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Riforma della Pac, i costi della condizionalità vanno considerati

A seguito della riforma Fischler del 2003, sono state introdotte, nella Politica Agricola Comune (Pac), due importanti novità: il disaccoppiamento degli aiuti e il collegamento di questi al rispetto di una serie di regole di comportamento degli agricoltori, che prendono il nome di condizionalità. La condizionalità è diventata il principale strumento operativo per raggiungere gli obiettivi di buona gestione agronomica e ambientale dei terreni e delle aziende, di benessere degli animali e di sicurezza alimentare, di cui, peraltro, i cittadini percepiscono, sempre di più, l’importanza e la necessità.

E’ chiaro che il rispetto di questo codice di comportamento rafforza il ruolo dell’agricoltura europea come produttore di beni pubblici, tra cui, la garanzia di prodotti sani, di qualità e fortemente radicati nel territorio, la tutela del paesaggio, delle acque e della biodiversità. Perciò, tutti gli attori interessati –  gli agricoltori, i cittadini, gli amministratori ed i decisori politici – devono essere, sempre più e sempre meglio, informati, tanto sulla reale portata di queste misure e sui dettagli tecnici, quanto sugli effetti positivi per l’ambiente e la società che, dalla loro applicazione, deriva.

A questo proposito, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha pubblicato un rapporto sui risultati dell’attuazione della attuazione della condizionalità in Italia. Proprio il rapporto mette in evidenza alcuni aspetti relativi ai costi della condizionalità che meritano di essere sottolineati. Infatti, per avere un quadro completo degli oneri sostenuti dalle imprese agricole per il rispetto della condizionalità occorre considerare anche il costo medio delle buone condizioni agronomiche e ambientali (Bcaa) per unità di superficie, che, in alcuni casi, rappresenta un vero e proprio costo vivo aggiuntivo.

Ad esempio, la norma 2.1, che prevede il divieto di bruciatura delle stoppie e delle paglie, comporta una gestione dei prodotti secondari delle colture cerealicole, normalmente, mediante trinciatura ed interramento di tali materiali, ai quali, inoltre, devono essere aggiunte alcune unità di azoto, per favorire la degradazione del substrato paglioso. Questa soluzione ha un costo medio quantificabile in un intervallo che va dai 20 ai 50 euro per ettaro l’anno.

Un’altra soluzione risiede nel condizionamento/imballaggio per l’immissione nel circuito zootecnico. In questo caso il costo dipende dalla quantità di paglia imballata, dal quale, però, deve essere computato il ricavo lordo legato alla vendita del prodotto. Ebbene, se si può considerare, tale misura, una pratica agronomica diffusa al centro nord, dove, dunque, non dovrebbe determinare un significativo aumento degli ordinari oneri di gestione aziendale, lo stesso non si può dire per varie aree del Mezzogiorno. In queste zone, infatti, la pratica delle bruciatura delle stoppie è ancora molto diffusa, per cui il ricorso ad interventi in deroga, come i sovesci o le letamazioni, appare decisamente oneroso.

Sempre a titolo di esempio, la norma 4.2, di gestione dei terreni ritirati dalla produzione, annovera dei costi che vanno da 50 ad 80 euro per ettaro l’anno. Ciò, salvo comportare ulteriori costi, conseguenti ai casi di inefficacia degli interventi di pulizia del terreno connessi alla disseminazione di infestanti, conseguenti alla andata a seme antecedente all’operazione di sfalcio, vincolata a periodi di intervento limitati in base ad aspetti di natura ecologica, come la nidificazione dell’avifauna. In questo caso, infatti, si registrerebbe un onere aggiuntivo connesso alle operazioni di diserbo sulla coltura successiva, proporzionale al grado di infestazione addizionale ed alla composizione floristica stessa.

Come evidenzia il rapporto del Ministero, si tratta di una pratica che si discosta da quelle ordinarie adottate pressoché in tutta Italia. Basti pensare alla diffusione, specialmente in alcune aree del centro sud della antichissima pratica del maggese, oppure alla più recente regola del set aside, secondo la quale, peraltro, veniva consigliato il contenimento delle infestanti tramite arature ed erpicature nel periodo primaverile.

Simili riflessioni devono essere tenute presenti, in particolare, nelle prospettive di riforma della Pac post 2013. E’ necessario, infatti, ridurre l’incidenza dei costi sostenuti dalle imprese agricole per gli oneri amministrativi e contenere il peso della burocrazia nel regime di condizionalità, privilegiando spese produttive di buone pratiche virtuose, utili a migliorare il rispetto degli standard europei e di competitività. In vista della revisione della Politica Agricola Comunitaria, prevista per il 2013, sarebbe opportuno sostituire le misure di condizionalità che presentano costi eccessivamente onerosi per le imprese agricole, con misure di carattere volontario, che beneficino di un regime di premialità.

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