il Punto Coldiretti

Origine, tutto il valore della territorialità

Nel corso di questi ultimi anni, durante le varie discussioni e dibattiti, pubblici e privati, sul tema dell’etichettatura di origine, ne abbiamo sentite di tutti i colori. L’osservazione più frequente è però sempre quella relativa al caffè ed al cioccolato made in italy, quale simbolo dell’impossibilità di una etichettatura di origine del prodotto agricolo, pena la perdita di immagine e di fette di mercato.

Quando l’interlocutore, ostile all’etichettura di origine del prodotto agricolo utilizzato nei trasformati, si sente messo alle strette, non sapendo più cosa opporre ai temi della trasparenza e della consapevolezza che devono muovere le azioni dei consumatori, solitamente si rifugia su caffè e cioccolato. “Ma come? Siete matti? E allora il caffè ed il cioccolato? Fantastici prodotti del made in Italy? Prodotti italiani di successo in tutto il mondo! Come li vorreste etichettare?”.

Come se, dire da dove proviene il caffè o dove è stato coltivato il cioccolato, potessero togliere qualcosa a questi prodotti, o come se ci fosse qualcuno che sia convinto che il caffè e/o il cioccolato siano coltivati in Italia.

La cosa paradossale è che oggi, proprio le principali marche di caffè e di cioccolato italiane, senza che vi sia l’obbligo, stanno cercando di valorizzare e di differenziare i loro prodotti legandoli alla territorialità, declinando le diverse origini. Così emerge il cacao della Costa Rica, quello dell’Ecuador, il tanzaniano, il chicchi di caffè della Columbia, brasiliani, quelli del Perù, tutti rigorosamente lavorati in Italia.

E’ veramente un problema scrivere in etichetta la provenienza del grano utilizzato nella pasta o di quello che è servito a preparare il pane o i biscotti o è forse un “no” che ha un significato puramente ideologico? Forse, fra qualche anno,  dopo tante discussioni, troveremo qualcuno che volontariamente scriverà “pasta con i migliori grani canadesi” o “biscotti al frumento dorato dell’Ucraina”?

Coldiretti crede che la trasparenza sia un valore che non ha bandiera e che l’etichettatura di origine dei prodotti sia quanto di più democratico possa esistere, perché permette a tutti di poter effettuare scelte consapevoli, in base al proprio portafogli ed alle proprie priorità, ma forse è proprio questo che qualcuno non vuole.

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