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Ocse: in Italia chi inizia a lavorare oggi andrà in pensione a 71 anni

In Italia I giovani che fanno ora ingresso nel mercato del Lavoro andranno in pensione a 71 anni e nel 2025 la spesa per pensioni raggiungerà il 16,2% del Pil. A rivelarlo l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’organizzazione alla quale aderiscono 38 tra Paesi europei e del G20, nel Rapporto “Pensions at a glance” diffuso il 13 dicembre.

L’età pensionabile aumenterà di circa due anni entro il 2060, in base alla legislazione attuale, spiega lo studio e il dato è legato all’aspettativa di vita. In particolare, l’età media di pensione aumenterà di due anni fino a 66,3 anni per un uomo che entrerà nel mercato del lavoro nel 2022.

Si registra un aumento in 20 dei 38 paesi Ocse ( in 3 paesi, l’età pensionabile normale aumenterà solo per le donne) e le differenze tra paesi sono destinate a diventare più marcate: l’età pensionabile normale rimarrà a 62 anni in Colombia, Lussemburgo e Slovenia, mentre si prevede che raggiungerà i 70 anni negli Stati Uniti. Paesi Bassi e Svezia, 71 anni in Estonia e Italia e addirittura 74 anni in Danimarca sulla base dei collegamenti accertati tra età pensionabile e aspettativa di vita.

L’Ocse spiega nel dettaglio come attualmente l’età di pensionamento in Italia sia di 67 anni, ma come questa età di uscita non sia obbligatoria per molti lavoratori. In particolare il nostro Paese assicura accessi anticipati anche senza penalizzazioni. Nel 2023 sono stati, così, prorogati il sistema delle “quote” e, anche se con qualche restrizione, “opzione donna”. Dal 2017 poi si è aggiunta anche l’anticipo pensionistico, denominato Ape sociale, che rende possibile il pensionamento a 63 anni con 36 anni di contributi, misura che avrebbe dovuto essere temporanea, sostiene l’Organizzazione, ma è sempre rimasta in vigore.

Queste opzioni di pensionamento anticipato, si legge nello studio Ocse, fanno sì che ci siano dei livelli di occupazione tra gli over 60 anni molto bassi. I tassi di occupazione nelle fasce di età più anziane (60-64 anni), spiega l’Ocse, sono al livello più basso dopo la Francia e la Grecia. E questa sarà la sfida in quanto la quota della popolazione di età pari o superiore a 65 anni era pari al 18% nel 2022 e si prevede che salirà al 27% entro il 2050, in media nei Paesi presi in esame.

Per affrontare questi squilibri è dunque necessario, ad avviso dell’Ocse, promuovere l’occupazione dei lavoratori anziani. Questo aspetto è diventato ancora più centrale nel periodo post-Covid in quanto la maggior parte dei Paesi si trova ad affrontare carenze di manodopera in molti settori. I posti di lavoro vacanti hanno raggiunto livelli record nel 2022 e anche nel 2023.

Non va meglio sul fronte della spesa pensionistica. In particolare, la spesa pubblica per le pensioni di vecchiaia e per i superstiti nell’Ocse è aumentata da una media del 6,5% del prodotto interno lordo (PIL) al 7,7% tra il 2000 e il 2019. Le pensioni pubbliche rappresentano spesso la voce più importante della spesa sociale, per il 18% della spesa pubblica totale in media nel 2019.

Nel 2019 la Grecia e l’Italia hanno speso la quota maggiore del reddito nazionale per le pensioni pubbliche, pari a circa il 16% del Pil. Altri paesi con un’elevata spesa pensionistica pubblica lorda si trovano nell’Europa continentale, con Austria e Francia che rappresentano circa il 13%-13,5% del Pil nel 2019. La Francia è aumentata al 14,5% nel 2020 ma ciò è dovuto a un calo del Pil piuttosto che a un aumento significativo della spesa pensionistica pubblica lorda.

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