli idrocarburi e, più recentemente, anche agli impianti solare-termodinamici. La maggior parte di queste tecnologie, infatti, oltre a caratterizzarsi con un elevato impatto ambientale e con un grande consumo di suolo agricolo, si è dimostrata particolarmente suscettibile ad essere gestita senza prevedere effettivi ritorni per l’economia locale.

Si tratta di un problema che si acuisce particolarmente in presenza di carenze, specialmente a livello regionale, nell’attuazione degli strumenti di pianificazione territoriale ed energetica. Se nel caso specifico delle trivellazioni previste nel comune di Arborea sembra che gli effetti destabilizzanti sulle componenti ambientali e sulle attività agricole siano troppo pesanti per giustificarne la realizzazione, la preoccupazione sulle modalità di valutazione dell’effettivo livello di integrazione territoriale degli impianti e delle infrastrutture energetiche andrebbe estesa a molti altri esempi.

Per quanto riguarda gli impatti degli impianti a fonti rinnovabili, si segnala come, ad esempio, le linee guida nazionali per favorire il corretto inserimento degli impianti a fonti rinnovabili sul territorio non siano state attuate in modo uniforme (in molte regioni, tra cui la Sardegna, infatti, non si è proceduto all’individuazione delle aree non idonee). In questo senso, la consapevolezza sull’importanza della tutela del territorio nel nostro Paese deve ancora crescere, perché le norme e gli strumenti esistono, ma bisogna volerli e saperli applicare, anche in ragione della necessaria coerenza con una scelta di modello di sviluppo che la Politica è chiamata a fare a monte, assumendosene la responsabilità.

La salvaguardia del territorio è parte integrante di una di queste scelte, nella misura in cui, se si dichiara di voler puntare veramente sul made in Italy agroalimentare, non si può contemporaneamente prescindere dalla tutela e dalla valorizzazione di quegli elementi, sia materiali che immateriali, che identificano le produzioni agricole e su cui l’agricoltura italiana sta investendo tutta la sua capacità di sviluppare valore aggiunto, innovazione ed eccellenza.

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