il Punto Coldiretti

Vino biologico, a Bruxelles si discute sul nuovo regolamento

In questi giorni il Comitato permanente agricoltura biologica della Commissione europea (Scof –Standing Committee on Organic Farming) sta entrando nel vivo della discussione della proposta di regolamento relativa al vino biologico.

Sulla base dei risultati del progetto Orwine, con il quale la Commissione Europea aveva chiesto agli Stati membri partecipanti di indicare le linee di indirizzo della normativa, è stata redatta una proposta di regolamento per quanto riguarda i prodotti biologici del settore vitivinicolo che modifica il reg. Cee 889/2008 di applicazione del reg. Ce 834/2007, il provvedimento quadro di disciplina dell’agricoltura biologica che ha sostituito il reg. Cee 2092/91.

La proposta di regolamento stabilisce l’elenco dei prodotti e degli additivi ammessi che per lo più devono derivare da produzioni biologiche, così come sono stabilite le pratiche e le tecniche di vinificazione consentite nonché  le eventuali restrizioni.
Oggetto principale di discussione, in sede comunitaria,  è la riduzione di anidride solforosa nei vini biologici. Coldiretti in merito ha sempre sostenuto che occorre una disciplina quanto  più possibile restrittiva al fine di differenziare nettamente il vino biologico rispetto a quello convenzionale.

Coldiretti è intervenuta, sin dall’inizio, nell’ambito del gruppo di lavoro appositamente istituito dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, chiedendo una  disciplina del vino biologico quanto più possibile conforme agli standard Nop adottati negli Usa secondo i quali solo i vini privi di anidride solforosa possono essere etichettati come biologici, mentre quelli che la contengono in percentuali anche minime, sono classificati come vini ottenuti da uve biologiche.

In  considerazione di ciò Coldiretti ha sempre chiesto al Ministero di  rappresentare in sede comunitaria una posizione negoziale molto rigida non solo per quanto concerne la questione dell’anidride solforosa e degli additivi in generale, ma anche con riferimento alla pratiche di vinificazione ammesse affinché siano rispettati i principi fondanti del metodo di produzione biologico.

L’obiettivo, infatti, secondo Coldiretti dovrebbe essere  quello di giungere alla produzione di un vino biologico di alta qualità senza utilizzo di solforosa ed, eventualmente, solo in una fase iniziale transitoria di compromesso, si potrebbe prevedere  un limite iniziale di utilizzo di anidride solforosa pari al 50% rispetto ai parametri stabiliti per i vini convenzionali con obbligo di revisione triennale.

Coldiretti ha, inoltre, espresso contrarietà rispetto alla possibilità di prevedere la concessione a favore degli Stati membri di deroghe rispetto alle percentuali di anidride solforosa consentite o di norme tecniche di produzione diversificate a seconda delle differenti zone climatiche.

In questa fase di discussione a livello comunitario, il compromesso raggiunto dagli Stati membri e riportato nella proposta di regolamento è che il contenuto di anidride solforosa espressa in milligrammi per litro dovrebbe essere 50 mg/l in meno rispetto ai livelli fissati nel reg. Ce 606/2009 di disciplina dei vini convenzionali, per i vini biologici secchi rossi e  bianchi e 30 mg/l in meno per tutte le altre categorie di vini. In linea generale il tenore totale di anidride solforosa dei vini convenzionali, diversi dai vini spumanti e dai vini liquorosi, non può superare, al momento dell’immissione al consumo umano diretto i 150 mg/l per i vini rossi ed i 200 mg/l per i vini bianchi e rosati, parametri più alti sono invece previsti per i vini con un tenore di zuccheri, pari o superiore a 5 g/l.

Pertanto nel caso dei vini biologici la riduzione di anidride solforosa proposta è del 30% in meno per i rossi ed i bianchi e del  25% in meno per gli altri vini, ma ben più grave è la norma che consentirebbe, in eccezionali condizioni climatiche, l’uso di quantitativi supplementari di solfiti fino ai livelli massimi fissati dal regolamento generale di disciplina delle pratiche enologiche convenzionali.

L’orientamento restrittivo sull’uso dell’anidride solforosa, adottato dalla proposta di regolamento, è fortemente osteggiato dalla Germania che per ragioni climatiche non riesce a produrre vini biologici senza l’impiego di tale sostanza e vorrebbe, quindi, che fossero fissati i medesimi livelli stabiliti per i vini convenzionali. La  Spagna la Francia la Gran Bretagna e la Danimarca, pur avendo posizioni meno rigorose dell’Italia, concordano sul fatto che debba comunque esserci una differenziazione nei limiti di utilizzo dell’anidride solforosa tra vini biologici e convenzionali. Nella discussione una variabile incerta è costituita dai paesi dell’Europa dell’est che potrebbero optare per una posizione più vicina a quella tedesca.

L’auspicio è che si formi una coalizione tra i paesi che hanno un orientamento più vicino all’Italia in modo da isolare la posizione tedesca che viola il principio fondamentale della naturalità del metodo di produzione biologico secondo il quale l’alimento deve essere ottenuto con il minor impiego possibile di sostanze chimiche, in modo tale che si vuole forzatamente ottenere vini biologici da aree non vocate a tali produzioni.

A questo punto il metodo di produzione biologico non costituirebbe più uno strumento di valorizzazione delle produzioni legate al territorio così come ha sempre sostenuto Coldiretti, ma diverrebbe un metodo di produzione finalizzato ad ottenere un prodotto di qualità scadente ed ingannevole per il consumatore che intende acquistare il vino biologico proprio perché rispondente a criteri di naturalità e di massimo rigore nel processo di produzione.

Del resto, perché il vino bio possa avere successo di mercato deve proporsi con un immagine ben differenziata rispetto ai vini convenzionali nell’ambito dei quali eccellono prodotti di altissima qualità accreditati da tempo anche sui mercati esteri.

Oltretutto, in Italia esistono già imprese biologiche e biodinamiche che producono vini senza l’impiego di anidride solforosa e ciò dimostra il fatto che un impresa agricola, grazie alla vocazionalità del territorio, alla selezione delle uve e alle buone pratiche agronomiche, può ottenere un vino biologico di qualità  ricorrendo al minimo all’uso di additivi e di processi di vinificazione propri dei metodi enologici convenzionali.

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