Grano canadese bocciato, 1 chicco su 2 con funghi e danni da insetti
Due dei simboli della Dieta Mediterranea come grano e olio d’oliva sono sotto attacco, con gli arrivi di prodotto di bassa qualità dall’estero che mettono a rischio il lavoro degli agricoltori italiani facendo crollare le quotazioni all’origine. A denunciarlo è la Coldiretti mentre cresce l’allarme nelle campagne dove le eccellenze nazionali si ritrovano a fare i conti con pressioni e speculazioni. Oltre la metà del grano duro canadese è quest’anno di qualità pessima con chicchi fortemente germogliati, danni da insetti e funghi, secondo i risultati delle analisi delle autorità del Canada sul raccolto nazionale. Si tratta di una vera e propria beffa per i nostri agricoltori, considerato che gli arrivi di prodotto canadese nei porti tricolori nel 2025 sono praticamente raddoppiati, con un effetto dirompente sulle quotazioni del prodotto nazionale. Un’invasione spinta anche dal dazio zero che l’Unione Europea ha concesso ai cereali del Paese dell’acero, frutto dell’accordo commerciale Ceta. Non a caso Coldiretti è stata l’unica a opporsi alla ratifica dell’intesa che ha portato oggi ad un aumento esponenziale delle importazioni di grano canadese mettendo a rischio la sicurezza e la qualità delle nostre produzioni e danneggiando gli agricoltori italiani che garantiscono invece standard di eccellenza e di qualità unici al mondo. Contro questo scandalo sono scesi in piazza ventimila agricoltori della Coldiretti con un’imponente mobilitazione che ha portato il Governo ad accogliere la piattaforma di proposte elaborata dall’organizzazione agricola per fermare le speculazioni e l’azione dei trafficanti di grano. Grazie a questa azione, non solo è stata invertita la tendenza del mercato nazionale, ma è stata bloccata la corsa al ribasso dei prezzi che altrimenti sarebbero ulteriormente peggiorati. Quotazioni che restano però ancora su livelli inferiori rispetto ai costi di produzione definiti da Ismea. A rendere ancora più inaccettabile la situazione è il fatto che il grano canadese viene trattato con il glifosato, il cui utilizzo nel nostro Paese è vietato nella fase di pre raccolta a causa dei timori per i possibili effetti cancerogeni. Un fenomeno che mette a rischio la salute dei cittadini oltre a rappresentare una forma di concorrenza sleale verso gli agricoltori italiani, visto che nei Paesi extra Ue si continuano ad usare sostanze e pesticidi che in Europa sono vietati da decenni, grazie alla mancata applicazione del principio di reciprocità Una situazione che minaccia la sopravvivenza di quasi 140.000 aziende, spesso localizzate in zone interne prive di alternative produttive e quindi particolarmente esposte al rischio di desertificazione, soprattutto nel Sud Italia. La superficie coltivata a grano duro in Italia ammonta a quasi 1,2 milioni di ettari. Difficile anche la situazione dell’Uliveto Italia. Le importazioni di olio straniero sono quasi raddoppiate nel 2025 con un’accelerazione che alimenta le speculazioni ai danni dell’extravergine italiano, le cui quotazioni sono crollate del 20% nel giro di poche settimane, piombando sotto i costi di produzione. Nei primi otto mesi dell’anno gli arrivi di olio d’oliva straniero sono saliti a 427 milioni di chili, il 67% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un’impennata nel mese di agosto (+93%), alla vigilia della campagna di raccolta. Una vera e propria invasione che ha impattato sulle quotazioni del prodotto nazionale, sotto la spinta di contratti al ribasso. Da inizio ottobre il prezzo dell’extravergine è passato da 9,4 euro al chilo a 7,74 euro, con un calo di quasi il 20%, secondo l’analisi Coldiretti su dati Ismea. Una situazione inaccettabile che danneggia gravemente le imprese, poiché la remunerazione dell’olio evo tricolore sta scendendo sotto i costi di produzione. Si tratta peraltro di un’anomalia evidente, soprattutto se si considera la situazione del Frantoio Italia. Secondo l’ultimo rapporto dell’Icqrf le giacenze di olio al 31 ottobre 2025 risultano del 32,7% superiori rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, grazie soprattutto all’aumento della disponibilità di extravergine (+37,5%). Se si va però a guardare alla provenienza del prodotto, l’olio evo italiano è cresciuto di appena l’8,7%, mentre quello straniero è esattamente raddoppiato (+100%). Secondo Coldiretti non può essere dunque spiegabile un simile crollo delle quotazioni anche alla luce dell’arrivo dell’extravergine “nuovo” che normalmente dovrebbe portare a un incremento dei prezzi. Coldiretti e Unaprol chiedono all’Ispettorato Centrale Controllo Qualità l’istituzione di una Cabina di Regia straordinaria per coordinare le operazioni di contrasto alle irregolarità nel settore olivicolo. Sollecitano inoltre un piano straordinario di controlli nei porti e nei punti di ingresso delle merci per verificare l’origine dei prodotti e il rispetto dei limiti sui residui fitosanitari. Infine, propongono di monitorare i contratti “futures” sulle principali Borse Merci per prevenire fenomeni speculativi e frodi sull’origine. Secondo analisi settoriali pubblicate negli ultimi giorni, la produzione potrebbe attestarsi nella parte alta della forchetta e portare la Tunisia al secondo posto mondiale nella stagione in corso, dietro la Spagna. L a stima più ottimistica fissa l’output a circa 500 mila tonnellate. A livello territoriale, primi dati regionali confermano il trend positivo: a Monastir si prevedono 90 mila tonnellate di olive, equivalenti a poco più di 18 mila tonnellate di olio. L’avvio della raccolta è indicato fra metà ottobre e inizio novembre a seconda delle regioni. Il quadro tunisino si inserisce in un contesto mediterraneo in normalizzazione dopo due annate siccitose: le previsioni del settore segnalano un aumento dell’offerta nell’Ue e una domanda internazionale in graduale recupero. Gli indicatori del Consiglio oleicolo internazionale mostrano inoltre prezzi alla produzione in calo rispetto ai picchi del 2023-2024, con il baricentro dei listini ancora legato all’evoluzione delle rese autunnali. Sul fronte interno, le autorità finanziarie e di settore hanno avviato riunioni operative per sostenere la campagna, con il coinvolgimento del sistema bancario e richiami alla valorizzazione del prodotto tunisino tramite etichettatura e confezionamento. L’obiettivo dichiarato è accrescere il peso dell’olio imbottigliato rispetto allo sfuso, migliorando margini e notorietà sui mercati terzi. Resta, tuttavia, un nodo di mercato: il calo dei prezzi internazionali ha già compresso il valore medio all’export nell’ultima stagione, nonostante i volumi in aumento. Gli operatori segnalano l’esigenza di liquidità per l’acquisto della materia prima, una logistica più snella e una maggiore promozione del brand Tunisia per assorbire l’offerta attesa e difendere i listini. Se le rese di ottobre e novembre confermeranno le attese, la Tunisia si avvia verso una stagione di svolta, con la possibilità di scalare le gerarchie globali già nel 2025-2026. La tenuta dei prezzi e la capacità di spingere l’olio confezionato sui mercati extraeuropei saranno i fattori decisivi per tradurre il potenziale produttivo in maggiori entrate in valuta e in un rafforzamento strutturale della filiera. |
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