Riforma pensioni, sul tavolo donne e giovani
Un Istituto preparato alle sfide del futuro, come l'invecchiamento della popolazione, la crescita dei soggetti non autosufficienti, la lotta alla povertà, la frammentazione del mercato del lavoro caratterizzato da contratti discontinui. E’ questo l’obiettivo dichiarato dal documento generale di indirizzo presentato nei giorni scorsi dal Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps e che guiderà l’Istituto di previdenza nell’offerta di un servizio di qualità anche attraverso un rapporto più evoluto con i Patronati, collante fondamentale tra l’Istituto e i cittadini. Un tema aperto anche la proposta di estendere a tutte le tipologie di pensione l’incremento contributivo a favore delle lavoratrici per ciascun figlio, aggiungendo però analoga misura per le lavoratrici che abbiano svolto funzioni di cura in famiglia. La discussione su questo punto è accesa in quanto quattro mesi di anticipo potrebbero valere uno sforzo economico non indifferente per le casse dello Stato, si parla di cifre che si aggirano sui 700 milioni di euro. Finora la esperienza delle pensioni con quote – introdotte dal DL n.4/2019 con “quota 100” e successivamente riproposte con “quota 102” e quest’anno con “quota 103” – ha dimostrato che nella “combinazione” richiesta di età anagrafica e requisito contributivo minimo, l’elemento troppo penalizzante per le donne lavoratrici si è sempre rivelato quello contributivo. La proposta dunque per questa misura è quella di ridurre almeno a 38 anni il requisito minimo dei 41 anni di contributi da raggiungere entro il 2023, nonché rimuovere il limite di cumulabilità pensione/reddito da lavoro. Oltre a ciò, si è anche proposto di eliminare il rigido importo soglia di 1.5 volte l’assegno sociale per le pensioni di vecchiaia per il sistema contributivo puro. Data l’eccessiva frammentarietà del mercato del lavoro e le retribuzioni troppo basse, a causa di questo importo soglia che per il 2023 è fissato a 752.79€, sarebbe precluso a una platea troppo vasta l’accesso al pensionamento a 67 anni per coloro che hanno accreditato il primo contributo dal 1° gennaio 1996. Questo, quindi, condannerebbe i giovani ad accedere al pensionamento non prima dei 71 anni (ad oggi, età che in prospettiva è destinata ad aumentare a causa dell’incremento dell’aspettativa di vita). L’incontro si è concluso con l’apertura di nuove alternative per il futuro scenario pensionistico, anche se si rileva che i principali nodi da sciogliere riguardano sempre la copertura finanziaria per la sostenibilità delle nuove proposte in tema di pensioni. Per avere quindi il polso della situazione, le parti sociali hanno rinnovato la richiesta già avanzato al primo tavolo tecnico del 19 gennaio, di procedere alla separazione della spesa per previdenza e assistenza, al fine di valutare l’effettiva tenuta del sistema previdenziale italiano. Fiorito Leo |
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