Pesche, una crisi che viene dall’estero e dalla Gdo
Nel complesso di un 2009 di crisi per le produzioni ortofrutticole, spicca, in senso negativo, la situazione delle pesche, per certi versi paragonabile a quella del 2005. Analizzando l’andamento dei prezzi rilevati da Ismea (media sulle diverse piazze per il complesso pesche e nettarine), si vede come i prezzi medi di quest’anno siano solo di poco superiori al 2005 ed al 2004 ma, ovviamente, con i costi di produzione del 2009 (vedi tabelle). E’ ancora presto per poter analizzare la situazione, mancando ancora tutti i dati relativi al raccolto e all’andamento dell’import/export e consumi. Ma qualche riflessione possiamo già farla, basandoci sui dati di giugno, in attesa dei dati dell’intera campagna. La prima domanda è scontata: da dove vengono queste pesche? Dando per certo che i dati Istat siano attendibili in quanto a quantità e a provenienza (fatto che le manifestazioni di Coldiretti alle frontiere hanno quanto meno fatto vacillare, visto che si possono trovare prodotti che arrivano dall’estero già etichettati come italiani), circa 6,3 milioni di chilogrammi pesche proverrebbero dalla Spagna, 1 milione dalla Francia, quantità minori da altri paesi. La seconda domanda è altrettanto scontata: dove non sono andate le nostre pesche? C’è una terza domanda che, ingenuamente, si potrebbe porre: ma chi ha deciso di importare in Italia, 1° paese produttore europeo, oltre 8 milioni di pesche a giugno? E quante di queste pesche sono state vendute come pesche spagnole o francesi e non come pesche italiane? I dati, si ripete, sono solo parziali, però alcune conclusioni possiamo trarle. Vanno aumentati i controlli sulla corretta etichettatura delle pesche, ma anche degli altri prodotti ortofrutticoli, che spesso migliorano la loro immagine “spacciandosi” per italiani. Il Legislatore deve poi trovare una soluzione ai rapporti troppo squilibrati con la grande distribuzione, ad una contrattualistica medioevale criticata anche dal Parlamento europeo: a chi produce non possono rimanere solo briciole che non coprono i costi di produzione. Infine, dobbiamo recuperare il mercato tedesco, ma allo stesso tempo riuscire a differenziare le destinazioni per ripartire maggiormente il rischio. |
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