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Rio+20, le nuove strategie per la trasformazione “sostenibile” dei mercati

Nell’ottica della conferenza di Rio +20, é aperta la discussione sulle strategie più idonee ad avviare una trasformazione in termini di sostenibilità dei mercati delle risorse primarie, che comporti una riorganizzazione delle filiere produttive e tra queste senz’altro spicca in termini di importanza quella agroalimentare.

In proposito, come evidenzia un interessante studio del Wwf, supportato da Unicredit,  (Market Trasformazione Initiative – Mti) che prende in considerazione quattro risorse primarie agricole (olio di palma, caffè, cotone e pasta di cellulosa/carta) comunemente importate nel nostro paese ed oggetto di ampio consumo, è possibile valutare il ruolo dell’Italia relativo a specifiche materie prime, gli utilizzi a livello nazionale, le pressioni che la domanda di tali beni comporta in termini di uso di acqua, suolo, materiali e emissioni atmosferiche.

Alcune imprese italiane possono svolgere un ruolo significativo nella trasformazione dei mercati globali e le attività economiche o le regioni nelle quali vanno ricercati possibili leader della trasformazione del mercato italiano capaci di fornire input determinanti per l’evoluzione dei mercati locali.

Al fine di garantire un modello di sviluppo sostenibile occorre ridurre l’uso di risorse primarie nelle filiere produttive  e riorganizzare i processi di produzione, trasformazione, commercializzazione e consumo di tali prodotti al fine di ridurre l’impatto ambientale.

L’economia italiana deve necessariamente accogliere la sfida di trasformare in termini di sostenibilità i propri processi di produzione, se non vuole soccombere nel contesto mondiale in quanto la concorrenza basata solo sui fattori di costo vede le nostre imprese necessariamente perdenti o migranti verso questi paesi dove sono possibili costi di produzione inferiori.

Dal 1980 ad oggi l’estrazione di risorse vergini dalla natura è cresciuta a livello globale di circa il 65%  (Ocse, 2011). Nel 2008 nei Paesi del G8 per soddisfare i bisogni di una persona si utilizzano in media circa 50 kg di materiali al giorno, di cui 10 kg di biomasse, 20 kg di minerali da costruzione e 15 di combustibili fossili. I materiali collegati al cibo e all’agricoltura pesano circa per il 40%.

La pressione sull’ambiente globale attivata dall’Italia è significativa in quanto il nostro è un paese fortemente importatore di materie prime. Ciò genera “a monte” rifiuti ed emissioni che costuiscono il fardello ecologico o zaino ecologico (ecological rucksack)  che le importazioni si portano dietro come conseguenza e, cioè, l’input totale di risorse naturali richieste per ogni prodotto “dalla culla al punto di vendita”. Le imprese italiane nel mondo che partecipano con i loro processi produttivi a ingenerare fenomeni di impatto ambientale che potrebbero essere riorientate verso un modello di sostenibilità sono circa 21.000 situate in 150 paesi.

Ad ogni modo, nel triennio 2006 2008, il 41,1% delle imprese industriali italiane con più di 10 addetti ha introdotto innovazioni. Tra queste, il 17% delle imprese innovatrici ha ridotto l’uso di materie prime e semilavorati ed ha sostituito materiali tradizionali con materiali eco-compatibili. Questo processo virtuoso è avvenuto sia per l’introduzione di nuove norme che per rispondere alla domanda corrente di innovazioni ecocompatibili, oppure per accordi o processi volontari (ad es. sistemi di certificazione) per la promozione e la diffusione di buone pratiche ambientali o ancora grazie alla disponibilità di incentivi finanziari, come, per esempio, avviene in agricoltura nell’Ue grazie agli aiuti concessi dalla Politica Agricola Comunitaria.

A fronte di tale contesto, il progetto di Coldiretti per la promozione di una filiera agricola tutta italiana è la risposta che le imprese agricole italiane intendono dare per garantire una maggiore sostenibilità. La sfida è quella di innovare i rapporti tra i diversi soggetti della filiera tagliando l’intermediazione commerciale e consentendo agli imprenditori agricoli di raggiungere con i prodotti del proprio territorio i consumatori, riducendo il trasporto delle merci e creando un beneficio a vantaggio dell’ambiente in termini di riduzione delle emissioni.

Ma l’impegno delle imprese agricole associate a  Coldiretti è anche nella fase primaria di produzione, tramite l’adozione di sistemi di coltivazione a basso input di fitofarmaci e fertilizzanti e l’innovazione delle tecniche  di allevamento, improntate al rispetto del benessere animale ed al contenimento dell’impatto ambientale grazie a una gestione corretta delle deiezioni e delle emissioni degli allevamenti.

Tutto ciò avviene promuovendo anche il ricorso alle energie rinnovabili affinché l’alimento che giunge al consumatore sia ottenuto tramite una sapiente gestione delle risorse primarie perché l’agricoltura è oggi più che mai consapevole dell’importanza di conservare al meglio l’ambiente nel quale opera per offrire prodotti di alta qualità grazie a un know how nelle tecniche di coltivazione ed allevamento che non è al momento praticabile nei paesi in via di sviluppo dove si pratica ancora un’agricoltura di carattere intensivo ad alto input di sostanze chimiche, spesso senza il rispetto delle normative a tutela dei lavoratori, tutti fattori che consentono sì di produrre a costi inferiori, ma con requisiti di qualità degli alimenti molto inferiori a quelli dei prodotti italiani.

Per realizzare un modello di sviluppo economico sostenibile  non esiste un’unica strategia vincente. L’eco-efficienza da sola difficilmente riesce a permettere di soddisfare i bisogni di una popolazione crescente che vuole consumare sempre di più. Senza la chiusura dei cicli materiali, ossia il  mantenimento all’interno del processo socio economico dei materiali che vi entrano e l’aumento della produttività delle risorse, non si può realizzare la riduzione drastica delle quantità di risorse prelevate e di quelle trasformate in emissioni, rifiuti e nuove strutture fisiche artificiali.

Il vantaggio per le imprese che scelgono di adottare processi di produzione sostenibili non è solo in termini di immagine, ma derivano dal mettere gradualmente fuori mercato i prodotti privi di qualità sociale ed ambientale.

Un ruolo determinante in questo processo lo svolgono i consumatori che all’atto dell’acquisto hanno il potere di premiare o “boicottare” un determinato prodotto. Un caso illuminante in questo senso è quello della North Face che ha sempre sostenuto di produrre giacche di piuma d’oca secondo processi eticamente corretti, quando, invece, si è scoperto pochi giorni fa, che le piume erano ottenute da oche allevate in Ungheria per produrre il paté de fois gras e, quindi, sottoposte all’ingrasso forzato. La North Face sta ora cercando di rimediare all’immediata reazione negativa dei consumatori visto che si è scatenata una campagna di protesta guidata anche da celebrità del mondo dello spettacolo.

Il processo virtuoso verso la sostenibilità, infine, oltre che dalle imprese e dai consumatori può essere attivato anche da gruppi finanziari che possono promuovere, tramite la concessione del credito,  prioritariamente o in via esclusiva solo progetti di imprese che si impegnano a riorganizzare i propri processi produttivi in modo sostenibile. In conclusione, nell’ottica degli obiettivi di Rio +20, è necessario progettare iniziative su base distrettuale, basate su risorse locali e sul coinvolgimento delle associazioni imprenditoriali della società civile e dei centri di ricerca al fine di garantire buoni rendimenti e produzioni sostenibili e di qualità.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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