L’avanzata delle fattorie familiari americane
Mangiare cibo sano e locale? Negli Stati Uniti è ormai una tendenza inarrestabile. Non un’abitudine da gente di campagna, ma una moda che sta coinvolgendo anche le grandi metropoli. Spike Mendelsohn è un giovane chef illuminato che ha aperto un ristorante molto speciale nel cuore di Washington Dc, a pochi passi dalla White House. Si chiama “Good staff eatery” (qualcosa che suona come “niente schifezze nei piatti, solo roba buona”). Un locale che in pochi mesi è diventato punto di riferimento per politici, businessman, intellettuali ma anche per gente comune amante della cucina genuina. Mendelsohn ha contatti quotidiani con le “local family farm“ della zona (le aziende rurali a conduzione familiare) da cui acquista tutto ciò che serve al suo ristorante: frutta e vedura di stagione, olio, vino, spumanti, formaggi di primissima scelta. Una varietà di alimenti realizzati in loco, che lui si prende la briga di andare a scegliere di persona. Così i suoi straordinari milkshake alla fragola sanno di latte appena munto e frutta freschissima, gli hamburger non contengono ormoni o altre sostanze dannose per la salute e le fries potatoes (patatine fritte) non hanno mai conosciuto un freezer. “Fare la spesa in campagna è ormai diventata la parte piu’ divertente del mio lavoro – ammette il giovane chef – queste famiglie di agricoltori sono straordinarie. I loro prodotti hanno un gusto ineguagliabile e il loro lavoro è ben ancorato ai valori saldi che hanno permesso all’America di diventare una super potenza. Il mio ristorante va a gonfie vele ed io sono in fondo orgoglioso di sostenere la comunità locale e di snobbare le multinazionali del cibo. Meglio il profumo del formaggio nostrano e della frutta e verdura dei miei amici agricoltori, che conosco personalmente e della cui serietà sono sicuro al cento per cento”. La fortuna inizia a girare dalla parte degli agricoltori. E i farmers più intraprendenti si danno da fare in mille modi per aumentare le opportunità di reddito. Il premio di migliore “local farm“ negli Usa per il 2008 se l’è aggiudicato l’azienda “Schnepf Farms”, una fattoria alle porte di Phoenix (Arizona) specializzata nella produzione di pesche (se ne coltivano decine di varietà). Mark Schnepf ha creato attorno alla fattoria una serie di eventi che ormai sono un’attrazione nazionale. “In primavera organizziamo il festival della pesca, con migliaia di persone che vengono qui nell’azienda per gustare i nostri frutti preparati in mille ricette, dolci e salate. E poi organizziamo una serie di sagre e feste durante tutto l’anno. Mia moglie Catie cura un meraviglioso giardino pieno di girasoli e lavanda: un angolo di colori straordinario. La gente scappa dalla città per rifugiarsi qualche ora nella nostra realtà, riscoprendo il contatto con la terra e la Natura”. Dalle sagre rurali dell’Arizona ai matrimoni nelle cantine vinicole della California. Come quelli che si organizzano tra i vigneti della “Paradise Ridge Winery”, nella Napa Valley. I proprietari dell’azienda sono ormai maestri nel dar vita a scenografiche feste nuziali: la sposa solca i vigneti di chardonnay in abito candido e fa il suo ingresso nel patio addobato di grappoli d’oro e foglie d’uva. Le cantine vengono trasformate in accoglienti sale da pranzo dove gli ospiti assaporano piatti di stagione. E poi tanti balli e musica, fra botti di vino e atmosfere frugali ma dense di allegria e condite da innumerevoli brindisi. Una soluzione originale scelta da un numero crescente di sposi, tanto che le associazioni agricole californiane organizzano da qualche mese corsi professionali per gli imprenditori che vogliono ospitare feste nunziali nella propria tenuta. A sostenere da 20 anni il reddito delle aziende a conduzione familiare degli Usa ci pensa anche il programma Community Supported Agricolture, di cui fanno parte circa 3mila aziende. I consumatori fanno una sottoscrizione che dà loro diritto ad andare nelle aziende più vicine al proprio domicilio e raccogliere con le proprie mani un grande cesto di prodotti a settimana. I vantaggi per gli agricoltori sono quelli di avere una liquidità anticipata (grazie alle sottoscrizioni) per sostenere le spese di semina e di coltivazione (scongiurando il ricorso ai prestiti bancari), oltre al fatto di poter contare su una clientela fidelizzata. I pro per i consumatori sono quelli di avere a disposizione alimenti freschissimi da scegliere direttamente dalla pianta e di poter constatare con i proprio occhi la tracciabilità di ciò che acquistano (il sito del programma è http://www.localharvest.org/). E’ giunto il tempo della riscossa delle fattorie sulle multinazionali? Forse è ancora presto per cantare vittoria. Di certo l’amministrazione Obama ha dato il via ad una serie di normative più rigide per l’indicazione di origine sugli alimenti. Un provvedimento che ancora non ha trovato piena applicazione – basta fare un giro in un supermercato americano per rendersi conto della mole enorme di cibo dalla provenienza sconosciuta ancora sugli scaffali. Del resto anni di pubblicità ingannevole e frodi alimentari hanno lasciato un segno ben visibile ed ora la mente dei consumatori è così confusa che il colosso delle zuppe in scatola, Campbells’, può vendere tranquilamente i suoi “SpaghettOs”, sedicenti spaghetti a forma di anello (praticamente un’eresia gastronomica). Gli “spaghetti rings” sono anche il fiore all’occhiello dell’azienda “Kid’s Kitchen”. Ma va ad Annie’s, altro gigante alimentare, l’oscar dell’eresia culinaria: per non produrre “banali” spaghetti a forma di cerchio ha pensato bene di portare sugli scaffali gli “P’saghetti loop” (degno cibo di Eta Beta). Misteri ed enigmi si addensano anche sul vero made in Italy. Si rimane basiti, ad esempio, dinanzi ad una bottiglia di olio extravergine d’oliva Ranieri venduta al modico costo di 32.50 dollari al litro. E va bene che la bottiglia è rivestita di carta dorata, ma che ci sarà mai dentro per giustificare un prezzo così stellare? Fare ordine nel settore alimentare è dunque ormai una necessità nazionale: le malattie legate al cibo stanno aumentando ed il sistema sanitario, alla vigilia di una riforma rivoluzionaria, fa i conti (nel senso stretto del termine) con le cattive abitudini alimentari dei cittadini-pazienti. Il quotidiano “Usa Today” ha dedicato nei giorni scorsi un’intera pagina alle raccomandazioni del ministero della Salute: gli americani mettano da parte una buona volta snack e hamburger e tornino a mangiare frutta e verdura. Monito corredato da un elenco degli stati più salutisti (in testa Vermont, Maine, Hawaii, Masachusetts), e di quelli dove si consumano meno alimenti agricoli in assoluto (Mississipi, Oklahoma, Alabama, South Dakota). Una classifica che sembra peraltro sottolineare il rapporto diretto tra errori alimentari e obesità (molti diffusa negli Stati del Sud). Tutto questo non può che essere musica per le orecchie dei titolari degli oltre 2milioni di fattorie americane: l’80 per cento della forza agricola degli Stati Uniti, che fino a poco tempo fa era stata messa completamente ko dalle lobby dell’industria alimentare. Ma che adesso grida vendetta. (Articolo dalla Coldiretti Lecce) |
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