il Punto Coldiretti

Dalla Filiera agricola tutta italiana arriva il “superpomodoro”

“E’ possibile fare ricerca con risultati concreti che rispondono a reali esigenze dei produttori e dei consumatori senza ricorrere a metodi innaturali come la manipolazione genetica. Ed è più facile il trasferimento delle innovazioni dal campo alla tavola quando è più diretto il rapporto tra produttori e consumatori come nel progetto della Coldiretti per ‘la filiera agricola tutta italiana’ che punta ad offrire prodotti al cento per cento italiani firmati dagli stessi agricoltori”.

Con queste parole il presidente di Coldiretti, Sergio Marini, ha presentato a Palazzo Rospigliosi il “superpomodoro”, la passata prodotta dagli agricoltori che vanta un contenuto di licopene (una sostanza antiossidante) tre volte superiore al normale pomodoro fresco e che sta arrivando sul mercato nazionale.

Una novità ottenuta dopo anni di ricerca e sperimentazione con metodi del tutto naturali, che hanno permesso di individuare una varietà adatta alla coltivazione nei terreni nazionali, senza ricorrere ad Organismi geneticamente modificati (Ogm). La tipologia di pomodoro selezionata ha una pezzatura delle bacche di circa 70 grammi, forma rotondeggiante, buccia liscia e più rossa ma, oltre ad avere un maggior contenuto in licopene, è anche, organoletticamente parlando, più gustosa.

Nel 2010 la varietà di superpomodoro è stata coltivata in campo da una trentina di aziende agricole localizzate soprattutto in Emilia Romagna e Lombardia, ma anche in Piemonte e Veneto, aderenti al sistema del Cio, secondo metodi di coltivazione integrata, cioè nel rispetto di disciplinari di produzione che orientano i produttori verso processi produttivi rispettosi dell’ambiente, che valorizzano metodi conservativi delle risorse naturali (acqua, suolo, energia) e quindi ecologicamente, economicamente e socialmente sostenibili.

Il prodotto raccolto dal campo è stato inviato presso lo stabilimento del Consorzio Casalasco del Pomodoro in Rivarolo del Re (Cremona) per la trasformazione industriale, che consente di esaltare le proprietà del licopene presente. Il risultato sono una superpolpa e una superpassata di pomodoro che possono essere acquistate sul mercato con il marchio Pomì L+. L’unico “pezzo” di Parmalat salvato dalla conquista straniera proprio grazie all’acquisizione realizzata dagli agricoltori associati alle cooperative del Cio e del Consorzio Casalasco del Pomodoro per valorizzare la produzione italiana dal campo alla tavola.

“Abbiamo aderito sin dall’inizio ad “Una filiera agricola tutta italiana“ perché questo progetto di Coldiretti rappresenta non solo il nostro modo di fare filiera ma anche l’obiettivo principale del nostro essere cooperativa – ha dichiarato al riguardo Marco Crotti, presidente del Consorzio Interregionale Ortofrutticoli -. Pomì L+ vuole essere la risposta concreta a questo progetto: una passata di pomodoro 100% italiano, dal seme alla trasformazione, che nasce nei nostri campi per dare risposta alle richieste del consumatore. Partendo da esigenze di salubrità e gusto abbiamo ottenuto un pomodoro non geneticamente modificato ma altamente innovativo, particolarmente gustoso e che strizza l’occhio alla salute”.

Nel settore del pomodoro da industria sono impegnati in Italia oltre 8mila imprenditori agricoli che coltivano su circa 85.000 ettari, 178 industrie di trasformazione in cui trovano lavoro ben 20mila persone, con un valore della produzione superiore ai 2 miliardi di euro. La produzione italiana di pomodoro destinato alla trasformazione industriale nel 2011, secondo le quantità contrattate dalle industrie, sarebbe di 5,5 milioni di tonnellate, in calo del 14 per cento rispetto ai 6,4 milioni di tonnellate nel 2010. Si tratta dell’effetto della contrazione dei campi coltivati nel 2011 che si sono ridotti a 74.087 ettari, a fronte dei 79.208 dello scorso anno.

Ad aumentare sono invece gli arrivi dall’estero. Sono infatti quasi raddoppiate nel primo trimestre del 2011 le importazioni di concentrato di pomodoro straniero (+81 %) con gli arrivi dagli Stati Uniti che sono addirittura quadruplicati (+290 per cento) mentre crescono anche quelli dalla Cina (+34 per cento) che si conferma di gran lunga il primo fornitore dell’Italia, nonostante i noti problemi qualitativi e di scurezza alimentare. Una situazione insostenibile per i produttori del Made in Italy che provoca danni economici diretti e di immagine al prodotto “nostrano” sul quale pesano gli effetti di una concorrenza sleale dovuta a situazioni di dumping sul piano sanitario, ambientale e sociale.

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