Oro giallo torna a brillare, serve più trasparenza
Articolo di Paolo Falcioni pubblicato sul settimanale economico Monta allegato a IlTempo, IlGiornale e Libero del 4 ottobre L’oro giallo dell’Italia torna a brillare dopo un 2024 disastroso per i raccolti con la produzione che era scesa per la prima volta al quinto posto tra i principali player, preceduta in Europa da Spagna e Grecia e nel mondo anche da Turchia e Tunisia, secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Coldiretti su dati dell’Olive Oil Concil (Coi). L’analisi congiunta di Unaprol, Coldiretti e Foa Italia per la nuova campagna di raccolta delle olive, appena iniziata, prospetta una netta ripresa con la produzione nazionale di olio che dovrebbe attestarsi intorno alle 300mila tonnellate, con un +30% rispetto allo scorso anno quando il raccolto aveva raggiunto un quantitativo di appena 224 mila tonnellate su oltre un milione di ettari di terreno dedicati alla coltivazione di olivi in Italia. La situazione più positiva arriva dal Mezzogiorno, dove si prevede un incremento produttivo tra il 30% e il 40% grazie alle piogge estive che hanno salvato la fioritura compromessa in primavera con Puglia e Calabria che, da sole, rappresentano oltre il 60% della produzione nazionale. Criticità al Centro dove la situazione è disomogenea con cali medi del 10-15%, mentre al Nord si stima un crollo del 40% a causa del maltempo. Nonostante i segnali complessivamente positivi l’Italia, che è il principale consumatore mondiale di olio di oliva, resta tuttavia abbondantemente sotto l’autosufficienza e ben lontana dai valori del passato (30 anni fa nel 1995 fa la produzione era di 448mila tonnellate). A pesare nel tempo sono stati gli effetti dei cambiamenti climatici, i vecchi impianti, la scarsa disponibilità di acqua, la strage provocata dagli attacchi di organismi alieni come il batterio della xylella, arrivato dal Costarica e che ha contagiato oltre 21 milioni di piante. Ad aggravare la situazione del settore olivicolo anche le pratiche sleali e la mancanza di reciprocità nelle regole con il prodotto importato, tanto a livello di utilizzo nella coltivazione di pesticidi vietati nell’Unione Europea quanto di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente. Un vero e proprio fiume di prodotto che finisce spesso per essere spacciato per nazionale anche attraverso frodi e adulterazioni creando difficoltà al vero Made in Italy. “L’aumento di produzione non deve distogliere dall’urgenza di investimenti in infrastrutture, ricerca e innovazione in tutte le aree del Paese. Serve implementare piani di sviluppo che garantiscano al comparto olivicolo italiano la resilienza necessaria ad affrontare le crescenti e imprevedibili sfide climatiche future. L’obiettivo rimane quello di sostenere tutti i produttori e rafforzare la posizione di eccellenza dell’olio extra vergine d’oliva italiano sui mercati globali” ha dichiarato David Granieri, vicepresidente nazionale di Coldiretti e presidente di Unaprol – Consorzio Olivicolo Italiano. “Per garantire olio extravergine d’oliva buono e sostenibile sugli scaffali è importante raggiungere l’obiettivo di aumentare del 25% le piante di ulivo entro i prossimi 7-10 anni, accelerando sul fronte della tracciabilità a livello europeo” conclude Granieri. Il 70% degli uliveti italiani è infatti situato in aree montane e collinari, vale a dire in quelle zone interne del Paese a maggior rischio di abbandono. Ed è per questo che è importante agire attraverso il recupero degli oliveti abbandonati con misure dedicate al ringiovanimento degli impianti tradizionali ed eroici ma anche effettuare l’espianto e reimpianto con varietà italiane adatte alla meccanizzazione, con sistemi moderni. Senza dimenticare la necessità di garantire la disponibilità di acqua con investimenti per la realizzazione di un piano bacini sollecitato da Coldiretti e dall’Anbi (Associazione Nazionale Bonifiche Italiane). L’Italia è il principale importatore mondiale di olio di oliva con oltre 400mila tonnellate delle quali ben 70mila arrivate da paesi extracomunitari nel 2024, per la quasi totalità dalla Tunisia che gode di un regime agevolato dall’Unione Europea ma che non sempre rispetta gli stessi parametri di sicurezza alimentare, tutela sociale ed ambientale. In Italia è arrivato il 27% dell’olio esportato dalla Tunisia da novembre 2024 ad agosto 2025 con un prezzo medio all’esportazione ad agosto 2025 che ha oscillato tra 7,57 dinari al kg (2,29 euro) e 17,22 dinari al kg (5,22 euro) a seconda della categoria, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Osservatorio Nazionale dell’Agricoltura della Tunisia (Onagri). L’olio d’oliva tunisino confezionato ha rappresentato solo il 15% delle esportazioni. A pesare sulle imprese agricole del settore e sui frantoi è proprio la mancanza di trasparenza sulla reale origine dell’extravergine in vendita sugli scaffali che spesso confonde i consumatori. Sulle bottiglie riempite con olio straniero, in vendita nei supermercati, è quasi impossibile nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” obbligatorie per legge nelle etichette. La scritta infatti è riportata in caratteri molto piccoli, posti dietro la bottiglia e, in molti casi, in una posizione sull’etichetta che la rende difficilmente visibile tanto che i consumatori dovrebbero fare la spesa con la lente di ingrandimento per poter scegliere consapevolmente. Una concorrenza sleale che trova spesso sponda nelle politiche commerciali di alcune catene della grande distribuzione che utilizzano l’extravergine come prodotto “civetta”, con offerte al ribasso che destabilizzano il mercato e minano la reputazione dell’offerta con un pesante impatto anche sulla produzione nazionale. Un comportamento che svilisce il valore del prodotto e altera la percezione dei consumatori non più disposti a pagare il giusto prezzo in un momento in cui la filiera olivicola italiana è messa alla prova da costi crescenti, scarsità di prodotto e instabilità di mercato. Quattro consumatori su dieci considerano importante la provenienza nell’acquisto di olio extravergine di oliva secondo un recente studio dell’Osservatorio SOL2EXPO–Nomisma che evidenzia come al secondo posto viene il prezzo (18%) e poi la fedeltà alla marca (15%). E nel fuori casa, il 37% degli italiani vorrebbe poter scegliere l’olio dal menù, e 4 su 10 sarebbero interessati ad approfondire le caratteristiche dell’olio EVO partecipando a corsi di food. Nonostante sia presente sulle tavole del 96% degli italiani, sembrano esserci dunque ampi margini di miglioramento sul fronte della conoscenza. Solo il 37% degli italiani è ad esempio consapevole del valore di “superalimento naturale” che l’olio EVO incorpora, grazie alla sua ricchezza di antiossidanti, polifenoli, vitamine e minerali e circa un italiano su due si dichiara interessato ad approfondire. Una battaglia per la trasparenza portata avanti in Italia dalla Fondazione EVOO SCHOOL impegnata sul fronte dell’educazione per aiutare a fare scelte di acquisto informate. Nata per volontà della Coldiretti e del Collegio Nazionale degli Agrotecnici, gode del pieno supporto operativo di Fondazione Campagna Amica e di Unaprol (Consorzio Olivicolo Italiano). Il suo obiettivo principale è di sostenere la conoscenza attraverso la realizzazione di incontri e corsi di formazione per studenti, consumatori, responsabili acquisti della GDO e operatori della ristorazione. Si tratta di tutelare un comparto strategico per il Made in Italy agroalimentare sul piano economico, occupazionale ed ambientale. La filiera olivicola italiana si distingue per la qualità e la sostenibilità dei suoi prodotti con un patrimonio di 533 varietà di olive, il più vasto tesoro di biodiversità del mondo. L’Italia ha la leadership in Europa per il maggior numero di oli extravergini a denominazione in Europa (43 Dop e 7 Igp). Per quanto in lenta crescita la produzione di Dop e Igp è arrivata oggi a pesare per il 6% su quella nazionale, contro il 2% di dieci anni fa. Anche per quanto riguarda la produzione biologica, le superfici coltivate, secondo questo metodo incidono per il 24% contro il 15% del 2013. Un valore riconosciuto all’estero con l’olio di oliva che dall’Italia raggiunge oggi 160 Paesi ed è stato pari nei primi sei mesi del 2025 a 231mila tonnellate in quantità (+18%) e di 1,4 miliardi in valore con un calo del 15% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno per effetto dei prezzi. Con 1/3 delle esportazioni in valore che si concentra negli Stati Uniti, che sono di gran lunga il principale buyer, ora a preoccupare sono i dazi ma anche il tasso di cambio con il dollaro che rende più onerose le importazioni. |
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