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Fondi pensione: aumentano gli iscritti ma rendimenti in calo

Aumenta a fine 2022 il numero di posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari, con un incremento del 5,8% rispetto al 2021, attestandosi così a 10,3 milioni al 31 dicembre 2022.

In crescita anche il numero di iscritti, vale a dire i soggetti che decidono di aderire a più forme di previdenza complementare che sono in totale 9,2 milioni, in crescita del +5,4%.

Questi i consueti dati diffusi lo scorso 30 gennaio dalla Covip, la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione.

A guidare l’incremento nel 2022 sono i fondi negoziali che registrano una crescita pari a 349 mila posizioni, +10,1% rispetto al 2021, portando il totale degli iscritti a 3,806 milioni. Detto incremento, come sottolinea l’Organismo di vigilanza, dipende principalmente dall’apporto delle adesioni contrattuali, circa 200 mila, vale a dire le adesioni basate sui contratti collettivi che prevedono automaticamente l’iscrizione dei neo-assunti e un contributo minimo a carico del datore di lavoro.  Novità dell’ultimo anno, come sottolinea ancora nella nota di commento la Covip, il contributo dato dalle 80 mila nuove assunzioni provenienti dal pubblico impiego, grazie al meccanismo del silenzio-assenso.

Nelle forme pensionistiche di mercato, si rilevano 106 mila posizioni in più nei fondi aperti (+6,1%) e 84 mila nei PIP “nuovi” (+2,3%); alla fine di dicembre, il totale delle posizioni in essere in tali forme è pari, rispettivamente, a 1,842 milioni e 3,697 milioni di unità.

Secondo i dati della Covip, nel 2022 i fondi chiusi, cioè quelli di natura contrattuale, hanno incassato 13,9 miliardi di euro, +4,2% in più rispetto al 2021: l’attivo netto è di 61 miliardi di euro; a 28 miliardi nei fondi aperti e a 45 miliardi nei Pip.

Nel 2022 i rendimenti, vale a dire le variazioni nel valore della quota degli iscritti, hanno risentito dell’andamento negativo dei mercati finanziari. I rendimenti netti sono pertanto risultati negativi e pari, in media a -9,8% per fondi negoziali e a -10,7%, per i fondi aperti; nei PIP di ramo III essi sono stati pari a -11,5%. L’unico segno positivo è stato rilevato nelle gestioni separate di ramo I, in quanto contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato, segnando un +1,1%.

Per un confronto con il Tfr, esaminando un lasso di tempo più ampio (gli ultimi dieci anni) a partire dal 2013 e fino al 2022, il rendimento medio annuo composto, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, è stato pari al 2,2%per i fondi negoziali, al 2,5% per i fondi aperti, al 2,9% per i Pip di ramo III e al 2% per le gestioni di ramo I. Nello stesso periodo, la rivalutazione del Tfr è risultata pari al 2,4% annuo.

Sarà questo sicuramente uno temi che sarà discusso e affrontato nel tavolo aperto sulla previdenza tra Governo e Parti sociali, tenuto conto che durante lo scorso incontro del 19 gennaio 2023 la previdenza complementare è stata rilanciata come strumento di tutela per le categorie più deboli del mercato del lavoro, ossia donne e giovani e soprattutto per far fronte negli ultimi anni al minor rendimento degli assegni pensionistici per retribuzioni basse e per i periodi di lavoro frammentati, anche per coloro che versano dopo il 1996.

Fiorito Leo

 

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