Confronto Ocse-Coldiretti sul ruolo dell’agricoltura
Una delegazione di esperti sullo sviluppo rurale dell’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico con sede a Parigi), è stata invitata al Mipaaf per un confronto sulla politica di sviluppo rurale italiana. All’incontro, organizzato dal Direttore generale dello sviluppo rurale Giuseppe Blasi, hanno preso parte rappresentanti delle regioni, dei comuni e delle provincie, del Ministero dell’Ambiente e del partenariato economico sociale, tra cui Coldiretti. Il pomeriggio, dedicato al confronto con il mondo agricolo, è iniziato con alcune “provocazioni” del capo delegazione Ocse: gli agricoltori sono sovra-rappresentati, sia nei finanziamenti, che nella “governance” dello sviluppo rurale, le Regioni non hanno le idee chiare, poiché, sotto la voce competitività comprendono sia interventi per le imprese agricole di filiere internazionalizzate, sia per imprese agricole in aree marginali; sarebbe opportuno separare il groviglio che si è creato in Italia, in particolare quello tra ambiente e agricoltura, dando a ciascun Ministero il suo. Nell’immagine proposta, l’unica imprenditorialità possibile è quella della grande impresa agricola industrializzata fornitrice di materia prima, il resto dovrebbe essere collocato tra le politiche sociali; gli interlocutori italiani hanno reagito con diverse argomentazioni, tra loro integrabili. Coldiretti ha sottolineato che la sua reazione alla necessità di ripensare l’agricoltura italiana è stata opposta: essa non si è rassegnata ad un modello di crescita che ignorava molte realtà della nostra penisola, presentava problemi di sostenibilità ambientale e sociale, ma, soprattutto, mortificava il ruolo e la creatività di molti imprenditori, coltivatori diretti, insieme alle loro comunità e ai territori d’appartenenza. Coldiretti ha promosso leggi e cercato un dialogo con i consumatori-cittadini che allargasse – invece di restringerli – ruoli e funzioni dell’impresa agricola, valorizzandone la multifunzionalità; ha optato per la coesistenza di una pluralità di esempi di competitività, espressione delle risorse endogene e delle necessità dei territori; ha proposto una “rigenerazione” dell’agricoltura in grado di coniugare e rilanciare qualità, tipicità, tradizione e cultura. Questa strategia non è un esempio di irrazionalità economica e politica; viceversa, essa punta su una razionalità che parte dalle persone, dal loro contesto e dalla loro capacità di fare rete, non le esclude in nome di una razionalità che nasconde il suo”vuoto” dietro il fascino dei grandi numeri. Gli agricoltori sono sovra-rappresentati ? E’ vero che gli agricoltori possono essere solo il 4-7% della popolazione locale totale, ma non di rado dispongono dell’80% del territorio e la prima missione di un’amministrazione locale è proprio quella della gestione del territorio, per cui non si capisce come si possa adempiere questo compito senza coinvolgere gli agricoltori e le loro politiche, nella gestione del territorio. Gestione (e quindi governo) che non può prescindere dalla cura dell’ambiente e dalle problematiche dello sviluppo socio-economico; dunque, la centralità dell’agricoltura nello sviluppo rurale italiano non è una forzatura, ma è un’evidenza che si pone a chi affronta i problemi reali. Tra l’altro, il ristretto numero degli addetti agricoli non rappresenta le persone indirettamente coinvolte nell’attività agricola, ad esempio, attraverso un nucleo familiare pluri-reddito; di conseguenza, quel numero sottostima i legami dell’agricoltura con il territorio. Non dobbiamo scordare che l’agroalimentare è il secondo settore produttivo italiano, che il valore aggiunto agricolo è in una proporzione molto più bilanciata rispetto ad altri Paesi Ue, con il valore aggiunto dell’industria alimentare; infine, c’è la presenza di un associazionismo agricolo che non è solo professionale, ma è una forza sociale viva della nostra società civile e di quella internazionale. Altri hanno fatto osservare che questa centralità pluridimensionale dell’agricoltura ha una genesi storica che non è irrilevante per capire il caso italiano, a partire dalle battaglie presso il Mipaaf per la tutela degli uliveti calabresi minacciati dalla costruzione di quella “cattedrale nel deserto” che fu il porto di Gioia Tauro. In sintesi, Coldiretti si è sentita orgogliosa della volontà del nostro “sistema Paese” di pensare allo sviluppo in maniera integrata, partendo dalle persone e dai loro territori. Non si tratta di un “ritardo”, ma di una “ricchezza” che non dobbiamo sprecare con forme di assistenzialismo e di clientelismo; ce lo chiede anche l’Ocse che, dopo le provocazioni iniziali, ha dimostrato di apprezzare e ricercare il confronto con l’Italia e, in particolare, con Coldiretti. |
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