La flower economy Made in Italy vale 3,3 miliardi
Articolo di Paolo Falcioni pubblicato su Moneta, il settimanale economico allegato a Libero, Il Giornale e Il Tempo dell8 novembre 2025 Felci, ficus e aloe in case, uffici e aule scolastiche per purificare l’aria ed eliminare la presenza di polveri sottili e gas nocivi, E’ questa la nuova frontiera del florovivaismo che punta a garantire, oltre alla bellezza, anche benessere e salute, toccasana per mal di testa, stanchezza, problemi respiratori e cali di concentrazione, tipici della Sick Building Syndrome. Si tratta della sindrome dell’edificio malato che si manifesta quando le persone trascorrono molto tempo in uno stabile chiuso, per la scarsa qualità dell’aria interna, dovuta a ventilazione inadeguata, scarsa igiene dei sistemi di climatizzazione, o emissioni nocive da materiali e apparecchiature. Se effetti positivi dei profumi e dei colori dei fiori sull’umore sono stati oggetto di numerosi studi, a confermare i benefici delle piante arriva anche la recente sperimentazione tutta italiana Coldiretti–IBE-CNR (Istituto di Bioeconomia del CNR) dalla quale si evidenzia che inserendo determinate piante negli edifici scolastici, è possibile ottenere una riduzione del 20% di concentrazione di CO2 e del 15% di polveri sottili PM2,5. Ogni pianta da interno ha proprietà specifiche: se felce e fico beniamino sono efficaci contro il fumo di sigaretta, l’anturio e lo spatifillo neutralizzano l’odore pungente dell’ammoniaca, presente nei prodotti per le pulizie, il ficus e la violetta africana agiscono contro la trielina contenuta negli inchiostri di stampanti e fotocopiatrici mentre l’aloe e sansevieria sono perfette in camera da letto, perché assorbono CO2 e producono ossigeno anche al buio. Un vero balsamo per gli italiani che con l’arrivo del freddo sono costretti a rimanere al chiuso più a lungo ma anche nuove opportunità per gli imprenditori che nel tempo hanno dimostrato una grande capacità di innovazione nel settore che è diventato uno degli asset di punta del Made in Italy nel mondo, per creatività, gusto e professionalità. ll florovivaismo Made in Italy ha raggiunto nel 2024 il valore massimo di sempre con un fatturato di 3,3 miliardi di euro destinato ad aumentare quest’anno grazie alla spinta dell’export che ha raggiunto i 922 milioni di euro nei primi sette mesi del 2025, in aumento del 2% rispetto allo scorso anno. L’Italia vanta la seconda posizione fra gli Stati dell’UE, dopo i Paesi Bassi, per valore delle esportazioni. Un risultato sorprendente, in un momento di grandi tensioni sul piano del commercio internazionale, ottenuto grazie alla creatività e capacità imprenditoriale delle oltre 18mila imprese impegnate in Italia a coltivare piante e fiori di alta qualità su una superficie agricola di circa 30mila ettari. Per quanto riguarda la distribuzione geografica la classifica delle regioni con il maggior numero di imprese florovivaistiche vede nelle prime tre posizioni Emilia-Romagna (15%), Liguria (14%) e Lombardia (10%). Ed è quindi il Nord ad avere la meglio rispetto al resto dell’Italia con il 33% delle aziende del settore con sede nel Nord ovest, il 24% nel Nord est, il 17% nel Sud, il 16% nel Centro e il 10% nelle Isole. Con la crescente attenzione al verde e l’urgenza di prendersi cura dell’ambiente, il florovivaismo può avere un ruolo sempre più centrale nei prossimi anni, dalla rigenerazione urbana all’abbattimento dell’inquinamento atmosferico fino alla necessità di contrastare il surriscaldamento nelle città. L’ultimo rapporto sugli interventi dei vigili del fuoco per rimuovere tronchi, tagliare rami o mettere in sicurezza piante a rischio caduta conta nel 2024 circa 55535 mila interventi nelle città. Una analisi che evidenzia la necessità di intervenire con decisione nella gestione del verde urbano per garantire il benessere delle piante e la sicurezza dei cittadini. Un contributo può venire proprio dalla rivalutazione del ruolo degli agricoltori così come previsto dalla legge di orientamento che consente ai Comuni di delegare la manutenzione agli imprenditori agricoli florovivaistici ed evitare così una gestione improvvisata che mette in pericolo i cittadini. Ma le piante possono aiutare anche a combattere l’emergenza smog che assedia le città italiane. Un albero adulto è capace di catturare dall’aria dai 100 ai 250 grammi di polveri sottili mentre un ettaro di piante è in grado di aspirare dall’ambiente ben 20mila chili di anidride carbonica (CO2) all’anno. Promuovere essenze con il Leccio, la Fotinia, il Pittosforo, il Lauro o l’Eleagno aiuta dunque a rendere le strade più vivibili. Ma è importante anche il ruolo dell’Acero Riccio. E piante antismog sono anche la Betulla, il Cerro, il Ginkgo Biloba, il Tiglio, il Bagolaro, l’Olmo campestre, il Frassino comune e l’Ontano nero. Per ridurre l’inquinamento e mantenere l’impegno a contrastare i cambiamenti climatici è possibile, dunque, intervenire in modo strutturale sugli ambienti metropolitani favorendo la diffusione del verde pubblico e privato. Secondo l’Ispra diminuisce infatti la disponibilità di verde in città con il 2024 che registra una perdita ulteriore di oltre 3.750 ettari di aree naturali. In Italia ogni abitante dispone di appena 33,3 metri quadrati di verde urbano con una situazione preoccupante per i grandi centri dove si va dagli 18,8 metri quadrati pro capite di Milano ai 17,2 di Roma, ai 14,1 di Napoli, dai 9,6 di Bari ai 12,1 metri quadrati di Palermo, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat. La presenza di aree verdi è anche un baluardo contro il surriscaldamento, considerando che un parco di grandi dimensioni può abbassare il livello di calore da 1 a 3 gradi rispetto a zone dove non ci sono piante o ombreggiature verdi. Gli alberi infatti rinfrescano gli ambienti in cui si trovano grazie sia all’ombreggiatura che creano e sia alla traspirazione e fotosintesi del fogliame diventando dei grandi condizionatori naturali: un’area verde urbana di 1500 metri quadrati raffredda in media 1,5 gradi e propaga i suoi positivi effetti a decine di metri di distanza. A pesare sul settore è soprattutto la concorrenza sleale dall’estero “guidata” dall’Olanda che attraverso triangolazioni al porto di Rotterdam fa arrivare in Italia prodotti coltivati in paesi extracomunitari, dove spesso non sono rispettate le stesse regole europee in materia di tutela dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. Si tratta ad esempio delle rose prodotte in Kenya o in Colombia, che vengono coltivate grazie allo sfruttamento di minori, oltre all’impiego di sostanze vietate in Europa da decenni. L’Olanda rappresenta il principale fornitore dell’Italia, con oltre i 2/3 del totale delle importazioni secondo l’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che tra i Paesi extra-Ue spiccano invece Cina, Thailandia ed Ecuador. “Dobbiamo salvaguardare il prodotto florovivaistico italiano applicando il principio di reciprocità per fare in modo che tutti i fiori che entrano nel nostro Paese rispettino le stesse regole di quelli nazionali in termini di rispetto dell’ambiente e di tutela dei diritti dei lavoratori” sottolinea Ettore Prandini, presidente di Coldiretti. Negli ultimi cinque anni il valore degli arrivi di fiori e piante stranieri in Italia è più che raddoppiato (+120%), provocando una concorrenza sleale ai danni dei produttori nazionali. “Per questo è importante acquistare piante e fiori coltivati in Italia, direttamente dalle aziende florovivaistiche che li producono o scegliendo, negli altri canali, quei prodotti che riportano volontariamente il luogo di coltivazione” precisa il responsabile ortoflorovivaismo della Coldiretti, Lorenzo Bazzana, nel sottolineare che “a differenza dell’ortofrutta per piante e fiori non vi è l’obbligo di indicare in etichetta il luogo di coltivazione, ma Coldiretti sta lavorando per rendere più trasparente anche questo settore, in modo che le scelte del consumatore possano essere più consapevoli”. Gli effetti delle importazioni si fanno sentire anche con l’arrivo di insetti alieni che distruggono i vivai perché mancano gli agrofarmaci per combatterli. Un fenomeno favorito dai cambiamenti climatici con il moltiplicarsi di eventi estremi che distruggono le colture e la tendenza al surriscaldamento che causa anticipi nella fioritura, favorisce lo spostamento delle specie vegetali e aumenta la vulnerabilità delle piante alle malattie come la peronospora, oidio e l’alternaria. Il settore deve dunque investire in ricerca e sviluppo per trovare varietà di piante più resistenti alle nuove condizioni climatiche e alle malattie. Grandi speranze sono riposte nell’innovazione per la difesa delle colture e il miglioramento della qualità compresi il colore dei fiori, le dimensioni, la struttura, il profumo, la durata di conservazione e l’aumento della resistenza allo stress. Le nuove Tecnologie di Evoluzione Assistita (TEA), alle quali l’unione Europea sta per aprirsi, permettono di modificare il patrimonio genetico delle piante in modo mirato e simile a quello che potrebbe avvenire in natura, attraverso le mutazioni o l’incrocio, e hanno lo scopo di accelerare i processi evolutivi per ottenere le caratteristiche desiderate. Le TEA possono essere impiegate per migliorare geneticamente qualsiasi tratto di una pianta, ad esempio rendendole meno bisognose di fertilizzanti o più resistenti a siccità e a parassiti specifici, e possono essere la risposta al cambiamento climatico, che minaccia la biodiversità e le produzioni agrarie. Attualmente grazie al Crea molti esperimenti di “genome editing” sono stati eseguiti con successo in alcune piante ornamentali: ad esempio, per modificare il colore dei fiori delle petunie, dei crisantemi, del lilium, per aumentare la durata in vaso delle rose e delle petunie. |
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