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La nuova previdenza complementare, ecco le novità

Circola da qualche settimana la notizia di un emendamento al “decreto PA 2”, che vorrebbe privatizzare la previdenza complementare, passando ad “Assoprevidenza”, Associazione che raccoglie molti dei fondi pensione italiani, le mansioni del Comitato per la promozione e lo sviluppo della previdenza complementare, meglio conosciuto come “Previdenza Italia” istituito nel 2011 con lo scopo di incentivare il ricorso al terzo pilastro.

Il dibattito è aperto in quanto non saranno devolute solo le mansioni, ma anche i relativi fondi: una cifra che si aggira intorno ai 29,5 milioni. A settembre tale tema sarà presumibilmente al centro del confronto in corso tra sindacati e governo. Il tavolo pensioni dovrà trovare, dunque, nuove soluzioni più favorevoli e incentivi a questo settore in cerca di rilancio, oltre a pensioni adeguate per giovani e donne, tenuto conto di queste novità.

Nel linguaggio tecnico si parla di previdenza complementare o di secondo pilastro pensionistico, perché nasce con l’intento di consentire ai lavoratori di costruirsi nel tempo una pensione da affiancare a quella pubblica obbligatoria, il primo pilastro, che in futuro sarà sempre più bassa.

L’adesione alla previdenza complementare è una libera scelta dei lavoratori che possono aderire ai fondi: lavoratori dipendenti, privati e pubblici; soci lavoratori e i lavoratori dipendenti di società cooperative di produzione e lavoro; lavoratori autonomi e i liberi professionisti; persone che svolgono lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari; lavoratori con diverse tipologie di contratto (es. collaboratori anche occasionali).

In caso di adesione ai fondi, la posizione individuale di un iscritto non sarà costituita solamente dalla contribuzione versata dal lavoratore e dal datore di lavoro al fondo prescelto, ma sarà legata anche ai rendimenti ottenuti, al netto dei costi, degli investimenti sui mercati finanziari dei contributi stessi, anche alla durata del versamento.

I fondi vengono quindi finanziati dal lavoratore aderente, il quale se è dipendente pone una quota anche a carico del datore di lavoro e inoltre può liberamente scegliere di integrare i versamenti contributivi anche mediante il conferimento al Fondo del trattamento di fine rapporto (Tfr).

In Italia, abbiamo diverse forme pensionistiche complementari, ossia i fondi pensione negoziali o chiusi creati dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale, i fondi pensione aperti istituiti da banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio (Sgr) e società di intermediazione mobiliare (Sim), i Pip che sono contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale e i fondi pensione preesistenti già esistenti al 15 novembre 1992, prima della legge istitutiva della previdenza complementare.

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