il Punto Coldiretti

Cernobbio, l’agricoltura nelle analisi dei protagonisti del mondo economico, sociale e scientifico

Antonio Marzano
Presidente del Cnel

Qualità, ricerca e lotta ai falsi Made in Italy. Questa la ricetta per il rilancio economico che Antonio Marzano, Presidente del Cnel, ha presentato al forum dell’agricoltura di Cernobbio organizzato dalla Coldiretti. I ritardi nelle infrastrutture, l’eccessiva burocrazia e l’assenza di una riforma fiscale ci sono costati, secondo Marzano, una mancata crescita del 3 per cento del Pil. L’Italia, ha detto il Presidente del Cnel, fa poca ricerca e quindi innovazione, perdendo competitività. Marzano si è anche scagliato contro l’agropirateria, auspicando poi un miglior funzionamento della distribuzione commerciale e della filiera, con una valorizzazione del patrimonio culturale e anche ambientale. L’agricoltura, ha spiegato il Presidente del Cnel, è il primo fronte dal quale si difende il territorio.

Donato Ceglie
Magistrato Procura di Santa Maria Capua Vetere

“Ringrazio il presidente Marini e la Coldiretti per avere investito sul rapporto sulle agromafie e sul tema delle regole e il loro rispetto come precondizione per svolgere  qualsiasi mestiere. Ma se abbiamo le regole e non le rispettiamo abbiamo un grosso problema”. E’ quanto ha affermato  il magistrato Donato Ceglie, intervenendo ai lavori del X Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione organizzato dalla Coldiretti. “Non dobbiamo pensare che qualsiasi mestiere possa essere fatto in violazione delle norme. Penso al campo dell’alimentazione, alla gestione dei rifiuti, alla tutela delle acque e delle corretto sviluppo urbanistico. Deve essere chiaro che l’imprenditore che viola le regole danneggia la collettività e danneggia anche  quegli imprenditori che  le rispettano. “L’esempio può essere indicato nella gestione dei rifiuti – ha aggiunto. E’ un errore attribuire solo alla mafia questi fenomeni. Non è tutto è  camorra. Usciamo da 15 anni da gestione commissariale straordinaria dei rifiuti. “Esistono società che sulla gestione dei rifiuti fondano  la propria attività. Ci sono casi di persone che hanno pensato di smaltire  rifiuti tossici sui terreni agricoli con gravi danni. Solo di recente, per la prima volta, ho visto gli avvocati della parte civile più numerosi degli avvocati degli imputati. Questo significa che c’è stato rispetto dello Stato, del territorio, della collettività. Queste sono le riposte di un territorio che si vuole bene. “Io sono convinto che non ci sia solo la via giudiziaria alla soluzione dei problemi, ma che ognuno debba fare la propria parte. Non c’è solo l’agricoltura. Se parliamo di abusivismo edilizio, ad esempio,viene fuori un dato preoccupante: in Lombardia è emerso che sono spariti 26.700 ettari di terreno e sono sparite nel nulla superfici pari a 5 città grandi come Brescia.   Qual è il territorio che vogliamo tutelare  se una regione grande come il Lazio e l’Abruzzo è sparita?”. “C’è poi il  tema dei controlli – ha proseguito Ceglie. Chi controlla sui controllori? Molti di essi infatti sono sotto controllo dai controllati e questo genera illegalità. E’ importante che tutti si sentano chiamati in causa a far parte della squadra della legalità. Nel caso della devastazione del territorio quando abbiamo sequestrato una città abusiva abbiamo pensato a cosa farne e abbiamo deciso di metterla a disposizione delle forze dell’ordine, dell’Università e degli imprenditori? “A questo proposito va ricordato come da  un sequestro di terre compiuto grazie all’assessore all’agricoltura della Campania Vito Mendolara –  ha concluso Ceglie –    è nata una cooperativa che ora produce pasta”.

Rosario Trefiletti
Presidente Federconsumatori

E’ chiaro che non godiamo di buona salute, dal punto di vista economico, sociale e politico. Questa situazione si riflette sulle famiglie e si trasforma in condizionamenti pesanti soprattutto quando riguardano il settore dell’alimentazione.
La questione della sicurezza alimentare è di estrema importanza  e grazie anche al lavoro svolto dai Nas , soprattutto nella filiera lunga, è molto aumentata la consapevolezza  nella famiglie verso questo tema. Proprio per questo si tratta di un problema che deve essere affrontato con tutte le attenzioni del caso.
Io penso che il sistema dell’HACCP , che è un  sistema basato sull’autoresponsabilità, non funzioni come dovrebbe. Bisogna quindi modificarlo, ma anche aumentare i controlli e le verifiche. Nella filiera corta ci sono invece risultati che ci piacciono di più e questo è un fatto positivo. E’ essenziale che nel caso si riscontrino problemi di sicurezza alimentare si facciano più controlli ma anche che si intervenga  con sanzioni severe.
Bisogna poi dare un’informazione al cittadino che non sia ingannevole e non si capisce perché la Coldiretti e le associazioni dei consumatori debbano fare una battaglia per avere l’indicazione dell’origine delle produzioni quando è un diritto naturale sapere cosa si mangia.
Come associazioni dei consumatori vogliamo anche puntare su una maggiore consapevolezza sociale. I lavoratori devono essere alleati con i cittadini e denunciare eventuali mancanze nei vari passaggi della filiera che mettono a rischio la sicurezza, la qualità e il valore del Made in Italy. Cruciale è anche la questione del rapporto prezzo – qualità. Sono aumentate la disoccupazione e la cassa integrazione ed è di conseguenza è diminuito il potere di acquisto delle famiglie, che sono così costrette a risparmiare.  Pertanto avanti tutta con la filiera corta, i farmers market e le esperienze dei gruppi di acquisto solidali.
Basta con le polemiche su queste esperienze e invece diamoci da fare per rispondere alle esigenze delle famiglie.
E’ necessario anche razionalizzare le filiere e da un punto di vista etico è meglio remunerare maggiormente il lavoro di un produttore invece di remunerare chi specula.

Fabrizio De Filippis
Università degli Studi Roma Tre

Il documento della Commissione Ue sulla nuova Pac, che verrà presentato il 17 novembre, sta già circolando in via informale. È una proposta “leggera”, di profilo (forse volutamente) basso, di tipo molto diverso dal passato, quando a questo stadio del dibattito la Commissione tendeva a “sparare alto”, per poi negoziare un compromesso.
Prevale un cauto gradualismo, ma con molte incognite su punti importanti. Sulle misure di mercato il silenzio è assordante: se ne sottolinea il bisogno, ma le idee sembrano poche e confuse. C’è ambiguità sull’omogeneizzazione del Pua per ettaro a livello Ue, dove si parla genericamente di “più equità” ma non si dice a quale meccanismo redistributivo ci si affiderà. Qui c’è un rischio per l’Italia, che sarebbe fortemente penalizzata da una redistribuzione legata agli ettari, ed è giusto opporsi con forza a tale ipotesi. Tuttavia, anche prescindendo da questo, in Italia sarebbe opportuno pensare subito a come gestire il processo di regionalizzazione del Pua a livello nazionale e regionale, giacché esso comunque comporterà una significativa redistribuzione tra vecchi e nuovi beneficiari. Nelle proposte ci sono anche spunti positivi: il richiamo alla necessità di riservare l’intervento agli agricoltori “attivi”; il sostegno alla competitività delle imprese agricole all’interno della filiera agroalimentare; il lavoro come parametro a cui fare riferimento nella distribuzione dei pagamenti diretti.
Più in generale, la Pac non sembra messa troppo male sul fronte del bilancio: il peso della spesa agricola si è andato riducendo; le forze interessate ad altre politiche non sembrano avere grandi idee e la coesione sta peggio della Pac. Il Commissario Ue al bilancio ha dichiarato che la Pac dovrà ridursi a un terzo del bilancio, una affermazione che come posizione iniziale di un negoziato non sembra minacciosa, considerando che già al 2013 la Pac sarà intorno al 40%. Piuttosto, il problema può essere la dimensione complessiva del Bilancio, che potrebbe ridursi.
In conclusione, non si profilano cambiamenti radicali per la Pac; piuttosto, una revisione graduale sotto regia francese. Lo stesso metodo adottato da Ciolos, di consultazione dal basso, non è certo quello delle riforme radicali. Questo significa che più che “rispondere” a proposte precise della Commissione, emendandole o modificandole come si faceva in passato, oggi si tratta di riempire di contenuti un pacchetto alquanto generico, senza farsi precedere da chi, come appunto la Francia, è già da tempo al lavoro.

Padraig Walshe
Presidente del Copa

La Pac non va cancellata. Lo ha detto Padraig Walshe, Presidente del Copa, durante il forum dell’agricoltura organizzato dalla Coldiretti a Cernobbio: “E’ l’unica politica comune che abbiamo in Europa e garantisce a 500 milioni di consumatori europei standard molto alti di qualità e sicurezza alimentare”. Secondo Walshe non sarà possibile avere le stesse garanzie con un budget più basso, un tema al centro delle discussioni a livello Ue mentre si avvicina la scadenza fra due anni delle misure fin qui adottate da Bruxelles per il settore agricolo. “Con l’ingresso di nuovi Paesi sono cambiate molte cose – ha spiegato il Presidente del Copa – e quindi non si può pensare a una riduzione delle risorse se vogliamo continuare ad avere gente che lavora nelle campagne, a fronte anche di un calo del 15 per cento dei redditi agricoli negli ultimi anni”. Il valore del settore è confermato, secondo Walshe, anche dai dati dell’occupazione: un lavoratore su 6 in Europa è nell’agricoltura, ci sono 40 milioni di addetti, di cui 30 milioni direttamente nelle aziende e il resto nel settore agroalimentare. Nonostante che dai prezzi all’origine a quelli al dettaglio, agli agricoltori resti solo una percentuale minima. Anche per questo, secondo il Presidente del Copa, la Pac non può essere cancellata. “Ma l’utilizzo delle risorse Ue deve essere più razionale – ha affermato – infatti da una parte ci vengono chiesti dei fondi da mandare in Brasile per salvare la foresta amazzonica, mentre dall’altra lo stesso Brasile favorisce la deforestazione per coltivazioni e allevamenti. Altro sintomo di incoerenza è poi l’importazione di prodotti extra europei che non hanno i nostri stessi standard in materia di sicurezza, uso di fitofarmaci e mercato del lavoro”. Per tutti questi motivi, secondo Walshe, la Pac è strategica e non deve essere cancellata o ridotta, ma anzi deve continuare a garantire al settore agricolo le risorse necessarie per continuare a vivere.

Jean-Paul Fitoussi
Presidente OFCE, Francia

“Siamo in una situazione difficile perché ci sono molte incertezze” così ha esordito Jean-Paul Fitoussi intervenendo al Forum internazionale dell’Agricoltura e Alimentazione organizzato da Coldiretti a Villa d’Este di Cernobbio. “Innanzitutto – ha detto l’economista – c’è stata una caduta della crescita come non mai più successo dagli anni Trenta. Oggi abbiamo una perdita di produzione molto elevata e siamo al di sotto del livello normale. Questo più in Europa che negli Stati Uniti”. Secondo i dati presentati nel suo intervento, tra il primo trimestre del 2008 e il 2010, c’è stata una perdita di reddito pro-capite molto alta nell’area Euro. “La Francia ha perso 3,5 punti – ha detto – la Germania 2,3, la Spagna 6, l’Italia 7, con una media europea pari a 3,6, al di sopra della perdita Americana”.
“La crisi – ha proseguito – è stata socialmente disastrosa perché ha comportato un aumento delle disuguaglianze sociali cresciute in due anni ad un livello superiore a quello degli ultimi 25 anni”. Secondo Fitoussi, a perdere sono state soprattutto le classi medie che oggi hanno un futuro meno brillante rispetto agli anni Settanta. “Dappertutto – ha sostenuto – i sistemi fiscali sono diventati meno redistributivi, anche a causa della diminuzione delle aliquote fiscali: in Francia sono passate da 12 a 4, in Italia da 32 a 5, negli Usa da 16 a 5. Questo spiega l’aumento delle diseguaglianze. La crisi ha quindi una origine sociale perché chi fa fatica a finire il mese è costretto a fare debiti, mentre chi beneficia dell’aumento delle diseguaglianze compra assets che creano bolle speculative”.
Le strategie attuali secondo l’economista non sempre sono adeguate perché sono basate su strategie nazionali che internazionalizzano però le ripercussioni negative. “Chi pratica l’austerità interna non fa una politica di cooperazione internazionale e chi invece basa l’uscita della crisi sulle esportazioni, come la Germania, ha una strategia debole perché le altre nazioni non accettano questo sistema e insorgono le guerre tra le monete. Per la crescita economica invece serve la crescita della domanda interna che consente di sviluppare gli investimenti”.

Richard Baldwin
Professore di economia internazionale al Graduate Institute di Ginevra

Una ripresa lenta e fragile per i prossimi anni in Europa. Questa la previsione di Richard Baldwin, professore di economia internazionale al Graduate Institute di Ginevra che ha esposto le sue tesi al forum di Cernobbio della Coldiretti. Secondo Baldwin esiste il rischio concreto di bolle speculative innescate dall’attuale politica monetaria sia della Bce che della Fed che stanno mettendo molta liquidità sui mercati, permettendo alle banche di prendere prestiti praticamente a tasso zero.
Per Baldwin ci sono due possibili trappole per il futuro economico della Ue: una riguarda il debito dei paesi più deboli come Grecia, Irlanda Portogallo, Spagna, ma anche l’Italia. L’eventuale ristrutturazione di alcuni debiti sovrani porterebbe a nuovi piani di salvataggio che diventerebbero ulteriore debito pubblico per gli Stati e quindi un problema per tutti con un possibile ritorno della recessione. Baldwin sostiene poi che un altro fattore di debolezza arriva dalla guerra delle valute fra dollaro e moneta cinese e dalla mancanza di coordinamento fra le principali economie mondiali.
Secondo Baldwin, però, la ripresa è iniziata, anche se è asimmetrica, visto che riguarda di più paesi del Bric invece che Usa, Ue e Giappone. I primi stanno vivendo un boom economico, accompagnato però da una ripresa dell’inflazione e la loro corsa non è in grado di trascinare tutto il mondo. Mentre America, Europa e Sol Levante stanno andando avanti con una crescita lenta e fragile, i cui effetti, se non ci saranno altre perturbazioni sui mercati, dovrebbe manifestarsi, pur debole, nei primi 6 mesi del 2011.

Carmel Cahill
Senior Counselior, directorate trade and agricolture, Oecd

L’OCSE ha una visione positiva sul futuro alimentare del mondo: l’agricoltura ha sempre aumentato la sua produttività e sarà in grado di farlo in futuro, a patto che ci siano gli imput giusti per rimuovere gli ostacoli all’innovazione e per ridurre gli sprechi. E’ il segnale che ha dato al Forum internazionale Agricoltura e Alimentazione di Cernobbio la signora Carmel Cahill dell’Ocse, dopo aver presentato un quadro piuttosto allarmante del futuro.
“Oggi – ha esordito la Cahill – un miliardo di persone non ha sufficiente accesso al cibo. Nel 2050 la popolazione mondiale dovrebbe raggiungere i nove miliardi e sembrerebbe che alimentare tutti possa essere una situazione disperata, anche perché negli ultimi anni, con la crescita incredibile della popolazione, è aumentato il numero dei sottonutriti”.
I problemi secondo la rappresentante dell’Ocse sono, oltre alla crescita della popolazione anche il problema dell’urbanizzazione, della domanda di biocarburanti, la disponibilità di terreni. “Le nostre proiezioni – ha detto – ci dicono però che nei prossimi anni la popolazione crescerà meno degli ultimi anni, mentre cresceranno i redditi in nuovi Paesi come Cina, Brasile, Indonesia. questo comporterà una variazione della dieta, ad esempio con una maggiore domanda di carne. I problemi da affrontare sono la disponibilità di terreni coltivabili, la disponibilità di acqua, i limiti di resa produttiva, i problemi di impatto ambientale”.
Definiti i problemi, la Cahill ha individuato le possibili soluzioni “Per l’acqua l’agricoltura deve adattarsi ad utilizzare l’acqua disponibile tenendo presente le necessità dell’industria manifatturiera e dell’uso domestico e quindi – ha sostenuto – dovrà arrivare ad un uso sempre più efficiente attraverso adeguate tecnologie irrigue e piante che abbiano meno necessità idriche. I terreni effettivamente ancora disponibili per la produzione agricola sembra siano circa 1,6 miliardi di ettari e ci sarà concorrenza per conquistarli. Inoltre aumenterà la produttività: negli ultimi anni è sempre costantemente aumentata ed è possibile che questo prosegua negli anni futuri. Bisognerà però verificare l’impatto ambientale e sarà una questione per i Governi. Per crescere – ha concluso – sarà quindi fondamentale avere un sistema di produzione sostenibile ed efficiente, un consumo razionale, capacità di innovazione, una efficiente commercializzazione internazionale. La terra quindi potrà essere in grado di sfamare la popolazione anche nel 2050. Il problema però sarà la capacità di acquisto delle popolazioni mondiali per accedere agli alimenti”.

Mauro Nori
Direttore generale dell’Inps

Boom dei voucher in Italia. Dal 2008 al 2010 l’utilizzo dei buoni lavoro è passato da 510 mila a 2 milioni e 800 mila tagliandi. Lo ha detto Mauro Nori, Direttore generale dell’Inps al forum dell’agricoltura di Cernobbio organizzato dalla Coldiretti, anticipando che la distribuzione dei voucher si sta aprendo anche alle tabaccherie e alle banche, proponendo il loro utilizzo per tutti quei lavoratori che si trovano sotto una certa soglia contributiva. Nori ha poi evidenziato come il sistema Inps sia in grado di controllare in tempo reale le posizioni di 16 milioni di lavoratori e che tale capacitò, unica al mondo, deve essere messa al servizio di una migliore lotta all’illegalità e alle frodi, anche nel settore agricolo.

Antonio Golini
Università la Sapienza di Roma

Il fenomeno delle migrazioni è ormai globale, interessa tutte le aree del mondo, e non può essere visto solo secondo la nostra ottica.
Negli ultimi decenni la grande spinta alla mobilità mondiale si è combinata con una forte denatalità di gran parte del mondo occidentale. Va considerato il fatto che prima c’erano mondi da popolare ora non è più così e questo genera frizioni.
La denatalità nel nostro Paese ha creato dei vuoti che sono stati riempiti dall’immigrazione. Gli immigrati infatti hanno contribuito all’aumento della popolazione italiana. Nel 2003 gli stranieri residenti in Italia al primo gennaio erano 1.543.000 mentre al primo gennaio 2010 erano 3.981.295.
Particolare attenzione  va posta in tutti i Paesi europei all’integrazione delle seconde generazioni, che alimentano in positivo e in negativo le interazioni sociali e culturali, tra le popolazioni  autoctone e le popolazioni immigrate. Attraverso di esse la società ospitante prende coscienza dell’irreversibile trasformazione che sta vivendo e la prima generazione di immigrati consolida la propria affermazione  quale integrante della società ricevente.
In Italia, fra il 1995 e il 2009 le nascite straniere  sono passate circa 9 mila a circa 70 mila. La distribuzione della popolazione immigrata è concentrata soprattutto nel centro-nord, poco nel sud. Questo in futuro porterà a un paradosso demografico e nel sud la popolazione sarà più vecchia, mentre nel centro nord più giovane. Questo fenomeno avrà ripercussioni anche sul PIL del nostro Paese.
E’ interessante anche rilevare che per quanto riguarda le abitudini alimentari, solo la prima colazione degli immigrati è simile alla nostra, gli altri pasti continuano ad essere diversi e legati al paese d’origine. L’alimentazione italiana però risulta in generale molto gradita.
Da parte degli immigrati si rileva anche un forte desiderio di disporre di spazi di valorizzazione del  proprio cibo, che quindi diventa un elemento di integrazione.
Le migrazioni vanno viste anche come strumento per creare e potenziare joint-venture in tutti i comparti del settore agroalimentare e questo anche perché ci si aspetta che fra il 2010 e il 2050 la popolazione in Africa aumenti di 965 milioni di persone e che quella dell’Europa diminuisca di 41 milioni
La migrazione coinvolgerà ancora di più il mondo negli anni a venire e deve essere vista come ponte fra culture alimentari diverse e quindi come ponte di scambio fra diversi prodotti e diversi processi  produttivi.

Arum Sharma
Direttore dipartimento Marketing Università di Miami, Usa

Parlando dei modelli alimentari e delle prospettive per il Made in italy, Arum Sharma, direttore del dipartimento di Marketing università di Miami (Usa), ha tratteggiato  come si evolverà il mercato alimentare.
Riferendosi al Made in italy ha evidenziato che per la sua valorizzazione è molto importante puntare sul fattore della conoscenza. 
 Durante l’analisi dei vari modelli di mercato e delle loro caratteristiche, ha parlato di mercato di massa e di mercato specializzato (esempio il biologico, il farmers market ec..) e ha sottolineato come si stiano affermando anche altri modelli, come il mercato locale e il mercato non locale.
“Sta emergendo il bisogno di conoscere l’origine del cibo e di valorizzare il suo aspetto legato alla tradizione, in contrasto con la globalizzazione – ha spiegato -; prendiamo l’ esempio del Bordeaux e di come cambia il prezzo da un Paese all’altro: la gente adesso è disposta anche a spendere di più per determinati prodotti. Per il futuro si pensa che il mercato con denominazione diventerà più piccolo e quello senza denominazione sempre più grande”.In questo modo i paesi con le strutture di costo più elevate potranno competere  meglio, il livello dei prezzi sarà più alto e paesi come l’Italia potranno competere più facilmente in questi mercati. “Secondo alcune indagini sul consumo dei cibi, sempre più persone vogliono conoscerne l’origine – ha precisato -; io penso che il modello della non denominazione sarà sempre dominante, tuttavia ci sono cambiamenti in atto”.
Secondo  Sharma, c’è un grande interesse verso il principio di conoscenza del cibo. Questa necessità di sapere è diffusa soprattutto in Asia, dove però, ad esempio, non c’è molto interesse per i cibi biologici. Ora c’è una forte preoccupazione per le persone che vogliono sapere da dove arriva il cibo e c’è un mercato molto ampio del cibo tradizionale.
Fra tutti i vari modelli emerge il fatto che il Brasile sarà in una posizione dominate, nonostante non abbia sussidi e utilizzi solo un sesto delle terre arabili.
L’Italia può competere sui mercati di massa ? L’Italia è leader mondiale per quanto riguarda la produzione di olio d’oliva ed è un grande esportatore di riso e vino. Le possibilità migliori per il made in Italy si possono trovare nella differenziazione.

Sergio Romano
Editorialista Corriere della Sera

Tutta colpa degli Stati Uniti. Secondo l’editoralista ed ex ambasciatore Sergio Romano, intervenuto al forum dell’agricoltura organizzato dalla Coldiretti a Cernobbio, le diverse crisi che hanno scosso il pianeta nell’ultimo secolo sono figlie della politica americana e delle guerre che ha generato. Il ritiro delle truppe Usa dall’Iraq lascerà un paese dove la guerra civile è dietro l’angolo e dove non sono stati affatto risolti i conflitti latenti fra i diversi gruppi etnici e religiosi. Anche l’invasione americana dell’Afghanistan non ha prodotto i risultati sperati, visto che dopo la sconfitta dei talebani nel 2001, gli Usa sono stati costretti a tornare nel paese nel 2005 e da allora gli avvenimenti non hanno certo preso una piega positiva, con una situazione che coinvolge anche l’Italia perché, afferma Sergio Romano “noi siamo alleati degli Stati Uniti e le alleanze non vanno bene solo per i giorni sereni, ma anche per quelli di tempesta”. Come quella che ormai da un secolo spazza le terre palestinesi e israeliane in una crisi mediorientale per la quale gli Usa avrebbero dovuto far pesare di più la loro mediazione, afferma l’ambasciatore, soprattutto in una situazione dove le colonie di Israele nei territori occupati dal 1967 e nella stessa Gerusalemme est rendono difficile qualsiasi prospettiva di accordo con i palestinesi. Secondo Sergio Romano, poi, gli americani sarebbero anche responsabili della crescita politico e strategica dell’Iran, avendo tolto di mezzo, con la guerra ai Talebani e a Saddam Hussein, i principali avversari di Teheran. E se dalla geopolitica si passa alla finanza, anche lì la colpa della crisi è degli Stati Uniti che hanno lasciato le briglie sciolte agli investitori speculatori che hanno poi destabilizzato il mercato. “In questo contesto – ha spiegato l’ambasciatore – all’inizio l’Europa non ha reagito bene, anche per le riluttanze della Germania a intervenire”. Poi però il Vecchio Continente ha fatto le cose giuste, nonostante una politica estera che è in realtà quella degli Usa. Intanto l’Italia, che ha tenuto sotto controllo il suo alto debito pubblico e che “non ha risentito della crisi edilizia”, deve fare conti con l’handicap rappresentato dalle regioni del sud (con il loro carico di problemi di criminalità, disoccupazione e lavoro) a fronte di un assetto costituzionale che, secondo Romano, deve essere cambiato perché non funziona. “Berlusconi non è rimasto con le mani in mano – ha detto Sergio Romano – sta cercando di fare le riforme all’inglese con delle leggi da approvare a maggioranza semplice, il che può anche andare bene, ma il problema è che Berlusconi lo sta facendo con leggi personali che servono solo a lui. Non è quindi un riformista credibile”. Infine, per quanto riguarda la situazione attuale, l’ambasciatore ammette di non capirci molto, soprattutto per quanto riguarda i rapporti fra il premier e Fini: “Entrambi stanno scivolando verso le elezioni, che in realtà non cogliono. Ed entrambi cercano di scaricare sull’altro la colpa della chiamata alle urne. E tutto questo è tempo perso per il Paese”.

Federico Rampini
Editorialista La Repubblica

Gli Sati Uniti sono attualmente immersi in una campagna elettorale furibonda che poterà alle lezioni di metà mandato. 48 ore dopo questo cruciale appuntamento Obama partirà per andare in Asia. Durante questo viaggio incontrerà due volte il presidente cinese. Questo indica dove si sta spostando il centro del mondo. L’Eurozona ha un ruolo sia di spettatore sia di vittima in questa sfida tra Usa e Pechino. Non sappiamo come sarà la seconda parte del mandato di Obama, ma a mio avviso vedremo la vera natura di moderato del presidente americano. L’America è in difficoltà e questo è uno dei sintomi del declino di un impero. C’è un degrado delle infrastrutture e di una parte del sistema scolastico, ma anche a causa delle forti spese causate dalle guerre in corso, mancano le risorse economiche per porvi rimedio.
La Cina invece è in forte espansione. Secondo Obama si passerà dalla dipendenza del petrolio alla dipendenza dell’energia solare con i pannelli made in Cina. Tra i Paesi più industrializzati ci sono i paesi scandinavi  e i paesi asiatici (l’America è solo al 20° posto). Il fascina della Cina si sta estendendo e questo Paese non ha risentito della recessione. Il confronto oggi non è solo con la Cina ma anche con altri Paesi come il Brasile, la Nuova Zelanda, l’Australia. Anche il Brasile è un fenomeno interessante che sfida l’America in casa propria ed è in grado di fare una  politica estera autonoma. Tutti questi Paesi guardano alla Cina come a una locomotiva economica ma anche come a una sfida.
Va sottolineato che la Cina si sta occidentalizzando sotto diversi aspetti, ma non per quanto riguarda i valori e questo rende complicato il dialogo. A differenza dell’occidente, in Cina c’è una classe dirigente selezionata in base alla performance(impostazione aziendale) ed uno degli obiettivi che si sta perseguendo è la stabilità sociale. La Cina vuole diventare una potenza industriale moderna, sensibile anche agli aspetti ambientali e dello sviluppo sostenibile. In quell’area infatti si stanno verificando sempre più di frequente fenomeni atmosferici estremi: siccità e inondazioni. Sono molte però le sfide che devono affrontare  per raggiungere questo obiettivo e hanno anche tempi molto lunghi.
In questo scenario sono diversi gli elementi di criticità per il futuro: c’è il forte rischio che dopo il prossimo ritiro dall’Afghanistan si verifichi un colpo di stato in Pakistan e Al Qaeda si appropri di testate nucleari, un possibile conflitto tra Paesi debitori e paesi creditori. Inoltre nel confronto tra Occidente e Cina va rilevato che noi stiamo perdendo fiducia nelle  democrazia. In questo scontro di civiltà noi abbiamo molte carte da giocare purché crediamo fortemente nei nostri valori.

Stefano Gardelli
Autore del libro “L’Africa cinese”

L’Africa è la nuova frontiera della conquista economica cinese del mondo. A spiegarlo, durante il forum dell’agricoltura di Cernobbio organizzato dalla Coldiretti, è stato il professor Stefano Gardelli, autore del libro “L’Africa cinese”, in cui analizza i modi e le ragioni dell’espansione cinese nel continente nero, partendo dal fatto che l’interscambio commerciale fra Cina e Africa ha raggiunto i 100 miliardi i dollari nel 2008, anticipando di due anni gli obiettivi del 2010.
Nel continente nero ci sono 1.600 aziende cinesi contro le 500 del 2004. Ma non c’è solo l’economia, infatti la Cina sta muovendo anche a livello politico, con incontri e rapporti diplomatici a 360 gradi e meeting fra Stati che diventano sempre più importanti. Pechino si sta espandendo anche nel campo dei servizi informatici e nella cultura, tanto che nelle università africane si moltiplicano i corsi di lingua cinese. Secondo Gardelli, Pechino ha capito che l’Africa è sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda l’atteggiamento di diffidenza e sospetto verso l’Europa e l’Occidente, atteggiamento figlio del passato periodo coloniale. Dalla metà degli anni Novanta fra Cina e Africa è stato siglato un “patto di ferro” sempre più forte in tutti i settori. La Cina offre riconoscimento politico, risorse finanziarie e aiuti e in cambio si espande nell’estrazione delle materie prime, nella coltivazione di porzioni sempre più vaste di territorio per garantirsi una fornitura costante di cibo senza l’incubo delle fluttuazioni dei prezzi e dei mercati che rischiano di portare instabilità sociale alle porte di Pechino. Anche perché la Cina, con il 20 per cento della popolazione mondiale ha solo il 7 per cento delle terre coltivabili e allora le cerca dove è possibile trovarle, e quindi anche in Africa, la nuova frontiera dove sono emigrati migliaia di coloni contadini cinesi grazie a contratti di affitto delle aree agricole con durate fra i 50 e i 100 anni. Di fronte a tutto questo, ha evidenziato Gardelli, c’è stato un sostanziale immobilismo da parte dell’Europa.

Marcella Trombetta
Università Campus Bio-Medico Roma

Dal bel cibo stiamo andando verso il cibo bello, ovvero tutte le ciambelle riescono con buco, ma potrebbero non essere ciambelle. E’ stata questa l’ipotesi sostenuta da Marcella Trombetta dell’ Università Campus Bio-Medico Roma, nel suo intervento al Forum di Cernobbio sullo “Sviluppo delle tecnologie alimentari: i rischi e le responsabilità”.
Trombetta ha ricordato che le tecnologie di conservazione degli alimenti è antica come la storia dell’uomo e con il loro sviluppo è cresciuta anche la tecnica delle frodi. “Le tecnologie di pastorizzazione, liofilizzazione e altre tecniche di conservazione hanno salvato l’uomo in situazioni di calamità naturali, di carestie – ha detto la docente – nello stesso temo, lo sviluppo delle tecnologie, come ad esempio la lattina per alimenti ha influito sui comportamenti dell’uomo”.
Una delle svolte più importanti secondo Trombetta si è avuta con la conquista dello spazio che ha portato alla necessità di garantire la sicurezza agli astronauti. Da qui è nato l’Haccp. “E’ un sistema che però non ha risolto tutti problemi – ha affermato Trombetta – come dimostrano le vicende di questa estate delle 70 mila mozzarelle blu e il ritiro di 28 milioni di scatole della Kellogs”. Secondo Trombetta, forse per ridurre le infrazioni bisogna pensare per l’attività di trasformazione ad un sistema di semplificazione come è avvenuto per le aziende agricole con la pubblicazione del manuale di corretta prassi operativa per la sicurezza alimentare redatto da Coldiretti che ha fatto scendere le infrazioni dal 2,8% allo 0,8%. “Il consumatore, quando va a fare la spesa – a detto Trobetta – deve preoccuparsi che l’alimento sia fresco, conservabile, naturale, di bell’aspetto. Ed è proprio quest’ultima caratteristica che sta emergendo sempre di più, al punto che oggi le aziende si stanno spostando verso la conquista estetica del consumatore: l’alimento deve costare sempre meno per chi lo produce e deve essere sempre più bello per il consumatore”.

Persichetti Paolo
Università Campus Bio-Medico Roma

“E’ necessario puntare ad una corretta fruizione dei beni di consumo nell’ottica di ciò che veramente serve al singolo. Solo così si potranno porre le basi di una società giusta e responsabile”. E’ il messaggio lanciato dal professor Paolo Persichetti  dell’Università Campus Biomedico di Roma nel corso della seconda giornata del forum internazionale di Cernobbio con la relazione su “Etica ed estetica dei consumi”, da cui è emerso il quadro di una società governata attualmente dal concetto della bellezza a tutti costi che però deve necessariamente iniziare a puntare all’etica come elemento imprescindibile. “La società dei consumi obbliga ad assoggettarsi alla legge dell’estetica, secondo la visione aristotelica che connette il bello al buono” ha sottolineato Persichetti “il desiderio di bellezza è ormai condizionante, tanto che l’industria estetica è una delle poche a non aver subito contraccolpi nonostante la crisi economica. E questo perché i mezzi di comunicazione diffondono messaggi e promuovono modelli che, se non vengono raggiunti, producono frustrazione”. Una visione della società che contraddice e si contrappone al concetto di trasmissione valoriare che si lega per tradizione e storia alla società rurale, modello esistenziale che sembra puntare ad un concetto “non bello ma giusto dell’esistenza”, a cui bisognerebbe aspirare per il benessere individuale  e l’elevazione degli standard esistenziali. Obiettivo ambizioso in cui si inserisce una breve ma importante passaggio sugli Ogm, che tra tutti i beni di consumo sono esempio concreto di “ciò che va a scapito di una società giusta”. “Dobbiamo rendere i singoli capaci di distinguere ciò che è importante per il benessere e ciò che non serve” ha concluso Persichetti “la bellezza sarà sempre importante ma deve essere supportata dal senso di responsabilità necessario ad una società sorretta da un sistema di valori”.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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