il Punto Coldiretti

Grano, il prezzo tocca i livelli storici

Il prezzo del grano ha raggiunto livelli storici sul mercato future dopo che il maltempo ha ridotto le potenzialità produttive in diverse parti del mondo, dal Canada all’India fino alla Cina. Lo rende noto la Coldiretti sulla base degli andamenti al Chicago Board of Trade che rappresenta il punto di riferimento del commercio internazionale delle materie prime agricole.

A far scattare un ulteriore aumento di 1,5 centesimi di Euro in un giorno, per un valore complessivo di oltre 27 centesimi al chilo per le consegna del grano a marzo, è stato – riferisce la Coldiretti – l’annuncio dell’imposizione di dazi per contenere le esportazione da parte del Ministro dell’Agricoltura del Kazahkistan dopo che il Paese ha esaurito il 75 per cento delle scorte. Insieme al grano anche la soia e il granoturco – continua la Coldiretti – hanno fatto segnare consistenti rialzi anche se secondo gli operatori non influenzeranno il mercato al consumo poiché le grandi multinazionali come Kellogg, General Mills e Kraft si sono garantite con contratti di fornitura di lungo periodo. 

La corsa al rialzo delle quotazioni dei cereali ha finalmente determinato l’inversione di tendenza di una situazione che ristagnava da oltre 15 anni in materia di prezzi di mercato e quindi di remunerazione del reddito agricolo. Certo, talune componenti economiche non hanno colto le nuove dinamiche dei mercati internazionali per ricercare intese di filiera e poter governare politiche nazionali di settore, anzi hanno cercato di scaricare sul mondo della produzione la responsabilità dei rincari apportati sui prodotti finiti (pane e pasta) dove il costo della materia prima incide rispettivamente per il 9 e il 14 per cento.

Per meglio comprendere il nuovo scenario mercantile è necessario rispolverare la memoria storica in materia di Politica Agricola Comune che comunque governa le strategie economico-finanziarie del settore.

Fino al 1992 – quando vigeva il regime del sostegno dei prezzi – il mercato del grano duro era regolato dall’intervento pubblico, con scarsa (o inesistente) capacità di contrattazione da parte delle imprese agricole, con il prezzo di mercato che si collocava ad un livello di poco superiore al prezzo d’intervento (circa 400.000 £/ton).

Con la riforma Mac Sharry (nel 1992) venne introdotto il regime di compensazione al reddito del produttore attraverso un aiuto di base, modulato sulla superficie aziendale. Inoltre, nelle zone tradizionali di grano duro venne istituito un aiuto supplementare per ettaro di superficie coltivata per assicurare la continuità produttiva. Il sistema induceva il produttore a coltivare solo in funzione dell’aiuto, senza possibilità di alternative colturali economicamente valide in un contesto nel quale solo l’industria veniva garantita e approvvigionata. Inoltre, la stessa Pac allineava i prezzi delle produzioni nazionali alle quotazioni internazionali, dimezzando di fatto il prezzo di mercato del grano duro, che si è quindi attestato per anni su una quotazione di 100 – 120 €/ton.

In un periodo nel quale diminuiva sensibilmente il costo della materia prima non sono state mai apportate riduzioni di prezzi al consumo della pasta, che pure potevano essere fisiologiche. Nel tessuto produttivo, invece, il confronto con il mercato globale ha generato una riduzione progressiva dei margini economici delle imprese, un aumento costante dei costi dei fattori della produzione, mai compensati dall’industria acquirente in termini di valorizzazione del prodotto. Questo era lo scenario fino alla riforma Fischler, dopo la quale finalmente – con l’introduzione del regime disaccoppiato – il produttore è tornato ad essere protagonista in termini contrattuali, orientando le proprie scelte colturali aziendali, in un contesto evolutivo e in linea con le nuove dinamiche mercantili.

La nuova congiuntura, insieme al nuovo regime Pac, conferiscono centralità al produttore agricolo nella negoziazione delle produzioni, valorizzando in termini economici reali l’origine, la rintracciabilità e la garanzia della qualità. In questo senso, si apre una nuova fase nella quale è opportuno investire in progetti autentici del “made in Italy” nel segmento del grano duro, riducendo progressivamente la dipendenza dall’estero; contestualmente, occorre qualificare la pasta italiana con l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine del grano. Solo così il consumatore potrà essere coinvolto e potrà concretizzare un volano finanziario determinante per l’economia dell’intera filiera.

Se le imprese agricole avranno soddisfazione in termini commerciali, non solo incrementeranno gli investimenti in qualità, in stoccaggi differenziati nelle proprie strutture, ma aumenteranno anche la superficie. In questo senso, già nell’attuale campagna si registra un incremento di superficie di circa il 20 per cento a grano duro e 10 per cento a grano tenero.  

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