il Punto Coldiretti

1/3 spesa per mangiare fuori, più trasparenza sull’origine nei menu

Articolo di Paolo Falcioni pubblicato su Il Giornale del 16 maggio 2025 

La ristorazione italiana si conferma un pilastro della filiera agroalimentare allargata, ma soprattutto un elemento trainante del turismo e delle esportazioni agroalimentari Made in Italy nel mondo. Trecentoventottomila realtà attive sul territorio nazionale tra bar, ristoranti, mense, catering e ristorazione mobile, un milione e mezzo di occupati e 96 miliardi di fatturato in aumento dell’1,6% in termini reali sul 2023 e molto vicino ai livelli pre-pandemia: sono i numeri dell’ultimo rapporto Fipe sulla ristorazione in Italia.

Considerando che la spesa per i consumi alimentari a casa nel 2024 è stata pari a 196 miliardi, in Italia 1 euro su 3 destinati all’alimentazione è speso per mangiare fuori con una tendenza progressiva all’aumento, anche sulla base di quanto avviene in altri Paesi, secondo l’Osservatorio Coldiretti. Cresce dunque l’impatto della ristorazione sulla filiera con i risultati economici dell’industria alimentare e dell’agricoltura che dipendono sempre più dall’andamento dei consumi fuori casa, in Italia e all’estero. Solo sul territorio nazionale si stima che gli acquisti di prodotti alimentari e bevande da parte della ristorazione abbiano superato nel 2024 solo per l’Italia i 20 miliardi di euro. Dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura gran parte dei prodotti trovano nel consumo fuori casa un determinante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo ristoranti, agriturismi, bar e pizzerie rappresentano addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato, senza dimenticare i prodotti di alta gamma, dai salumi all’extravergine fino ai formaggi. E va sottolineato anche l’impatto sulle esportazioni con l’esperienza Made in Italy degli stranieri a tavola vissuta principalmente attraverso le vacanze nella Penisola per poi essere replicata nel proprio Paese di origine. A fare da ambasciatori ci sono in Italia 14 ristoranti con tre stelle, 38 con due stelle e 339 con una stella per un totale di 391 realtà, seconde solo alla Francia, sulla base delle elaborazioni Fipe sulla guida Michelin. Ma il Belpaese sorpassa nettamente i cugini d’Oltralpe, secondo la classifica delle 100BestFood Cities realizzata da TasteAtlas Award 2024-2025. Nella top ten delle città dove si mangia meglio nel mondo si classificano tra i prime dieci ben 6 capoluoghi italiani che occupano peraltro tutte le posizioni del podio con Napoli in testa seguita da Milano e Bologna ma nella top ten ci sono anche Firenze, Roma e Torino. Con la crescita ininterrotta dei consumi alimentari fuori casa e delle consegne a domicilio di pasti pronti, la richiesta di una maggiore trasparenza a tavola sta spingendo diversi Paesi dell’Unione europea ad introdurre norme nazionali per rendere obbligatoria l’indicazione di origine degli alimenti nei menu di mense, fast food e ristoranti, a partire dalla carne. Una opportunità che al momento è garantita solo dagli agriturismi che devono offrire piatti ottenuti con prodotti allevati o coltivati prevalentemente nel territorio circostante. Secondo il rapporto della Fipe tra le principali tendenze globali ci sono infatti “l’aumento della domanda di cibi salutari” e “una interconnessione sempre più forte tra sostenibilità e cibo che orienta le scelte dei consumatori verso prodotti con origine trasparente, etici e a basso impatto”. Si tratta di una esperienza che si sta diffondendo in tutta Europa. La Svezia è l’ultimo Paese dell’UE ad aver reso obbligatoria l’etichettatura di origine della carne nei ristoranti, ma altri Stati hanno già adottato proprie misure per garantire che il paese di origine appaia sui menu, secondo una indagine di Euractive. In Slovacchia, dal 2019 è in vigore l’obbligo per ristoranti, mense, bistrot e stand di festival di etichettare l’origine di carne di maiale, manzo, pollame, pecora e capra. In Finlandia lo stesso obbligo è entrato in vigore sempre nel 2019, mentre recentemente l’Estonia ha pubblicato un progetto di emendamento che richiede anche l’indicazione del paese di origine della carne negli esercizi di ristorazione ed infine il governo in Francia ha emesso un decreto che obbliga a indicare l’origine di tutti i tipi di carne serviti nei ristoranti. L’Italia, che è stata promotrice in Europa dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti sugli scaffali dei supermercati, ha le carte in regola per combattere questa battaglia fortemente sostenuta nel tempo dalla Coldiretti. La legislazione europea prevede già infatti che sulle etichette venga indicato il Paese di origine per commercializzare carne bovina, suina, ovina, caprina e pollame mentre per il pesce pescato in mare è d’obbligo indicare la zona di cattura e le sottozone, anche se la stessa regola non vale ancora per il consumo nei ristoranti. Per l’Italia si tratterebbe dunque di una ottima iniziativa a favore della trasparenza da giocare proprio in occasione della candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’Unesco che prevede una lunga e complessa valutazione da parte di un organo di esperti mondiali che potrebbe concludere il proprio esame a dicembre 2025.  Una prospettiva coerente con le esigenze dei consumatori ma in grado anche di generare un impatto positivo sull’intera filiera. Il rapporto diretto con la ristorazione garantisce infatti alle imprese agroalimentari normalmente margini più elevati e favorisce le realtà locali. Lo dimostra l’esperienza recente dell’olio extravergine di oliva che, con lo stop alle vecchie oliere anonime sostituite sulle tavole dei ristoranti dalle bottiglie anti rabbocco ed etichettate, ha avviato un percorso di valorizzazione economica e promozionale a vantaggio delle produzioni di qualità del territorio.

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