il Punto Coldiretti

Uso sostenibile dei fitofarmaci, il Piano italiano più vincolante del resto dell’Ue

Sono passati ormai tre anni da quanto le Amministrazioni competenti, coordinate dal Ministero dell’Ambiente, hanno avviato l’elaborazione del Piano nazionale per l’uso sostenibile dei fitofarmaci ed ancora l’Italia non ha presentato in sede comunitaria la versione definitiva di tale atto previsto dalla direttiva 2009/128/CE.

Su 27 Paesi, 19 hanno portato il loro Piano a Bruxelles, mentre il nostro Paese, che era partito quasi in anticipo rispetto alla direttiva 2009/128/CE, ora è il fanalino di coda. Nessuna meraviglia visto che gli altri Stati membri, a differenza dell’Italia, si sono ben guardati dall’introdurre misure che vadano oltre gli adempimenti richiesti dalla direttiva e si sono limitati ad evidenziare quanto già intrapreso in questo settore, adattando tutt’al più le misure già in vigore ai nuovi dettami richiesti dall’Unione.

Riflessioni emerse dal seminario di studio organizzato nell’ambito delle Giornate fitopatologiche  dalla facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, lo scorso 29 maggio, allo scopo di divulgare i risultati di un’analisi comparata della bozza di Piano italiano rispetto ai Piani già presentati in sede comunitaria da Francia, Inghilterra, Spagna, Ungheria, Bulgaria, Spagna, Olanda, Danimarca e Slovenia.

I Piani nazionali di questi Paesi sono improntati alla semplificazione ed alla volontà di non aggiungere oneri alle imprese agricole oltre quelli già introdotti dalle normative previgenti, principio questo del quale non si è affatto tenuto in considerazione nel redigere la bozza di Piano nazionale italiano e che avvantaggerà sicuramente sul piano concorrenziale, le imprese agricole europee a scapito di quelle italiane, benché la nostra agricoltura  sia all’avanguardia nel mondo per l’uso corretto e responsabile di tali prodotti. E questo benché  i dati Istat evidenzino, nell’arco degli ultimi dieci anni, un calo in Italia nell’uso dei fitofarmaci del 6%, quando ad es. la Danimarca, registra, attualmente, un aumento del 35% dell’uso di prodotti fitosanitari per cui avrebbe avuto molte più valide motivazioni per introdurre norme restrittive.

I Piani sopra citati sono tutti impostati a perseguire l’obiettivo della mitigazione del rischio e non la riduzione quantitativa dei fitofarmaci a livello aziendale. Solo la  Francia si pone anche questo obiettivo, ma garantisce aiuti ed incentivi finanziari alle imprese agricole e coperture assicurative per l’eventuale minore resa di produzione.

Inoltre, a differenza di quello italiano, i Piani di questi Stati membri sono stati elaborati di concerto con le organizzazioni di rappresentanza degli agricoltori e in alcuni casi di tutti i soggetti della filiera agroalimentare a differenza di quanto è avvenuto in Italia, dove agli stakeholders, esclusi dalla concertazione, è stata presentata dopo tre anni una bozza di piano già predisposta sulla quale esistono ridottissimi margini di negoziazione.

Le altre nazioni hanno applicato la direttiva attenendosi scrupolosamente a quanto previsto dalla stessa, evitando accuratamente di introdurre ulteriori vincoli ed oneri alle imprese agricole e valorizzando quanto già fatto in materia negli anni precedenti. Nell’elaborazione del Piano si sono quindi limitati ad integrare le misure già in vigore con quanto previsto dalla direttiva ove gli adempimenti non siano coincidenti.

A differenza dell’Italia, gli altri Paesi hanno individuato le risorse finanziarie da destinare all’attuazione dei propri Piani nazionali. Ad es. la Francia ha destinato ben 41 milioni di euro. Inoltre, prevedono per le imprese agricole chiamate ad applicare le misure previste dal Piano, incentivi ed aiuti finanziari.

Molto interessante è il fatto che quasi tutti i Piani degli altri Stati membri esaminati, prevedono sistemi di copertura assicurativa per le imprese agricole qualora l’attuazione delle misure di uso sostenibile dei prodotti fitosanitari comporti come effetto negativo una riduzione delle rese delle colture.

Nessun piano a differenza dell’Italia promuove in modo specifico l’agricoltura biologica essendo ovviamente già supportata attraverso i Piani di Sviluppo Rurale operando così una scelta diametralmente opposta a quella effettuata dall’Italia che è già il secondo paese europeo per numero di ettari coltivati a biologico.

L’impostazione restrittiva e vincolistica del Piano italiano è emersa in modo evidente soprattutto dall’analisi comparata effettuata tra i diversi Piani per i capitoli dedicati alla tutela delle acque, ai controlli sulle attrezzature e alle aree protette.

Tutti i Piani degli altri Stati richiamano per questi tre settori le norme già in vigore di derivazione comunitaria e nazionale e non introducono alcun provvedimento aggiuntivo a differenza del Piano italiano che prevede elaborazione di linea guida per introdurre ulteriori  misure di tutela nel settore delle acque e delle aree protette ignorando che il d.lgs. 152/2006 prevede già misure volte a raggiungere i medesimi obiettivi della direttiva.

Eclatante è, poi, il fatto che nessun Paese tranne l’Italia e la Bulgaria, impongono l’agricoltura biologica e la riduzione quantitativa dei fitofarmaci nei Parchi, nelle aree protette e nelle zone di rete Natura 2000, neanche la Danimarca che registra, come sopra evidenziato, un +35% nel consumo di fitofarmaci a livello nazionale, ma non solo: nessuno di questi Stati membri è andato a considerare tra le aree protette oggetto delle misure del Piano nazionale, le zone della convenzione di Ramsar.

Altro aspetto per cui lo schema di Piano nazionale italiano si contraddistigue per le sue misure penalizzanti verso le imprese agricole è quello relativo ai controlli sulle macchine irroratrici di prodotti fitosanitari. Il Piano nazionale italiano prevede un numero di adempimenti che assume dimensioni macroscopiche se paragonato a quanto hanno disposto gli altri Paesi europei partendo da un assunto, non confortato da alcun dato statistico, che in Italia si è molto più indietro in termini di controlli rispetto a quanto prevedono gli altri Stati membri in questo settore.

Peccato che le Amministrazioni che hanno redatto il Piano nazionale italiano non tengano conto del fatto che da anni sono in vigore le norme per la sicurezza nei luoghi di lavoro che esigono, pena pesanti sanzioni, che tutte le macchine agricole impiegate in agricoltura debbano rispondere a determinati requisiti di efficienza funzionale stabiliti dalla legge e che a complemento di tali obblighi la verifica funzionale dell’attrezzatura per l’irrorazione dei fitofarmaci con cadenza almeno quinquennale è già imposto, almeno per le imprese agricole che aderiscono alle misure agroambientali, dal DM n. 30125 del 22 dicembre 2009, “Disciplina del regime di condizionalità ai sensi del regolamento (ce) n. 73/2009 e delle riduzioni ed esclusioni per inadempienze dei beneficiari dei pagamenti diretti e dei programmi di sviluppo rurale” e sue successive modificazioni. Ci sono, infatti, Regioni quali ad es. l’Emilia Romagna, dove le verifiche su tali attrezzature sono eseguite già da anni dalle imprese agricole.

In conclusione, è evidente che la differenza di impostazione del nostro Piano rispetto a quella degli altri Paesi deriva dal fatto che in nessun altro Paese europeo la redazione del Piano nazionale di attuazione della direttiva sull’uso sostenibile è stato affidato al Ministero dell’ambiente, ma come sarebbe logico, al Ministero dell’Agricoltura e, quindi, la connotazione fortemente ambientalista delle misure che si vorrebbero introdurre in Italia è talmente evidente da essere risultata imbarazzante nel corso delle relazioni che mettevano a confronto gli adempimenti che saranno a carico delle imprese agricole italiane rispetto a quelli che graveranno in tono decisamente minore e più concretamente attuabili alle imprese agricole degli altri paesi europei.

Decisamente poco rassicurante, è stato, infine, l’intervento del Ministero dell’Ambiente rispetto alla possibilità di riformulare il Piano italiano nell’ottica della semplificazione a seguito delle osservazioni pervenute in base alla consultazione pubblica chiusasi a gennaio di quest’anno, in occasione della quale Coldiretti ha presentato numerose richiese di modifica del Piano. Il Ministero dell’ambiente, infatti, ha dichiarato che di tutte le osservazioni pervenute saranno presi in considerazione “al massimo cinque o sei punti di natuta tecnica” in quanto non c’è alcuna intenzione di modificare in modo significativo l’impostazione del Piano e che alcune osservazioni presentate, che presuppongono scelte di natura politica, saranno rimesse alla Conferenza Stato Regioni che dovrà approvare il documento in via definitiva.

Intanto, al momento si attende secondo la procedura stabilita dal d.lgs. 150/2012 che sia firmato dal Ministero delle Politiche Agricole, il decreto ministeriale con quale si istituisce il Consiglio tecnico scientifico che è l’organo competente ad elaborare il Piano. L’amara sensazione è comunque che non ci sia da parte delle Amministrazioni che stanno lavorando al Piano nazionale italiano, alcuna volontà di tener conto di quanto emerso dall’analisi comparata con i Piani nazionali degli altri Stati membri. Le differenze in termini di oneri a carico delle imprese agricole erano già state evidenziate da Coldiretti ben prima del seminario tenuto dalle Giornate fitopatologiche, anche in occasione di un’incontro istituzionale con il Ministero delle Politiche Agricole, nel corso del quale Coldiretti aveva sollevato l’attenzione sulla necessità di ispirarsi all’impostazione semplificata dei Piani della Spagna e della Gran Bretagna.

Purtroppo, se non interviene una riflessione politica adeguata sulle conseguenze che le attuali misure proposte possono avere in futuro sul nostro sistema agroalimentare, la penalizzazione per le nostre imprese sarà una conseguenza inevitabile e quello che più è intollerabile è che tale penalizzazione non trova alcuna giustificazione sulla base dei dati disponibili in merito alla distribuzione e all’impiego dei fitofarmaci in Italia. Ciò costituisce una palese violazione di quanto stabilito dal comma 4, art. 6 del d.lgs. 150/2012 che, conformemente alla direttiva, stabilisce che il Piano deve essere elaborato tenendo conto anche dell’impatto socio economico ed agricolo delle misure previste.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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