Dalla lotta alla contraffazione 300mila posti di lavoro ed export triplicato
Trecentomila nuovi posti di lavoro ed export triplicato. Sono gli effetti per il made in Italy che la lotta alla contraffazione alimentare potrebbe portare, secondo l’analisi presentata dalla Coldiretti sulla base dei risultati della prima relazione sulla pirateria nell’agroalimentare elaborata dalla Commissione Parlamentare di inchiesta e presentata a Roma, a Palazzo Rospigliosi, nel corso di un incontro al quale hanno partecipato, tra gli altri, il Presidente della Coldiretti Sergio Marini, il Ministro per le Politiche Agricole Mario Catania, il Procuratore Antimafia Pietro Grasso e il presidente della Commissione stessa, Giovanni Fava. “Il fatto che per effetto della falsificazione vengano sottratti all’agroalimentare nazionale ben 164 milioni di euro al giorno dimostra – ha sottolineato Marini – che il contrasto all’evasione fiscale, la lotta alla contraffazione e alla pirateria rappresentano per le Istituzioni un’ area di intervento prioritaria per recuperare risorse economiche utili al Paese e generare occupazione”. Secondo l’analisi Coldiretti/Eurispes, per giungere ad un pareggio della bilancia commerciale del settore agroalimentare italiano, ad importazioni invariate, sarebbe sufficiente recuperare quote di mercato estero per un controvalore economico pari al 6,5 per cento dell’attuale volume d’affari del cosiddetto “Italian sounding”. Ad essere colpiti sono i prodotti più rappresentativi dell’identità alimentare come è stato evidenziato dall’esposizione della Coldiretti sui casi più eclatanti di pirateria alimentare divisi per regione. Ma in occasione dell’incontro Coldiretti è tornata a denunciare il caso dei finanziamenti accordati dalla Simest, società finanziaria controllata dal Ministero dello sviluppo economico, a iniziative che danneggiano il Made in Italy, con la produzione di pecorino e caciotta in Romania o la vendita all’estero di salame calabrese fatto negli Stati Uniti finanziata con le tasse degli italiani senza alcun beneficio per il Paese ma facendo anzi concorrenza sleale a tutte le produzioni tipiche espressione vere del territorio. “Produrre pecorino in Romania con latte e lavoro rumeno e soldi dei cittadini italiani, per poi venderlo in Europa e nel mondo, con l’aggravante dell’italian sounding, in concorrenza con quello vero nazionale – ha attaccato Marini -, non è infatti semplice delocalizzazione ma la forma più becera della delocalizzazione e l’attacco più violento al vero Made in Italy a spese dei contribuenti italiani”. |
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