Il Rapporto Nazionale Fitofarmaci nelle Acque 2016 dell’Istituto per la protezione ambientale Ispra) evidenzia una contaminazione delle acque superficiali e sotterranee da fitofarmaci concentrata soprattutto nell’area padano veneta ed in alcune aree specifiche del centro Italia.
Nelle acque superficiali, la presenza dei fitofarmaci è stata rilevata nel 63,9% dei punti di monitoraggio, ma la presenza a concentrazione superiore ai limiti avviene solo nel 21,3% dei punti di monitoraggio; applicando la stessa rilevazione alle acque sotterranee, la percentuale si riduce dal 31,7% al 6,9%.
La crescita della percentuale di punti contaminati rispetto agli anni precedenti, evidenziata con un +20% nelle acque superficiali ed un +10% in quelle sotterranee, sarebbe dovuta, in realtà, essenzialmente alla maggior estensione della rete di monitoraggio e non tanto ad un incremento in sé della presenza di fitofarmaci nelle acque.
Per quanto concerne l’aumento dei ritrovamenti nell’arco del decennio 2003-2014, occorre sottolineare – come riporta Ispra stessa nelle tabelle (a pagina 19 del rapporto) – che i punti di monitoraggio delle acque sotterranee sono aumentati del 42% , quelle delle acque superficiali dell’ 85%; i campioni prelevati sono aumentati dell’80% per le acque superficiali e per le acque sotterranee del 66%, le sostanze cercate nelle acque superficiali e sotterranee + 125% (numero più che raddoppiato), inoltre la sensibilità dei metodi analitici è aumentata in diverse regioni. Ispra in più punti del suo rapporto sottolinea che “negli oltre dieci anni di monitoraggio svolto c’è stato indubbiamente un incremento della copertura territoriale e della rappresentatività delle indagini”.
Pertanto, occorre ribadire che una parte dell’aumento dei ritrovamenti (se non la gran parte) è dovuto al miglioramento della qualità della rete di monitoraggio e ciò è senz’altro un vantaggio in quanto solo in questo modo i dati possono consentire una migliore e più approfondita valutazione relativamente al comportamento delle molecole nell’ambiente ed essere uno strumento essenziale nell’ambito di applicazione della Direttiva Quadro Acque e della Direttiva Uso Sostenibile dei Prodotti fitosanitari.
Innanzitutto, occorre sottolineare che là dove si riscontra un superamento dei limiti, si tratta di limiti legali e non tossicologici. Il limite legale che non deve essere superato per ogni singolo principio attivo è lo 0.1 e vale per tutti i contaminanti presenti nelle acque e non solo per i fitofarmaci. Ovviamente ciò non giustifica il fatto che si possa minimizzare il superamento dei limiti, ma sul piano comunicazionale è inesatto sostenere che in tal caso ci sia un rischio per la salute umana o per l’ambiente.
Il rapporto non riporta i limiti tossicologici delle singole sostanze attive, ma solo quando una sostanza attiva, presente nelle acque, supera tale limite esiste un rischio effettivo per l’uomo e l’ambiente.
Per quanto concerne, poi, la definizione di contaminazione è fuorviante usare tale termine qualora la presenza dei fitofarmaci nelle acque sia a livelli inferiori ai limiti di concentrazione stabiliti per legge (gli SQA – Standard di Qualità Ambientale). Nel momento in cui viene rilevata una sostanza al di sotto dei limiti bisognerebbe per correttezza parlare di presenza. Inoltre, lo Standard di Qualità Ambientale stabilito per legge è espresso come valore medio annuo e non come singoli rilevamenti.
In proposito, la Società Italiana di Tossicologia nel commentare i dati dell’Ispra sul monitoraggio delle acque ha evidenziato come il rapporto dell’Ispra “ non si stanca mai di raccontarci come tali residui siano al di sopra dei limiti legali. Questo lascia intendere al lettore non ben informato che essi possano rappresentare un pericolo per la sua salute, trascurando di specificare se l’entità di tali residui possa rappresentare un reale rischio. La differenza tra pericolo e rischio è fondamentale nella valutazione della sicurezza, Infatti, un fenomeno (chimico, fisico, storico) può rappresentare un potenziale pericolo (cianuro, saetta, dittatore), ma, se gli individui (la popolazione) non vengono a contatto (esposti) con tale fenomeno, il rischio che si possa manifestare un effetto negativo non si concretizza. È l’entità (la dose, la quantità) che determina l’effetto. Ecco perché la sola comunicazione del pericolo (fitofarmaci al di sopra del limite) rappresenta un modo distorto di comunicare il rischio. Non tutti sono al corrente che i limiti imposti dalla legge rappresentano una soglia legale estremamente cautelativa, basata sul principio di precauzione applicato nella Unione Europea, che fissa dei limiti legali relativi al massimo residuo consentito per ciascun pesticida e ciascuna coltura utilizzando dei fattori di sicurezza, in modo che il superamento dei limiti legali non possa causare allarme per la salute del consumatore anche in presenza di una miscela di queste sostanze. Purtroppo tale informazione è relegata in secondo piano, vanificando gli sforzi di coloro (scienziati e regolamentatori) che si occupano di salvaguardare la salute delle popolazione. L’articolo insinua un possibile pericolo per sostanze quali il Glifosato, a discapito delle decisioni di severi ed imparziali Enti internazionali, quali l’Agenzia Europea per la Sicurezza degli Alimenti (Efsa) l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e la Environmental Protection Agency degli Stati Uniti (US EPA), che ne definiscono l’uso corretto e privo di rischi. In conclusione, il dubbio mediatico è capace di distruggere tutti gli sforzi fatti da singoli scienziati o da organismi internazionali e la Società Italiana di Tossicologia, all’interno della quale esistono esperti tossicologi riconosciuti a livello europeo, gli European Registered Toxicologists, auspica un maggior coinvolgimento di queste figure di riferimento, prima della pubblicazione di articoli che possono risultare fuorvianti per la popolazione”.
Ad ogni modo, è bene evidenziare che Ispra non effettua il monitoraggio dell’acqua che esce dal rubinetto, ma di quella dei corpi idrici. Molto spesso, però, i prelievi per uso potabile attingono agli stessi corpi idrici che sono analizzati da Ispra: si ricorre, quindi, a sistemi di abbattimento e depurazione per poter immettere nel rubinetto acqua a norma. Ad esempio, le acque del Po, che sono utilizzate abbondantemente per rifornire intere province con acqua potabile, devono essere depurate. Sul piano della comunicazione i cittadini dovrebbero essere chiaramente informati che, per legge, i gestori degli acquedotti non possono immettere nel rubinetto acqua contaminata destinata ad usi potabili.
Il rapporto affronta il tema delle miscele di sostanze dichiarando che ”La valutazione di rischio, infatti, nello schema tradizionale considera gli effetti delle singole sostanze, e non tiene conto dei possibili effetti delle miscele presenti nell’ambiente”. Il rapporto afferma a pag. 14 che “Nel biennio 2013-2014, ancora più che in passato, sono state trovate miscele di sostanze nelle acque. Con un numero medio di 4 sostanze e un massimo di 48 sostanze in un singolo campione. La contaminazione da pesticidi, ma il discorso vale per tutte le sostanze chimiche, è un fenomeno complesso e difficile da prevedere, sia per il grande numero di sostanze impiegate, delle situazioni e delle modalità di rilascio, sia per la molteplicità dei percorsi che possono seguire nell’ambiente. La tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del suo componente più tossico”.
Riguardo la presunta pericolosità, tuttavia, non è sempre vero che la tossicità di una miscela sia sempre più alta di quella delle singole sostanze che la compongono: può avvenire, in alcuni casi, che la miscela sia più tossica dei suoi componenti per cui non è corretto generalizzare in assenza di un supporto scientifico da parte di Efsa.
Le sostanze monitorate sono tra acque superficiali e sotterranee 73. Di queste 28 non sono più autorizzate e 3 sono utilizzate in uso d’emergenza solo 180 giorni all’anno. Delle 73 sostanze monitorate, 23 registrano un numero di superamenti del limite Standard di Qualità Ambientale sotto l’1%, 8 sostanze sotto il 4% e solo 4 sostanze presentano un superamento dei limiti comprese tra il 20 ed il 52,2 % (glifosato, AMPA il metabolita del glifosato, il triciclazolo ed il quinclorac).
Le sostanze più frequentemente rilevate nelle acque per le quali è stato riscontrato un maggior numero di superamenti dei livelli di contaminazione, superiori al limite di 0,1 μg/l. sono gli erbicidi triazinici ed in particolare: atrazina, simazina, terbutilazina e i metaboliti atrazina-desetil, terbutilazinadesetil.
Per quanto concerne le acque superficiali, le sostanze attive rilevate che non sono più autorizzate sono: metaclor, l’esaclorocicloesano, l’endosulfan beta, il diclorvos, diuron, mevinfos, dimetenamid-P, l’endosulfan alfa. Il quinclorac ed il triciclazolo che pure sono stati stati rilevati non sono sostanze registrate, ma sono autorizzate da due anni a questa parte, solo per 180 giorni all’anno in uso d’emergenza per il riso.
Per quanto, concerne le acque sotterranee, le sostanze rilevate non più autorizzate sono: metolaclor, 2,6 diclorobenzammide, 1,2 dicloroetano, 1,3 dicloropropene, quinclorac, acetoclor, bromacile, atrazina desisopropil, teflubenzuron, cadusafos, propargite, 1,1 dicloroetano, atrazina, linuron, tricilazolo, 2-idrossiatazina, furalaxil, forate, terbutryn, carbofuran, molinate, alaclor.
In particolare rispetto al metolachlor che non è più autorizzato né a livello a comunitario né in Italia, lo stesso rapporto afferma che nel monitoraggio non distingue rispetto alla sostanza s-metolachlor – che è in realtà diversa – cosi che non è possibile capire se il dato di contaminazione riportato si riferisce a residui persistenti nelle acque derivanti da formulati vietati o se, invece, sono imputabili ai formulati attualmente registrati contenenti s-metolachlor.
L’atrazina non è più utilizzata dagli anni ’80, ma il monitoraggio evidenzia ancora una contaminazione importante, soprattutto, nelle acque sotterranee, dove a livello nazionale risultano contaminati da essa e/o dal suo metabolita il 13% dei punti di monitoraggio, spesso sopra al limite di 0,1μg/l. Le regioni più interessate sono quelle dell’area padano-veneta, con percentuali di presenze sia nelle acque superficiali sia in quelle sotterranee superiori anche al 50% dei punti di monitoraggio controllati, come nel caso del Friuli-Venezia Giulia.
Anche per quanto riguarda la presenza del metolaclor, diserbante selettivo per mais, soia, barbabietola da zucchero, girasole e tabacco, la sostanza è stata revocata in Europa nel 2003 ed è stata sostituita dall’S-metolaclor6, in cui è maggiore la presenza dell’isomero S (biologicamente attivo). Siccome i laboratori analitici regionali non differenziano le due forme, in quanto non sono distinguibili mediante le tecniche analitiche attualmente disponibili, le concentrazioni misurate, pertanto, possono essere date dalla somma delle due sostanze rispetto alle quali la sostanza ormai vietata può essere prevalente sempre un inquinamento dovuto al passato.
La sostanza è stata largamente riscontrata in tutta l’area padana, ma anche in regioni del centro-sud.
Diverso è il caso delle altre sostanze rinvenute rispetto alle quali è importante considerare non tanto il dato relativo alla presenza nelle acque superficiali e sotterranee quanto, la percentuale di campioni che superano il limite massimo ammesso dalla legislazione vigente.
Il bentazone, è un erbicida di post-emergenza autorizzato su nove impieghi, tra cui riso, frumento, mais, pisello e soia. La sostanza è stata sottoposta a limitazioni di impiego dal 1974, in seguito alla presenza nelle acque di falda destinate al consumo umano. In Piemonte sono state messe in atto misure cautelative quali il divieto di utilizzo in diverse aree regionali e nella coltura del riso in sommersione, tale limitazione è stata accordata con il DM 27 marzo 2007.
La sostanza è presente nelle acque superficiali nel 18,7% dei 791 punti di monitoraggio, in 2 casi vi è il superamento degli SQA. Nelle acque sotterranee è presente nel 4,9% di 1.685 pozzi controllati, in 27 casi (2,6%) con valori superiori allo standard di qualità. In termini di ritrovamenti, è tra i principali responsabili di non conformità rispetto agli SQA delle acque sotterranee.
L’oxadiazon è un erbicida ad ampio spettro d’azione che trova impiego nel diserbo del riso e di altre colture. La sostanza è autorizzata in Europa. Nelle acque superficiali è stato localizzato principalmente in nord Italia, nel 15% dei casi analizzati. Il 6% erano sopra il limite di 0,1μg/l, nel 2,2% dei casi sopra al valore degli SQA. Nelle acque sotterranee è presente nel 3,1% delle 1.383 stazioni monitorate, in molti casi sopra al limite di 0,1μg/l, nel 1,8% dei casi con valori superiori allo standard di qualità.
Nelle acque superficiali il maggior numero di superamenti è dato dal glifosate e il suo metabolita AMPA, superiori agli SQA rispettivamente nel 25,2% e nel 52,2% dei siti monitorati. Da segnalare per frequenza del fungicida triciclazolo, sopra i limiti nel 25,8% dei siti, sebbene riferito a un numero di siti limitato, e dell’erbicida quinclorac superiore ai limiti nel 20,7% dei casi. Nelle acque sotterranee il numero più elevato di casi di non conformità è dato da bentazone, imidacloprid, metalaxil, metolaclor, triadimenol, oxadixil, 2,6-diclorobenzammide, terbutilazinadesetil. Tuttavia di queste sostanze maggiormente incidenti nella contaminazione metolaclor, 2,6-diclorobenzammide e oxadixil, non sono più autorizzate mentre l’imidacloprid è soggetto ad ampie limitazioni di uso (è vietato per la concia delle sementi) in quanto considerato tossico per le api.
E’ stato ampliato il numero di punti di monitoraggio di glifosate ed AMPA. Nel 2014 il glifosate è stato trovato nel 39,7% dei 302 punti di monitoraggio delle acque superficiali in cui è stato cercato, ma in 76 casi (25,2%) è responsabile del superamento degli standard di qualità ambientali. Nelle acque sotterranee, invece, la sua presenta è molto limitata in quanto è risultato presente nel 4,3% dei 185 punti controllati, e solo in 2 casi (1,1%) con valori superiori agli SQA.
Da segnalare anche la contaminazione dovuta all’AMPA, il metabolita del glifosato, presente nel 70,9% dei 289 punti di monitoraggio delle acque superficiali, in 151 casi (52,2%) con valori superiori agli SQA. Nelle acque sotterranee è presente nel 4% dei 177 punti di monitoraggio, in 4 casi (2,3%) con valori superiori agli SQA.
In conclusione, il report dell’Ispra è stato presentato sulla stampa in modo drammatico sul piano ambientale, senza interpretare i dati in modo oggettivo. Una volta fotografata la situazione attuale operando una distinzione precisa tra le sostanza e presenti nelle acque tra quelle autorizzate e quelle non più autorizzate nonché con riferimento al loro indice di persistenza e di bioaccumulabilità, avrebbe dovuto evidenziare che il reg. CE 1107/2009 relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE, nel modificare i criteri di autorizzazione delle sostanze attive ha già messo in atto gli strumenti per ridurre la presenza di fitofarmaci nelle acque e bisogna soltanto attendere che tali strumenti producano i loro effetti positivi. Il regolamento cit. stabilisce, infatti, che non potranno essere più autorizzate:
a) sostanze considerate come inquinanti organici persistenti -POP (Persistent Organic Pollutants). Una sostanza POP è contemporaneamente persistente nell’ambiente (tempo di semivita nell’acqua superiore a 60 giorni, nel suolo e nei sedimenti superiore a sei mesi), bioaccumulabile (fattore di bioconcentrazione nelle specie acquatiche superiore a 5000, oppure con coefficiente di ripartizione ottanolo/acqua – log Kow – superiore a 5) e con potenziale di trasporto a lunga distanza nell’ambiente;
b) sostanze considerate Persistenti Bioaccumulabili Tossiche – PBT (Persistent Bioaccumulative Toxic): una sostanza PBT è contemporaneamente persistente nell’ambiente (il tempo di dimezzamento nell’acqua di mare è superiore a sessanta giorni oppure il tempo di dimezzamento in acqua dolce o di estuario è superiore a quaranta giorni oppure il tempo di dimezzamento nei sedimenti marini è superiore a centottanta giorni, oppure il tempo di dimezzamento nei sedimenti d’acqua dolce o di estuario è superiore a centoventi giorni, oppure il tempo di dimezzamento nel suolo è superiore a centoventi giorni), bioaccumulabile (fattore di bioconcentrazione nelle specie acquatiche superiore a 2000) e tossica (la concentrazione, senza effetti osservati a lungo termine, negli organismi marini o d’acqua dolce è inferiore a 0,01 mg/l oppure la sostanza è classificata come cancerogena, mutagena o tossica per la riproduzione di categoria 1A o 1B esistono altre prove di tossicità cronica, identificata dalle classificazioni: STOT, RE 1 o STOT RE 23 a norma del regolamento CLP);
c) sostanze considerate vPvB (very Persistent very Bioaccumulative – molto persistenti e molto bioaccumulabili): una sostanza contemporaneamente molto persistente (il tempo di semivita nell’acqua marina, nell’acqua dolce o nell’acqua di estuario è superiore a sessanta giorni, oppure il tempo di semivita nei sedimenti d’acqua di mare, d’acqua dolce o d’acqua di estuario è superiore a centottanta giorni, o — il tempo di semivita nel suolo è superiore a centottanta giorni) e molto bioaccumulabile (fattore di bioconcentrazione superiore a 5000).
Inoltre, a partire dalla direttiva 91/414/CEE, non vengono più autorizzate sostanze con problemi di lisciviazione nelle acque sotterranee. Mentre, la stessa presenza dei fitofarmaci nelle acque può essere efficacemente contenuta quanto più le Regioni investiranno nella formazione degli agricoltori circa l’applicazione delle Linee guida per la prevenzione dell’inquinamento delle acque richiamate dal Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei fitofarmaci, approvato ai sensi della dir. 2009/128/CE, elaborate dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (Disafa) dell’ Università di Torino.
Altro aspetto che andrebbe considerato è verificare quanto l’inquinamento delle acque derivante dalle sostanze attive indicate sia imputabile all’agricoltura e quanto, invece, ad altri soggetti che impiegano tali prodotti per uso non professionale o per scopi diversi.
Infine, l’interpretazione dei dati deve essere accompagnata dall’illustrazione dei progressi che grazie alla legislazione comunitaria di settore e ad agli investimenti operati sulla formazione delle imprese agricole hanno consentito all’Italia di essere un paese con un livello elevato di sicurezza nell’uso dei fitofarmaci seppure, chiaramente, l’attenzione vada mantenuta alta per migliorare sempre di più gli standard di tutela ambientale e la sicurezza dei consumatori. Rispetto, invece all’uso del quinclorac e del triciclazolo sul riso sono d’obbligo le cautele del caso, vista la loro presenza significativa nelle acque