Cibo e borsa, ecco come nasce la volatilità dei prezzi agricoli
Organizzato dal Comitato Italiano per la Sovranità Alimentare, un articolato network della società civile italiana, si è recentemente svolto in Coldiretti un seminario sulla volatilità dei prezzi dei prodotti agricoli e le speculazioni sul cibo. Alcuni prodotti agricoli dipendono più di altri dal prezzo del mercato internazionale: è il caso dei cereali con il Chicago Board of Trade, dove si commercializzano anche i derivati finanziari collegati ai cereali. La produzione dei cereali ha una volatilità intrinseca e da sempre esistono contratti (ad esempio “a termine” o “forward”) e, più recentemente, prodotti finanziari (come i futures) con cui chi compra e vende cereali (gli hedgers) si “copre” contro i rischi. E’ un mercato che ha bisogno di una certa liquidità finanziaria per funzionare e che, da prima del secondo dopoguerra fino al 2000, è stato regolato da una legge del periodo “rooseveltiano” (F.D. Roosevelt, presidente USA dal 1933 al 1945); una legge che faceva tesoro dell’esperienza del crollo della borsa del 1929, regolamentando gli strumenti da usare e ponendo limiti alle posizioni finanziarie detenute dagli hedgers, una legge che è cambiata molto poco fino alla sua abrogazione. Nel 2000 l’ammontare degli strumenti finanziari (future, options) raggiungeva il 20% del valore complessivo del mercato dei cereali e degli strumenti finanziari collegati. Con la deregolamentazione e il nuovo ruolo dei mercati non regolamentati (OTC: Over the country) per i prodotti finanziari, l’entrata di operatori come i fondi comuni, gli hedge funds e le banche d’investimento, quel rapporto si è rovesciato: ora sono le commodities ad essere meno del 30% del valore complessivo. Verso la fine del 2007 e per buona parte del 2008 c’è stata l’impennata dei prezzi delle commodities agricole, poi la crisi economica con la loro caduta, quindi la successiva ripresa fino a sfiorare i precedenti livelli record nei nostri giorni; un andamento che, visto in tempi più stretti, è più altalenante di quanto non mostri lo scorrere degli anni. Molte le spiegazioni dell’impennata dei prezzi agricoli, a partire da quelle sui fondamentali dell’offerta e della domanda agricola (più popolazione, meno terre coltivabili e cambiamenti climatici sfavorevoli, l’effetto delle 3F: food, feed, fuel, con l’aumento del consumo di carne nei Paesi emergenti e la produzione agricola per i biocarburanti) che lascerebbero supporre un durevole trend di crescita. Molti esperti si sono impegnati a dimostrare che non c’è correlazione diretta tra l’aumento degli strumenti finanziari e l’aumento dei prezzi agricoli. Esiste però una debordante finanziarizzazione del mercato delle commodities agricole da quando hanno smesso di tirare i tradizionali mercati finanziari, con il non più nuovo (ma sempre largamente inesplorato) tema del rapporto tra finanza ed economia reale, tra produzione di ricchezza “carta su carta” o tramite beni fisici e servizi relazionali. Ci sono due aspetti ulteriori di cui tener conto. Il primo è anche nel mercato delle commodities agricole tiene sempre meno la distinzione tra operatori commerciali e finanziari (gli hedgers), chi specula sui prodotti finanziari sta entrando in possesso di società del mercato fisico, mentre grandi operatori del mercato fisico (Cargill, ad esempio) scoprono che si guadagna di più con i derivati finanziari sui loro prodotti, che con il prodotto stesso. Il secondo è che chi specula non guadagna perché c’è un trend al rialzo, ma guadagna proprio sulla volatilità, qualunque sia il trend di fondo. Nel seminario si è accennato alle misure del “Dood Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act “ (21/7/2010), con il suo tentativo (il più avanzato, attualmente) di regolamentare e dare trasparenza all’intero mercato (fisico e finanziario) delle commodities agricole, di porre limiti alle posizioni detenibili dagli hedgers, anche se nuovi strumenti finanziari, in particolare swaps, possono permettere di aggirarli. Si è parlato di un possibile ruolo equilibratore di “riserve strategiche di cereali” nei diversi mercati, riserve con una funzione pubblica, ma gestite in maniera diversa dal passato e della necessaria collaborazione e reciproca informazione tra Stati nel contesto delle Nazioni Unite (forse nel Comittee on Food Security-CFS). Al seminario la Coldiretti ha evidenziato l’impegno dell’organizzazione nel superare la frammentazione dell’offerta dei nostri produttori agricoli e l’inadeguatezza di strumenti al contesto come il “conto deposito”, ma anche dell’opportunità per l’intero “sistema Paese” (agricoltori e industria di trasformazione) di una “ordinata gestione dei rapporti commerciali” con contratti di filiera della durata di 3-5 anni. Si è parlato soprattutto dell’impegno Coldiretti per “una filiera tutta italiana dei cereali”, dal grano al pane e alla pasta (vedi Pasta Ghigi), necessaria per un nuovo modello di sviluppo, per un nuovo rapporto tra produttori agricoli e consumatori. Un impegno che mostra chiaramente quale strada devono prendere gli agricoltori per dare forza e basi reali alle loro richieste politiche più generali. |
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