il Punto Coldiretti

Presenza di fosfiti negli alimenti biologici, individuate le cause

La qualità e la sicurezza del cibo sono un elemento imprescindibile  delle produzioni italiane, ma ancora di più per quelle ottenute dall’agricoltura biologica. La ripetuta rilevazione di residui di acido fosforoso in alcuni prodotti dell’ortofrutta biologica è divenuto un problema rilevante non solo in Italia, ma anche  nel mercato dell’Ue, essendo l’etilfosfonato ed il fosfito mezzi tecnici non consentiti dal Reg. CE n.889/2009. Anche alimenti biologici italiani, esportati in Germania ed in altri paesi Ue,  sono stati respinti per irregolarità in quanto risultati positivi all’acido fosforoso, in assenza di positività all’acido etil-fosfonico.

Per comprendere la causa della presenza di tali residui nei prodotti bio, su richiesta della principali associazioni del biologico italiane, nel 2016 l’Ufficio PQAI 1 del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha finanziato il progetto biennale Biofosf “Strumenti per la risoluzione dell’emergenza fosfiti nei prodotti ortofrutticoli biologici”, coordinato dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e analisi dell’economia agraria) i cui risultati sono stati recentemente presentati al Biofach 2018, a Norimberga, la fiera mondiale dell’agricoltura biologica.

Il progetto operato promuovendo un approccio partecipato che ha coinvolto tre centri di ricerca italiani del Crea, le associazioni del biologico,  diversi produttori del comparto e la principale  associazione italiana di produttori di prodotti fitosanitari e fertilizzanti.

Ci si è posti, quindi, il problema se fosse necessario rivedere il regolamento tecnico di Accredia  RT-16 che disciplina l’operato degli organismi di controllo in biologico,  oppure se la rilevazione dell’acido fosforoso in misura superiore allo 0,01mg/kg in prodotti biologici  in assenza di acido etil-fosfonico potesse essere considerata, davvero,  merce non contestabile e conseguentemente l’operatore non sanzionabile in quanto “falso positivo”.

L’obiettivo del progetto è stato verificare le  cause di positività all’acido fosforoso: per verificare se in tal caso siano dovute ad un  uso illecito di prodotti per la difesa fitosanitaria (PPP) a base di fosfiti /fosetyl-alluminio, non consentiti in biologico oppure a un’addizione non dichiarata di fosfiti o fosetyl-alluminio ai ai mezzi tecnici (fitofarmaci e fertilizzanti) consentiti in agricoltura biologica od ancora ad una  naturale presenza di fosfiti in concimi organici, ammendanti biostimolanti di varia origine (animale, vegetale, alghe, ecc.), utilizzabili in agricoltura biologica. Infine, si è inteso verificare se la presenza di minime quantità di fosfito potesse essere legata a processi metabolici spontanei entro la coltura.

Per valutare le potenziali fonti “nascoste” di residuali di acido fosforoso, sono state realizzate dai diversi centri prove sperimentali di campo su colture ortofrutticole biologiche come patata (Crea – Colture Industriali), uva da tavola (Crea – Ofa), mentre per pere, pomodoro e kiwi le sperimentazioni sono state condotte con l’ausilio di associazioni e produttori di settore.

Nella sperimentazione, sono stati applicati concimi organici, inorganici e prodotti per la protezione ammessi in biologico, valutando poi il contenuto residuo di acido fosforoso/etilfosfonico nel prodotto al commercio e nei tessuti vegetali. I sistemi biologici  sono stati confrontati con analoghi sistemi gestiti in convenzionalmente, utilizzando sali di etil-fosfonato o di fosfito. E’ stato quindi effettuato uno screening dei mezzi tecnici (fertilizzanti e Prodotti fitosanitari) ammessi in bio, per verificare l’assenza di acido fosforoso/etilfosfonico.

Il progetto ha previsto anche uno studio della cinetica di degradazione dei prodotti a base di fosetyl attraverso una prova modello su rucola (Crea – Agricoltura Ambiente), nonché un approfondimento sul loro potenziale effetto residuo a lungo termine su colture arboree.

La conclusione del progetto è che la rilevazione di solo acido fosforoso, in assenza di acido etil-fosfonico, non consente di escludere l’utilizzo di fosfito o fosetyl (che ha  tempi rapidi di degradazione). Di fatto, la sperimentazione ha dimostrato che i fosfiti sono presenti solo quando direttamente applicati: la presenza di acido fosfonico nei tessuti vegetali, in assenza di acido etilfosfonico, potrebbe infatti essere dovuta alla presenza di fosfiti rilevata in alcuni prodotti per la protezione od in taluni fertilizzanti organici (come gli estratti di alghe) in autorizzati in biologico.

Si segnala che la rilevazione dell’acido fosforoso in alcune formulazioni commerciali a base di rame consentite nell’agricoltura biologica (ad es. la poltiglia bordolese) comporta una contaminazione che peraltro sembra perdurare anche per diversi anni dopo l’applicazione in colture arboree (i.e. piante di pero).

Le soluzioni che si profilano per risolvere il problema sono a questo punto: il rafforzamento dei controlli da parte degli istituti competenti sui concimi organici ed i prodotti per la protezione delle piante ammessi in biologico, con il supporto degli Organismi di controllo ufficiali italiani, nonché la revisione dell’Allegato 13 alla normativa italiana sui concimi (D.Lgs. 75/2010).

Inoltre, si rende necessaria una modifica del regolamento RT-16 che, al momento, è interpretato nel senso di attribuire ad un “falso positivo” la rilevazione del solo acido fosforoso, in assenza di acido etilfosfonico quando, invece, è ormai certo che la presenza è dovuta prevalentemente a sostanze non dichiarate nei mezzi di produzione autorizzati in biologico, in violazione della normativa vigente o, in via alternativa, a comportamenti fraudolenti da parte dei produttori biologici.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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