No al pressing Usa per fare passare il pollo alla varechina
Occorre respingere il pressing degli Stati Uniti per esportare il “pollo alla varechina” in Europa dove i consumatori non sentono alcun bisogno di questa preoccupante novità. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare la richiesta degli Stati Uniti al Wto di risolvere la disputa con l’Unione Europea sui polli al cloro attraverso un gruppo d’esperti, proprio in occasione del World Egg day che si festeggia il 9 ottobre in onore di un alimento come l’uovo, di diffusissimo consumo in tutto il mondo: due miliardi ogni giorno. Il divieto imposto dall’Unione Europea è stato stabilito nel 1997 a causa del metodo utilizzato negli Usa per il trattamento delle carcasse di pollo con bagni di antimicrobici (prodotti a base di ipoclorito di sodio – comunemente chiamata varechina). Una procedura vietata nell’Unione Europea dove è stabilito che, per tale trattamento, si debba utilizzare acqua potabile. Nello specifico sono i prodotti usati negli Usa (biossido di cloro, cloruro di sodio acidificato, fosfato trisodico e per ossiacidi) che sollevano molte perplessità sia per quanto riguarda possibili reazioni chimiche, variazioni del gusto, effetti tossici in caso di ingestione dei residui di queste sostanze, così come il rischio di insorgenza di ceppi di batteri resistenti come conseguenza dell’uso estensivo degli antimicrobici. Lo scorso anno dopo il pressing esercitato dagli Stati Uniti la Commissione Europea aveva adottato una proposta per permetterne la commercializzazione che è stata però successivamente respinta all’unanimità dal Consiglio dei Ministri dell’agricoltura, con l’apprezzamento della Coldiretti. Il nuovo tentativo di portare il pollo alla varechina sulle tavole dei consumatori europei solleva forti perplessità sui rischi per l’ambiente e la salute sia per quanto riguarda possibili reazioni chimiche, variazioni del gusto, effetti tossici in caso di ingestione dei residui di queste sostanze, così come il rischio di insorgenza di ceppi di batteri resistenti. L’Italia, che è autosufficiente nella produzione di polli non ha alcun interesse a promuovere sistemi di lavorazione che riducono le garanzie in un settore che ha già pesantemente sperimentato gli effetti delle emergenze sanitarie, con la crisi dell’influenza aviaria. L’Italia è più che autosufficiente nei consumi grazie a 6000 allevamenti, 173 macelli, 517 imprese di prima e seconda lavorazione che danno complessivamente lavoro a 180mila addetti per una produzione complessiva di 1,13 milioni di tonnellate di carne ampiamente superiore ai consumi interni e un fatturato complessivo di 3,5 miliardi di euro, circa il 6,5 percento del valore dell’intera agricoltura italiana. |
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