Rivedere le borse merci per frenare il crollo dei cereali
L’attività borsistica delle Camere di Commercio nella definizione dei listini per la quotazione delle produzioni agricole pone da tempo serie riserve sulla effettiva valutazione, in termini di prezzo, delle produzioni cerealicole nazionali. La definizione dei prezzi e la formazione dei contratti avviene oggi attraverso il Comitato di Borsa – nominato periodicamente dalla locale Camera di Commercio – e composto da rappresentanti dei produttori, dei commercianti, dai mediatori e dai trasformatori. In questo contesto gli operatori hanno richiesto più volte una revisione globale sull’operatività, sulla composizione degli organi deputati alla gestione dell’attività borsistica e la trasparenza nel percorso della definizione del prezzo, poiché spesso le quotazioni delle produzioni non corrispondono alle realtà mercantili territoriali e nazionali. La conferma di scarsa trasparenza dell’operato di queste commissioni si è avuta proprio in questi giorni mentre assistiamo a progressive contrazioni del valore delle offerte cerealicole, in particolare per il grano duro, in tutte le borse merci delle Camere di Commercio provinciali, nonostante l’assenza di compravendite o davanti a contratti di scarsa rilevanza economica. Certo, rispetto allo scorso anno il clima mercantile è totalmente diverso: le importazioni, commissionate dall’industria di trasformazione, già prima della campagna di raccolta, risultavano essere azioni speculative che nel tempo (peraltro assai breve) hanno contribuito ad intasare l’offerta e a contrarre i prezzi di mercato. Ciò che lascia sconcertati è che in questo settore non si riesce a comporre un tavolo per governare gli eventi; il resto della filiera viaggia solo attraverso forme speculative e vuole il prodotto decidendo quando, dove, come, e stabilendo il prezzo a suo piacimento. Lo scorso anno sembrava finisse il mondo a causa dell’andamento internazionale dei prezzi delle materie prime: ma per anni nessuno ha speso una sola parola sull’aumento progressivo dei costi di produzione agricola, ai quali peraltro non è mai corrisposto un prezzo di acquisto del prodotto in linea con quanto sostenuto nella fase produttiva. Oggi la nostra controparte continua ad utilizzare il “Made in Italy” come plus commerciale ma continua a rifiutare l’obbligo dell’origine in etichetta per poter disporre di derrate agricole di dubbia provenienza e perché non ha mai digerito la riforma Pac in termini di disaccoppiato, in quanto contava ancora di speculare sulle risorse dei produttori. In questo contesto riveste carattere di urgenza la revisione dell’attività delle borse merci, ma contestualmente occorre effettivamente rimodulare l’organizzazione dell’offerta, attraverso le nostre forme associate – Consorzi Agrari e Cooperative – per cercare di posizionare l’ago della bilancia contrattuale in difesa degli interessi della parte agricola. |
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