il Punto Coldiretti

Forum Cernobbio, tutti gli interventi

INTERVENTI PRIMA GIORNATA – LO SCENARIO INTERNAZIONALE

ANDREA BOLTHO
Professore Magdalen College, Oxford University

Ripresa nella zona anglo-americana, ripresina nella zona euro e ancora recessione in Italia. E’ questa la sintesi dell’intervento di Andrea Boltho, emeritus fellow al Magdalen College dell’università di Oxford, intervenuto al Forum internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio, organizzato da Coldiretti e Ambrosetti.
“Gli americani – ha detto Boltho – hanno in parte risolto i loro problemi e i loro tassi, bassissimi, dovrebbero riprendere. Ma non è detto che ciò che va bene per gli americani vada bene per l’Europa”. Boltho ha ricordato che in Cina continua la crescita del Pil (attorno al sette per cento), mentre in Europa si attende l’uscita dalla recessione, che “prima o poi arriverà – ha detto Boltho – anche se sarà più bassa di quella anglo americana, con qualche problema per l’Italia che è l’unico paese ad essere ricaduto in recessione dopo la grande recessione del 2009”.
La ripresa europea, secondo il docente, sarà a due velocità: più veloce quella dei Paesi del Nord, più lenta in quelli del Sud. Nei primi la produttività cresce, mentre arriva quasi a diminuire il costo del lavoro. Mentre al sud la situazione è opposta, con l’aggravante di un tasso di disoccupazione in crescita.
 

YVES MENY
Presidente Emerito Istituto Universitario Europeo

Populismo e democrazia – ha detto Yves Meny intervenendo al Forum di Cernobbio di Coldiretti – sono due fenomeni molto confusi. Il populismo ha origini americane ed è quasi sconosciuto in Europa fino agli anni 90. Successivamente esplodono i movimenti populisti. I motivi principali: la crisi delle ideologie e dei partiti tradizionali, la crisi del welfare state, la trasformazione delle strutture sociali riferite all’immigrazione; i cambiamenti economici e tecnologici e la globalizzazione.
Il populismo, quindi, è una definizione soprattutto negativa, perché è contro le élites, contro i partiti, contro le istituzioni di mediazione, contro le istituzioni non elette, contro lo straniero. Esiste pertanto un’ambiguità tra populismo e democrazia. La democrazia di tipo populista si riduce a degli slogan semplici quando invece le realtà economiche, sociali, politiche sono molto complesse. Quindi occorre sottolineare che il populismo è comodo per protestare e conquistare il potere, ma difficilmente consente di governare. Nel proseguire l’analisi Meny ha sottolineato che nel nostro Paese abbiamo tre tipi di populismo: il populismo alla Berlusconi, con una capacità forte di mobilitazione grazie ad argomenti versatili; un populismo alla Bossi, trasformazione di protesta settoriale in protesta territoriale; un populismo alla Grillo basato sulla pura protesta. Per ciò che concerne l’Europa, tranne che in Italia o in Svizzera i populismi hanno avuto un impatto limitato sulla governabilità. In conclusione che cosa c’è da imparare dal populismo? Innanzitutto le élites devono essere in grado di convincere il popolo della bontà delle loro proposte. Il problema italiano, quindi, è l’incapacità della classe politica ad innovare e cambiare da quasi 50 anni sul fronte democratico. Per ora non ci è riuscita neanche la scossa populista.

DOMENICO QUIRICO
Giornalista La Stampa

“All’inizio ci fu la primavera araba, che si manifestò in maniera repentina ed immediata. Ma la domanda che dobbiamo porci è: fu una vera rivoluzione?” Domenico Quirico, inviato del quotidiano  La Stampa, apre il suo intervento al Forum dell’agricoltura di Cernobbio con una provocazione che richiama l’attenzione alla situazione storico-politica del mondo arabo, con particolare  riferimento alle motivazioni da cui scaturirono le  proteste che agitarono molte regioni del Medio Oriente come Siria, Tunisia, Libia e ed Egitto tra l’inverno del 2010 e la primavera del 2011. “In un certo senso sì“, risponde il giornalista ripercorrendo gli ultimi anni della storia politica di “un mondo immobile che all’improvviso  si è messo in movimento”  perché “ad un certo punto la popolazione non si è riconosciuta più in chi governava”. 
La rivoluzione ha trovato fertile terreno soprattutto tra “i giovani privi dell’aspettativa del futuro” e nel malcontento dovuto a condizioni di vita molto dura, alla povertà estrema e all’aumento dei prezzi del generi alimentari. Il giornalista ha però anche evidenziato che “seppur esisteva una situazione oggettivamente rivoluzionaria,  non esisteva una elite maggioritaria con un progetto politico che sapesse trasformare la rivoluzione e incanalarla in una certa direzione”. Alla rivoluzione non avevano infatti partecipato i partiti islamici, i cui rappresentanti erano in prigione o in esilio, ma – ha evidenziato Quirico – ”sono stati gli stessi partiti di minoranza islamica a raccogliere poi l’eredità delle rivoluzioni traducendola  in un secondo tempo in potere politico”. Tant’è che, paradossalmente, nelle prime elezioni libere dopo la dittatura, la maggioranza delle popolazioni  tunisine o egiziane “non ha votato per i partiti che si rispecchiavano nei modelli occidentali  o europei, ma per i partiti islamici, e questo per due motivi principali” – ha sottolineato il giornalista de La Stampa – “In primo luogo perché avevano fatto resistenza ai regimi autoritari da cui erano stati cacciati ed esiliati, in secondo luogo perché avevano un progetto politico che non avevano gli altri”, tantomeno l’Occidente che con i regimi totalitari aveva fino ad allora convissuto.

 

INTERVENTI PRIMA GIORNATA – SVILUPPO E BENI COMUNI

GIULIO SAPELLI
Professore di storia economica, Università di Milano

Bisogna separare il concetto di sviluppo da quello di crescita. Parlare di sviluppo significa infatti parlare di capitale. Giulio Sapelli, professore di storia economica dell’Università di Milano, intervenendo al Forum di Cernobbio ha sottolineato le differenze tra questi concetti e l’importanza dei beni comuni. Un concetto da cui non si può prescindere.
Molto dipende dall’agricoltura come dimostra lo sviluppo del Brasile che grazie a 25 anni di buona politica ha realizzato la riforma agraria attuando  la piccola proprietà contadina e quindi un’economia fondata sul mercato interno ed evitato le grandi metropoli. Si dice della Cina che sta praticamente creando la sua rovina svuotando le campagne.  Le campagne vanno mantenute e la composizione sociale va mantenuta.
Sapelli ha poi ricordato il fenomeno Olivetti, l’industriale  italiano che ha favorito il mantenimento della qualifica di operai facendoli rimanere anche contadini. Lo stesso ha fatto la Polonia – ha concluso Giulio Sapelli – che non ha subito la crisi perché ha mantenuto per sè la base agricola e agroalimentare. 

RAJ PATEL
Universita’ della California, Berkeley

La sovranità alimentare fa parte attualmente della costituzione di cinque Paesi: Venezuela, Bolivia, Ecuador,  Mali  e Nepal. La food security ha una sua storia ed esiste dagli anni ‘70. Un concetto che, tradotto, afferisce all’accesso al cibo in un quadro liberale. Al giorno d’oggi la politica alimentare ruota intorno alle multinazionali che producono eccessi  di cibo, di calorie e rendono le persone “ingorde” e non solo dal punto di vista alimentare. In un contesto di libero scambio e monopolio alimentare si svaluta il mondo rurale con la conseguenza dell’ aumento della povertà oltre che della fame nel mondo.  Negli USA, ad esempio,  l’incertezza alimentare è cresciuta negli anni, i rapporti commerciali con i Paesi dell’Oceano Pacifico provocano 50 milioni di cittadini incerti.
La sovranità alimentare è un termine inventato dal movimento dei contadini. Un gruppo di 200 agricoltori dell’India, Brasile, Africa  che hanno osservato come ogni nazione debba decidere la propria politica sul tema ovvero decidere in proprio ciò che si vuole produrre. Spesso le posizioni non coincidono e allora la definizione moderna è la battaglia per la terra che corrisponde con la lotta per l’autonomia  rispetto ad una cultura predominante.
Ad esempio nello Stato del Malawi si è riscontrato che più cibo si produceva più c’era  malnutrizione infantile. Dunque si è accertato che la raccolta del prodotto era compito  delle donne, come lo era la cucina e la pulizia. Troppo lavoro che non permetteva alle mamme di allattare al seno. E’ dunque importante giungere ad un cambiamento radicale, in questo caso mutando i ruoli e convincendosi che non serve produrre di più, ma ridistribuirlo meglio. La sovranità alimentare – ha concluso Patel – va cercata nei governi, ma non deve essere regalata bensì conquistata dagli agricoltori che devono smettere per primi di appoggiare le multinazionali e avviare la loro scienza.

FRANCO ISEPPI
Presidente Touring Italiano

Nel suo intervento alla tredicesima edizione del Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio, il presidente del Touring Italiano Franco Iseppi ha analizzato alcuni aspetti: il turismo è un valore dimenticato per l’economia nazionale, il turismo è un valore identitario prima ancora che economico, la via italiana al turismo non può essere solo la globalizzazione.
Ha quindi  evidenziato che il turismo nel nostro Paese vale 64 miliardi di euro, il 4% del PIL, un valore che aumenta a 161 miliardi  se si considera l’indotto, il 10% del Pil. Genera anche lavoro e, infatti, conta 1.100.000 occupati che salgono a 2.700.000 se si considerano i comparti indirettamente collegati. Ma nonostante questi numeri oggi il turismo non è considerato un’opportunità di sviluppo.
Nel corso del suo approfondimento Iseppi ha messo in evidenza il forte valore identitario del settore, ma ha anche rilevato che purtroppo si sta diffondendo una dilagante omogeneità dell’offerta turistica nonostante l’Italia sia caratterizzata da diversi fattori che sono dei veri e propri vantaggi come il patrimonio culturale, la produzione agroalimentare, il paesaggio, la biodiversità, l’essere il cuore della civiltà mediterranea  e il valore dell’accoglienza.
Secondo il presidente del Touring italiano, però, nonostante le potenzialità, il sistema dell’offerta non sembra dare risposte tempestive, ma si limita a vivere di rendite di posizione. La domanda potrebbe aumentare se si offrissero nuovi prodotti e nuovi servizi e se si puntasse su un turismo più personalizzato e meno standardizzato.
Per Iseppi interventi destinati a uno sviluppo economico complessivo favorirebbero anche il turismo, che non è una realtà isolata ma integrata con altri settori. Parlando del potenzialità turistica del nostro Paese ha detto che sostenibilità e difesa del suolo devono essere visti come un valore. “Se l’Italia credesse di più nel turismo – ha concluso – sarebbe un Paese migliore”.

INTERVENTI PRIMA GIORNATA – NUOVI VALORI E NUOVA AGRICOLTURA

FRANCESCO DI IACOVO
Professore di Economia Agraria e Sviluppo Rurale Università di Pisa

Come creare valore economico e sociale e come i territori si stanno organizzando per superare la crisi: questo il tema affrontato al Forum di Cernobbio di Coldiretti Cernobbio da Francesco Di Iacovo dell’Università di Pisa. Innanzitutto occorre chiarire che i settori devono lavorare in sinergia per creare esternalità positiva. Attraverso l’agricoltura sociale si rimette al centro la capacità delle persone di stare insieme; per questo occorre guardare al territorio e alle relazioni in esso inserite. L’agricoltura sociale, ha ripreso Di Iacovo, è fondamentale per offrire nuovi servizi nelle aree rurali in cui il pubblico ha difficoltà ad arrivare, in cui c’è sempre in discussione una riorganizzazione del welfare. Occorre rideclinare la responsabilità delle imprese nei confronti della società.
Il modello italiano di agricoltura sociale riesce a mediare valore economico e sociale. E’ vero che c’è necessità di produrre e promuovere, ma occorre anche considerare la crisi del welfare. Un terzo della ricchezza mondiale è depositata nei paradisi fiscali. Il valore economico è essenziale e la prosperità è un tema rilevante, ma non dimentichiamo l’aspetto sociale. Dobbiamo capire come dai territori si può invertire la rotta, ha concluso il professore; quindi sussidiarietà dello Stato e supporto alle azioni dei cittadini per ristrutturare territori e creare sinergia; quindi transizione. Ossia capire come accompagnare i territori nella crescita della rete e creare un patto sul cibo civile, vale a dire avere la capacità di dare sostegno e supporto a pratiche che ricreano socialità sul territorio. Combinare persone e territori. Abbiamo visto la trasformazione da contadini a imprenditori. Per l’agricoltura sociale abbiamo bisogno di persone che si risentano contadini, che stiano dentro le comunità, che partecipino alla vita sociale.

ANDREA SEGRÉ
Direttore Dipartimento Scienze e tecnologie alimentari Università di Bologna

Al mondo ci sono circa due miliardi di persone che mangiano male: 862 milioni sono affamati, più di un miliardo sono obesi e questo in una situazione in cui si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di prodotti alimentari per un valore di oltre 900 miliardi di dollari. Ha preso le mosse da questo paradosso denunciato dalla Fao l’intervento di Andrea Segré, direttore del dipartimento di Scienze e tecnologie Agro-alimentari dell’Università di Bologna e presidente del Last minute Market, al Forum internazionale dell’Agricoltura di Cernobbio.
“Secondo la Fao – ha detto Segré – se potessimo recuperare l’1,3 miliardi di tonnellate di alimenti potremmo nutrire due miliardi di persone, molto più di quanti sono gli affamati. Dobbiamo trovare la strada per superare questo paradosso”.
Passando alla situazione italiana, Segré ha ricordato che c’è il 15% della popolazione che vive in situazione di povertà relativa e che fa fatica a soddisfare il bisogno primario del nutrirsi. “Negli ultimi anni – ha detto – è aumentata la povertà alimentare e, nonostante la diminuzione della produzione di spazzatura, sono aumentati gli sprechi alimentari che si concentrano per il 79 per cento nella parte finale della filiera, quindi a casa nostra”.
Per uscire da questa situazione, secondo Segré, occorre applicare tre parole chiave: solidarietà, sostenibilità e responsabilità. “Solidarietà  – ha spiegato il docente – per mettere in contatto chi ha di più e chi non ha. Sostenibilità per ridurre gli sprechi e responsabilità per ripartire il giusto valore lungo la filiera in modo uguale. E questo è ciò che il Last minute market cerca di applicare, ridando valore al cibo”.

ELIO LANNUTTI
Fondatore e Presidente Adusbef

“Tornare alla terra”. Per Elio Iannutti, Fondatore e Presidente Adusbef, intervenuto al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione a Cernobbio, l’agricoltura è “l’unico settore in crescita in tempo di crisi” ma “l’Italia si sta facendo portare via i terreni agricoli”. “Bisogna uscire – ha ribadito – e battersi per nuovi modelli culturali fondati sui valori che ha espresso ed esprime la Coldiretti. Occorre cambiare paradigma e stile di vita anche se non è facile nel mondo globalizzato che edifica le fortune per ristrette cerchie di élite drogando l’economia con derivati tossici”. Un “comportamento – secondo Iannutti – che ha distrutto la ricchezza delle nazioni e del mondo del lavoro”. “Gli speculatori – ha spiegato citando l’indice Fao sul cibo – controllano il 60% mercato dei cereali a fronte del 12% di cinque anni fa. Le banche speculano sulle commodity agricole”. “La finanza basata sui mercati delle commodity agricole – ha proseguito – specula sulla fame dei ceti meno abbienti”.
Un sistema pericoloso “di scommesse sulle derrate agricole di base che non corrisponde agli scambi reali”. Ecco perché bisogna “tornare alla terra”. “L’Italia, distratta dalla crisi, si sta facendo portare via i terreni agricoli – ha ricordato – In Italia oltre 700mila piccole aziende sono sparite nell’arco di un decennio; il 30% dei terreni fertili è in mano all’1% delle aziende. Nel 2011 lo 0,29% delle aziende agricole ha avuto accesso al 18% dei fondi comunitari (Pac); nel 2009 il 75% degli incentivi è finito al 18% degli aventi diritto”. Per Iannutti ”in Italia si sta riaffacciando il latifondismo con terreni fertili non più destinati al cibo, ma a biomasse ed energie rinnovabili”. Si sviluppa così un panorama agricolo caratterizzato da “una concentrazione di proprietà”.

MARIO CIACCIA
Ex magistrato, estensore legge “Buona samaritano”

“L’uomo che ha fame non è un uomo libero. L’uomo che ha fame perde la sua dignità di uomo”. Per Mario Ciaccia, già magistrato della Corte dei conti, è questo il motivo per cui il diritto alimentare è, oggi più che mai, un diritto importante e estremamente attuale che ha trovato consacrazione giuridica nel 2003 con l’approvazione della legge n.155, conosciuta come Legge del Buon Samaritano. La norma, di cui il giurisperito ha parlato nel corso del Forum dell’agricoltura di Cernobbio e di cui è stato estensore, ha permesso un “salto epocale” in materia di donazioni alimentari disciplinando il recupero e la redistribuzione di alimenti freschi e cibo cotto da parte di Onlus che hanno come attività l’aiuto alimentare per fini di solidarietà sociale.
Una legge semplice (è composta da un solo comma) che, in dieci anni, ha permesso importanti traguardi per le tante associazioni senza fini di lucro che hanno potuto distribuire ai più bisognosi gli alimenti di alta reperibilità rimasti invenduti nel circuito della grande ristorazione e distribuzione organizzata. Ed è sul salto epocale compiuto dalla legge che Mario Ciaccia si è soffermato. “Prima della legge del Buon samaritano recuperare e distribuire le eccedenze di cibo a fini solidaristici era molto complicato a causa della responsabilità di percorso” – ha evidenziato – La norma semplifica enormemente le cose equiparando le associazioni di volontariato in consumatori finali”. Una legge semplice e importante rivolta a tutti coloro che cercano di ridurre gli sprechi nell’ottica dell’importante concetto della custodia della vita umana.  Oggi più che mai – ha concluso Ciaccia citando Papa Francesco – “la cultura dello scarto tende a diventare purtroppo mentalità comune che contagia tutti e la vita umana non è sempre sentita come valore da tutelare e rispettare”. 

 

INTERVENTI SECONDA GIORNATA – LE AGROMAFIE

 

GIAN MARIA FARA
Presidente Eurispes

Le ecomafie si stanno trasformando in agromafie. Lo ha affermato il presidente di Eurispes, Gian Maria Fara, presentando il secondo rapporto sulle Agromafie al Forum internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione organizzato da Coldiretti e Ambrosetti a Cernobbio. “Dopo aver devastato ampie porzioni del territorio nazionale – ha detto Fara – la mafia ha scoperto il business agro-alimentare grazie anche ad una normativa europea che dà ampi spazi all’ambiguità e che si dimostra sempre più un frullatore di saperi e di sapori, che non riconosce la qualità e l’origine delle produzioni, lasciando i prodotti locali soli a confrontarsi con norme asservite spesso alle multinazionali”.
Rispetto al primo rapporto sulle agromafie, presentato due anni fa proprio al Forum Coldiretti di Cernobbio, Fara ha sottolineato che il fenomeno è cresciuto da 12 a 14 miliardi. “Il cibo – ha detto il presidente dell’Eurispes – negli ultimi anni è diventato la nuova frontiera della mafia in cui si va affermando una malavita dai colletti bianchi, che non si limita più all’imitazione di marche famose, ma acquista antichi marchi, li svuota del sapere e della storia per riempirli di prodotti dalla provenienza ambigua. Siamo passati – ha affermato – dall’italian sounding all’italian laundry, lavaggio di denaro sporco con acquisti, rivendite e riacquisti di aziende”.
Secondo Fara, dietro a marchi importanti si concentrano prodotti “raccattati per il mondo che niente hanno a che vedere con l’originale”. Come esempio il presidente dell’Eurispes ha citato l’olio extravergine d’oliva di antichi marchi italiani, venduti però a 3 euro: “tanto varrebbe – ha chiosato Fara – utilizzare direttamente olio Fiat”.

DONATO CEGLIE
Magistrato

“I territori esprimono l’appetito delle organizzazioni criminali che devono fare business:  sono praterie da aggredire. Il nostro panorama normativo non ha strumenti adeguati per far fronte a queste aggressioni in quanto le contravvenzioni non sono dei deterrenti capaci di far desistere  dall’attività criminale” . E’ quanto ha affermato il magistrato  Donato Ceglie, intervenendo al Forum dell’agricoltura  dell’alimentazione organizzato dalla Coldiretti a Cernobbio. 
“Quando si parla di aggressione ai territori si identificano delle ferite al marchio Italia che viene identificata nel cibo e nell’agroalimentare. La prima pubblicazione che ha analizzato l’agromafia – ha sottolineato ancora il magistrato – risale al 1995 ed era a cura dell’Eurispes. L’ultima è quella di quest’anno di Legambiente. In questo ventennio non solo non è cambiato nulla, ma il territorio italiano ha subito 20 anni di roghi illegali, di smaltimento dei rifiuti, di tragedie ambientali. E tutto questo senza che la legislazione potesse incidere penalmente tranne in un caso”. 
“Lo smaltimento illegale dei rifiuti tossici  – ha sottolineato ancora il magistrato  – permette un abbattimento dei costi di almeno il 95 per cento. Nei porti italiani ci sono container pieni di rifiuti che vanno all’estero da cui tornano giocattoli e prodotti parafarmaceutici”.
“Il messaggio che deve arrivare è che l’agricoltura ha bisogno di terreni sani, puliti. Quando si bruciano pneumatici fuori uso e ne sono stati bruciati 100 mila tonnellate si determina un tasso di diossina superiore alla tolleranza circa 30 volte. Anche la cementificazione determina un’aggressione pesante”. “La speranza – ha concluso Donato Ceglie –  arriva dalla comunicazione e dall’attività dei giovani che sul territorio lavorano ad esempio nelle cooperative confiscate”.

ARTURO DE FELICE
Direttore Dia

Un’ analisi storica della nascita della mafia nelle campagne, partendo dalle origini per arrivare alle forme di diversificazione realizzata dalla criminalità organizzata. E’ quella compiuta dal direttore della direzione nazionale antimafia, Arturo De Felice, intervenendo al Forum internazionale dell’agricoltura e dell’ alimentazione della Coldiretti. "Il mondo rurale – ha spiegato – è più  facilmente preda dei fenomeni criminali perché regno dell’omertà e perché in molti territori non vi sono forze di polizia.
“Un sistema, quello criminale, che porta ad un guadagno illecito di circa 12 miliardi di euro l’anno. E’ un’attività variegata che va dall’ accaparramento di finanziamenti pubblici alla gestione della manodopera di immigrati clandestini. Il fenomeno del caporalato è un problema atavico che riguarda soprattutto le regioni del Sud perché in questa parte d’Italia vi sono imprenditori disposti ad assumere in maniera illecita. Il caporalato è gestito in maniera articolata con accordi tra i criminali di varie Regioni.
"L’attività’ della Dia – ha proseguito – ha portato all’ identificazione di una vera catena di azioni criminali che vanno dalla produzione, al trasporto alla grande distribuzione. Ciò è dimostrato dalle azioni compiute dalla Direzione che soprattutto negli ultimi mesi ha determinato  l’arresto e la confisca di ingenti patrimoni, per milioni e milioni di euro in molte regioni. In Sicilia, al re del vento,  ad esempio è stato confiscato un patrimonio di un miliardo e cinquecento milioni. L’elemento positivo che contribuirà ancora di più nell’azione di repressione – ha concluso – è l’entrata nella Dia del Corpo forestale.

TULLIO DEL SETTE
Vice Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri

Nella sua relazione il Vice Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Tullio Del Sette ha elencato l’importante azione contro quell’imprenditoria  criminale che si consolida come nuova forma di controllo del territori, il tutto in un contesto di crisi economica dove lavoro sommerso, illegalità agroalimentare, illecito, agromafia, agropirateria, adulterazione, falsa evocazione,  pratiche commerciali ingannevoli si mischiano con un sistema mafioso che alimenta comportamenti dannosi per il sistema economico e pericolosi per la salute.
Con un’articolazione dei servizi territoriali di 4633 stazioni, sono al lavoro varie squadre specializzate negli ambiti operativi riguardanti la salute, l’ambiente e il lavoro. I Nac, nuclei antifrodi dei carabinieri, rappresentano il team per la repressione frodi, mentre i Nas sono i nuclei antisofisticazioni sanitarie e i Noe i nuclei operativi ecologici per la tutela del paesaggio e la salvaguardia del suolo impiegati contro i crimini verso l’ambiente e nello smaltimento dei rifiuti. Ci sono inoltre i carabinieri per la tutela del lavoro e la previdenza  ovunque sia previsto un rapporto di salariato: dunque anche in agricoltura.
Molte le attività che hanno visto protagonisti i carabinieri, come le investigazioni  nei mercati ortofrutticoli di Fondi e Vittoria contro sodalizi di clan mafiosi. I controlli antisofisticazioni in Lombardia e in Friuli sul vino doc hanno portato all’arresto dei colpevoli. Così come le varie vicende legale al sequestro di ettolitri di olio taroccato e di fusti di sughi di pomodoro cinese conservato in condizioni estreme e intercettato in Campania. Non ultima, è da citare la drammatica, recente vicenda dei rifiuti nella Terra dei Fuochi.
Un elenco di numeri e dati che danno la conferma dei risultati di un’unione di forze che a livello nazionale si deve confrontare con le reti internazionali e con altri Paesi dove mancano le stesse regole e le norme penali. L’auspicio è di giungere ad una convenzione sopra gli Stati che valga per la preservazione del sistema agroalimentare, la trasparenza dei mercati e la qualità della vita che passa per la difesa dei diritti dell’individuo a partire dal diritto alla salute.

FAUSTO MARTINELLI
Vice Capo del Corpo Forestale dello Stato

Nel 2° rapporto Eurispes sulle Agromafie le quattro storie emblematiche presentate riguardano olio, mozzarella, caviale e legname e coinvolgono il Corpo Forestale dello Stato. Così Fausto Martinelli vice Capo del Corpo Forestale dello Stato ha aperto l’intervento al Forum di Coldiretti  a Cernobbio. Occorre sottolineare che dagli anni 80 quando è stato certificato il primo traffico illegale di rifiuti provenienti dall’agricoltura, il concetto di sicurezza si è dilatato passando dal concetto di sicurezza ambientale alla sicurezza agroambientale.
Sicurezza, ha proseguito Martinelli, indispensabile per contrastare attività illegali e tutelare la qualità della vita. Esiste uno stretto legame tra le 3 A (Agricoltura, Ambiente, Alimentazione) ed è il territorio. Territorio che quando è ordinato garantisce sicurezza e qualità.
Dalle relazioni di questi giorni è emerso un quadro desolante della società e, in tale contesto di crisi e difficoltà, si sviluppano i comportamenti più disparati che portano a crimini ambientali che vanno dalle mafie del cemento alle ecomafie fino alle agromafie. Il CFS – ha sottolineato Fausto Martinelli – si muove in tale contesto, conscio della propria rappresentatività che è solo del 3% rispetto al totale delle forze dell’ordine. Nonostante questo – ha puntualizzato – abbiamo competenza su un certo ambito di reati ambientali.
Il nostro Corpo di polizia – ha proseguito il vice capo del CFS – si muove secondo una direttiva del Mipaaf su 3 settori: contraffazione dei prodotti agroalimentari a tutela della qualità; controlli sulla tracciabilità dell’origine dei prodotti; contrasto ai crimini agroalimentari nei settori oleario, lattiero-caseario, carneo e vitivinicolo. Le agromafie, così come i crimini ambientali, non hanno limiti geografici o di prodotti, ma producono risultati disastrosi sulla salute e sull’intera economia. Ovviamente i campi di azione del CFS non sono così netti e suddivisi tra i diversi corpi di polizia.
Il CFS, ha concluso Martinelli, ha fatto un progressivo percorso organizzativo ed istituzionale, ma su questo, insieme agli altri corpi di polizia, occorre cercare una forma migliore di coordinamento per poter raggiungere obiettivi maggiori. E’ necessario, inoltre attivare e incentivare i rapporti sociali, con istituzioni, scuole ecc e la collaborazione con Coldiretti ne è un esempio.

GIORGIO TOSCHI
Comandante dei reparti speciali Guardia di Finanza

“Agromafia e ecomafia sono oggi tra i business più remunerativi in termini assoluti. E’ pertanto più che mai importante difendere le imprese legali e oneste e tutelare i cittadini dal rischio di fronde”. E’ iniziato così l’intervento di Giorgio Toschi, comandante dei Reparti speciali della Guardia di Finanza, che nel suo intervento nel forum di Cernobbio traccia un preciso quadro degli illeciti legati al settore agroalimentare con particolare attenzione alla contraffazione evidenziando anche l’importanza dell’iniziativa di studio promossa da Eurispes e Coldiretti quale “laboratorio scientifico interistituzionale orientato a proporre interventi di tutela, coordinamento e controllo”.
Toschi, dopo aver evidenziato la necessità di combattere con sempre maggiore accanimento gli atti di illegalità, ha illustrato, con dati alla mano, anche l’importante opera di difesa e controllo che la Guardia di Finanza sta portando avanti negli ultimi anni con riferimento alle operazioni rivolte alla tutela della sicurezza alimentare, agli interventi contro le frodi legate alla percezione indebita di aiuti comunitari e alla lotta al caporalato inteso come “l’illecita attività di procurare lavoratori anche clandestini e farli vivere sovente in condizioni disumane”.
E per finire, l’invito ad una maggiore sinergia e collaborazione nel contrasto alla criminalità. “Sono convinto – ha concluso Toschi – che l’unità di intenti e la cooperazione concreta e fattiva tra istituzioni, associazioni di categoria, operatori del settore e cittadini siano la migliore risposta per combattere le agromafie in tutte le loro forme e definizioni. Solo questa sinergia potrà garantire la crescita di un comparto irrinunciabile dell’economia nazionale che merita la massima considerazione da parte di tutti”.

JIMMY GHIONE
Giornalista Striscia la Notizia

“Si sta verificando un fatto paradossale: gli stranieri si stanno abituando al prodotto imitato. E’ questo il pericolo più grande se non si sconfigge l’attività di contraffazione alimentare”. Al forum internazionale di Cernobbio non poteva mancare Jimmy Ghione, eclettico inviato di “Striscia la notizia” che negli ultimi anni si è lanciato in una vera e propria battaglia contro il falso made in Italy alimentare, alla ricerca di imitazioni di vini, formaggi e salumi italiani. Il giornalista ha infatti ricordato “il giro per il mondo con la Coldiretti alla ricerca di tarocchi trovati in tutti i supermercati di Canada, Svezia, Stati Uniti” che ledono l’immagine e il lavoro dei produttori italiani per un valore di ben 60 miliardi di euro. Una cifra enorme che – ha detto Ghione – “dobbiamo riportare nelle tasche dei nostri agricoltori”. Ma la paura più grande per il giornalista è legata alla possibilità di un cambiamento nell’alimentazione e nel gusto, con il rischio che, se le imitazioni continuano a diffondersi, “si arriverà a scambiare il tarocco per originale e l’originale per tarocco” e “se abituiamo i bambini a mangiare cavallette certamente da grandi non chiederanno il Parmigiano”. E per finire l’appello al governo che “deve salvaguardare i nostri produttori”  e a tutti di “ampliare i nostri orizzonti per guardare a ciò che viene fuori dell’Italia”.

INTERVENTI SECONDA GIORNATA – ECONOMIA E POLITICHE

PIER CARLO PADOAN
Vice segretario generale e capo economista Ocse

La situazione dei rapporti tra Unione Europea e Usa e le modalità con cui hanno gestito la crisi sono state al centro dell’intervento di Pier Carlo Padoan, vice segretario generale e capo economista Ocse. La sua riflessione ha messo a confronto le due realtà: gli Stati Uniti stanno uscendo dalla crisi più rapidamente e con una crescita più sostenuta che nella zona euro e le performance, le sfide e le politiche sono diverse.
Nel corso del suo intervento Padoan ha spiegato che  l’Ocse ha calcolato che se  gli Stati Uniti decidessero di infliggersi la più grande crisi generata dalla politica e non dall’economia e se il tetto del debito non dovesse essere aggiustato, l’economia americana cadrebbe per effetti diretti e indiretti in una recessione di oltre il 4% e l’economia mondiale in una recessione di oltre il 2%. Questo significherebbe che dopo la grande recessione generata dall’instabilità finanziaria ci sarebbe una seconda grande recessione generata dalla politica.
“La politica economica ha una grande responsabilità sia negli Stati Uniti sia in Europa per gestire l’uscita dalla crisi”, ha affermato Padoan, che ha anche evidenziato come la realtà europea presenti una difficoltà in più: la disoccupazione. Negli Stati Uniti la disoccupazione è più bassa ed è in calo, mentre in Europa è più alta e sta aumentando.
Tra i motivi che hanno permesso agli Usa di allontanare prima la crisi, figura il fatto che hanno rimesso a regime il sistema finanziario e il sistema bancario e poi si sono dedicati a reindirizzare  la politica di bilancio. Secondo Padoan in Europa oggi gli aggiustamenti fiscali sono a buon punto, mentre non lo sono ancora quelli del sistema finanziario e questo vuol dire che anche le altre politiche non funzionano. Parlando della zona euro, Padoan ha rimarcato che presenta principalmente due problemi: non cresce ed è estremamente frammentata. Questa situazione l’ha portata ad essere molto vicina a un punto di esplosione.
In conclusione, Padoan ha rilevato che le politiche devono fare molto di più sia a livello nazionale sia a livello europeo. Sul fronte delle politiche nazionali bisogna completare il consolidamento fiscale, aggiustare il sistema finanziario, proseguire con le riforme strutturali  e aggiustare gli squilibri in modo più simmetrico. Per quanto guarda le politiche europee invece è necessario tenere sotto controllo i bilanci bancari con test specifici, favorire l’unione bancaria e far crescere il mercato interno.

VITTORIO EMANUELE PARSI
Professore di Relazione internazionali dell’Università Cattolica di Milano

“Un enorme palazzo sul mare che non ha, però, una finestra sul mare”. Ha scelto questa efficace metafora Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica di Milano intervenuto al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione a Cernobbio per descrivere il “disinteresse” da parte dei paesi del Nord dell’Europa nei confronti di tutto quello sta succedendo al Sud. Un allontanamento che è stato progressivo nonostante il tentativo – fallito – di un avvicinamento.
“In questi ultimi tre anni – ha detto – abbiamo assistito ad un potenziale avvicinamento in termini di società tra le due sponde, vanificato dal progressivo allontanamento dei baricentri politici rispettivamente dell’Europa e del mondo arabo”. Per Parsi, che ha ricordato come le “primavere arabe” siano state “un processo rivoluzionario da parte domanda politica che non ha incontrato un’offerta politica corrispondente alla direzione della domanda”, la reazione dell’UE e degli Stati Membri alle “rivolte” ha solo contribuito ad “accentuare la natura continentale, carolingia, baltica dell’Unione”.
La crisi economica e finanziaria ha messo inoltre a nudo la “fragilità” dell’Unione Europea riducendo la “capacità d’intervento al di fuori dell’area” e sbilanciando le relazioni interne, tra i paesi forti e robusti, e quelli meno forti e robusti, che guarda caso coincidevano con quelli che si affacciano sul Mediterraneo”. Sempre più lontana, disinteressata e “irrilevante” nelle scelte e nel futuro del Sud “l’Europa – Parsi ha ricordato i fatti del 1920 con la spartizione del levante alla fine della prima guerra mondiale ed il “tradimento” degli inglesi – sembrava il centro del mondo. Aveva dissolto l’impero ottomano e messo la bandiera dei paesi europei a Beirut, Damasco, Gerusalemme, Bagdad. In quello specchio medio-orientale l’Europa ne uscì con una immagine deformata per potenza, poté illudersi di essere più potente che nel ’14 anche se poi si sarebbe resa conto del contrario.
La primavere arabe hanno anticipato la nostra perdita di rilevanza e dimostrato che gli europei non sono in grado di condizionare in maniera significativa neppure l’estero vicino così importante per la propria sicurezza”. Secondo Parsi è quindi necessario “ripensare la crucialità della politica mediterranea che sia basata sulla condivisione di opportunità e di sfide”.

FABRIZIO DE FILIPPIS
Direttore del Dipartimento di Economia, Università Roma Tre

Nei prossimi sette anni la spesa complessiva per l’UE si ridurrà notevolmente rispetto al periodo 2007-2013. Per quanto riguarda l’Italia le spese per la Pac si ridurranno del 17,2% e per gli aiuti diretti del 18,3%. Così il professor De Filippis ha aperto il suo intervento al XIII Forum dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Coldiretti a Cernobbio.
E’ stato decisamente un negoziato tutto in salita – ha sottolineato De Filippis -; la Pac 2014-2020 rispetto a quella attuale ha perso il 4%, dunque continua il lento trend storico di declino relativo alla Pac, pur rimanendo la politica più importante per la UE. Ma quali sono le novità principali della nuova Pac? La convergenza esterna dei pagamenti diretti per ridurre le differenze nei pagamenti medi per ettaro tra Stati membri; la regionalizzazione e la convergenza interna per azzerare o ridurre le differenze dei pagamenti tra territori e beneficiari all’interno degli Stati membri; un sistema di pagamenti diretti del tutto nuovo e molto articolato che sarà applicato dal 2015, in cui spicca il pagamento ecologico (il cosiddetto greening); degressività e/o capping ossia l’obbligo di ridurre la platea dei beneficiari della Pac.
Per ciò che concerne il sistema dei pagamenti, questo comporta una serie di scelte fondamentali che possono modificare la distribuzione del sostegno della Pac. Le principali sono legate alla definizione di agricoltore attivo, perché chiarisce chi saranno i beneficiari; la regionalizzazione e la convergenza interna, servono per definire i criteri della redistribuzione del pagamento di base tra territori e beneficiari; il pagamento ai primi ettari che può sostituire capping e degressività.
“Pertanto dopo le diverse considerazioni possiamo concludere – ha dichiarato il professore De Filippis – che ci aspetta una Pac più complessa, più legata alle scelte degli Stati membri e meno “cucinata” a Bruxelles, per cui la chiusura del negoziato deve essere considerata un punto di partenza: nei prossimi mesi l’Italia dovrà dimostrare di saper esercitare la propria discrezionalità molto meglio di quanto fatto in passato”.

FABRIZIO NARDONI
Coordinatore Commissione Politiche agricole Conferenza Stato-Regioni
 
Stiamo lavorando con il tavolo di coordinamento sulla Pac e adesso il Ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo deve condividere il lavoro fatto. L’ha annunciato Fabrizio Nardoni, Assessore alle Politiche agricole della Puglia nonché coordinatore della Commissione Politiche agricole della Conferenza Stato–Regioni nel suo intervento al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione della Coldiretti. L’incontro del 24 ottobre sarà quindi molto importante perché il documento dev’essere condiviso. Stiamo ragionando sull’opportunità di spostare risorse dal primo al secondo pilastro.
Altro tema trattato dall’assessore Nardoni è stato il credito. “Non possiamo continuare a finanziare imprese già capitalizzate trascurando quelle dei giovani che hanno investito in un settore così importante. E poi – ha concluso Fabrizio Nardoni – ci sono le infrastrutture. Dobbiamo intervenire con investimenti prima che succedano le tragedie come le ultime alluvioni”.

INTERVENTI SECONDA GIORNATA – IL RUOLO DELL’AGRICOLTURA PER LA CRESCITA, L’OCCUPAZIONE, L’EXPORT 

MARCO PEDRONI
Presidente Coop Italia

Il km zero da solo non basta. Ne è convinto Marco Pedroni, Presidente Coop Italia intervenendo al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione a Cernobbio per parlare dell’”esperienza Coop” che da poco ha introdotto negli scaffali la “pasta italiana al 100%” proprio grazie ad un accordo di filiera con gli agricoltori, ma anche per manifestare la “vicinanza culturale e sintonia” dei valori Coop. “Penso che sia stata una straordinaria idea di comunicazione per dare valore all’agricoltura, interessante perché ha stimolato la nascita dei farmer market e lanciato la filosofia della vendite diretta però quanto si vende con queste modalità? I paesi che hanno sviluppato di più modalità simili come Francia e Inghilterra narrano percentuali, ma non è vero, tra il 8-10% della produzione totale, ma in realtà sono tra il 4-5%”.
Pedroni ha portato un esempio per sostenere il suo punto di vista: “Se vendessimo i prodotti dell’ortofrutta pugliese solo nei nostri negozi pugliesi noi avremo un fatturato di 15 milioni di euro, ma se noi quei prodotti li mettiamo in un circuito senza tanti passaggi intermedi riusciamo a vendere agricoltura pugliese in Italia per un fatturato di 180milioni di euro. In realtà il tema del km zero – ha spiegato ancora – è stato importante e solleva più questioni come la vicinanza al territorio e la stagionalità. Ma se diventasse una politica sarebbe un danno per l’agricoltore e per tutta la filiera agroalimentare”.
Pedroni non ha nascosto la preoccupazione per gli effetti negativi che la ridotta capacità di spesa delle famiglie ha a scapito della qualità e della sicurezza alimentare: “i consumatori – ha rivelato – sono stati costretti ad applicare una rigida spending review. Prima con il controllo spesa, poi con il nomadismo ed l’uso delle promozioni per arrivare al taglio dei consumi. Nel 2013, e questa è una previsione ci preoccupa, il consumatore è pronto ad accettare di rinunciare alla qualità e quindi alla sicurezza. Un rischio che apre il mercato a distributori che offrono prodotti poco controllati e poco sicuri. Il nostro compito – ha concluso – credo che sia quello di portare al consumatore non solo il valore di convenienza, ma di qualità e sicurezza”.

FILIPPO TRAMONTI
Presidente Ghigi Industrie Agroalimentari

Il pastificio Ghigi ha ridato lavoro a 35 famiglie. Con questa nota positiva il presidente del pastificio Filippo Tramonti ha aperto il suo intervento al Forum di Cernobbio. Dopo aver delineato il percorso che ha portato un gruppo di consorzi agrari, con capofila il Consorzio Agrario Adriatico, all’acquisto del pastificio romagnolo nato nel 1870 e fallito nel 2007, ha illustrato le opportunità di questa iniziativa: un progetto che nasce in seno al mondo agricolo con l’obiettivo di chiudere la filiera del grano duro nazionale, producendo la prima pasta italiana degli agricoltori, il cui utilizzo del grano italiano, privo di micotossine e ogm free, consente di salvaguardare l’economia di interi territori.
“Su questo aspetto –  ha sottolineato Tramonti – vorrei ribadire che importanti catene americane hanno deciso di togliere i prodotti ogm dagli scaffali. Questo ci ha permesso di chiudere due contratti con importanti catene americane, segno della sensibilità crescente verso i temi per cui noi sono anni che combattiamo. Ghigi fa una filiera corta, un km zero, percorrendo sei mila chilometri, perché la nostra pasta – ha precisato – arriva in tanti Paesi del mondo. Per noi chilometro zero significa anche un taglio dei passaggi lungo la filiera”.
Questo progetto – ha ribadito Tramonti – ha degli aspetti strettamente connessi: nasce con l’obiettivo di sviluppare volumi importanti e fatturati significativi,  insomma un ampio respiro economico, una ricaduta sociale, ma anche una responsabilità etica importante per noi che lo gestiamo. Siamo convinti – ha sottolineato il presidente della Ghigi – che la pasta sia e debba rimanere un alimento di base, in tutto il mondo, dove noi Italiani, produttori “di qualità”, possiamo svolgere un ruolo importante. Il prezzo della pasta deve essere un prezzo equo per tutta la filiera dal produttore sino al consumatore….perché la filiera si chiude lì!
“Il nostro obiettivo per il 2014 – ha concluso Tramonti – dove faremo il 93% di export e raggiungeremo finalmente il punto di equilibrio economico, è far scendere questa percentuale: vogliamo fare un accordo equo e durevole con una grande catena italiana, perché poter mangiare un prodotto buono e sano, fatto di grano italiano riteniamo sia un diritto anche di tutti gli Italiani”.

LUIGI CREMONINI
Presidente Gruppo Cremonini, Presidente Inalca

Ricordando le propri radici familiari, il presidente del Gruppo Cremonini e presidente di Inalca Luigi Cremonini ha iniziato il proprio intervento al tredicesimo Forum dell’Agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio sottolineando come l’agricoltura sia una grande risorsa per il Paese, grazie anche alla varietà e alla eccellenza delle nostre produzioni. Parlando dell’importanza della zootecnia in Francia, Cremonini ha detto che mantenendo le imprese agricole sul territorio si prevengono disastri ambientali e che quindi è necessario rivalutare la zootecnia bovina anche nel nostro Paese, dove purtroppo invece negli ultimi anni è stata smantellata.
“Con la nostra azienda – ha detto Cremonini – abbiamo iniziato 50 anni fa, macellando alcuni bovini alla settimana. Oggi siamo arrivati a macellare circa 700.000 bovini all’anno ed esportiamo in tutto il mondo. Siamo presenti in 40 paesi con piattaforme distributive attraverso le quali distribuiamo oltre 200 prodotti unitamente alla nostra carne. Un bovino permette di ottenere 2000 codici di articoli e il nostro obiettivo è di valorizzare ogni codice al meglio nel mondo”. Tra i fattori del suo successo, Cremonini ha evidenziato una dimensione aziendale significativa e l’attitudine alla collaborazione.

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