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Con stop urea perdita valore filiera cerealicola italia fino a 45%

L’urea è una commodity irrinunciabile per la produttività agricola, grazie al suo elevato contenuto di azoto, il più alto tra i fertilizzanti. Un mezzo tecnico essenziale, soprattutto per le filiere cerealicole, poiché garantisce rese adeguate e qualità delle produzioni. L’azoto, infatti, è un elemento nutritivo essenziale per la crescita delle colture e in Italia circa il 44% deriva dall’urea, anche se la sua distribuzione incide per il 16% del volume distribuito di tutti i fertilizzanti. In uno scenario di totale assenza di fertilizzanti azotati, in Italia le produzioni calerebbero del 61% per il mais, del 57% per il frumento tenero, del 78% per il frumento duro e del 77% per il riso. In assenza di urea, oltre al calo produttivo di mais, frumento e riso, si rileverebbero anche dei cali qualitativi, che genererebbero una contrazione complessiva del valore per l’intero comparto dei cereali fino al 45% e questo in un Paese che già si distingue per un impiego di azoto significativamente inferiore rispetto ai principali Paesi dell’UE, sia in valori assoluti che per unità di superficie coltivata.

È quanto emerge dallo studio di Nomisma sull’impatto della fertilizzazione azotata e dell’urea in Italia, commissionato da Assofertilizzanti, l’associazione di Federchimica che rappresenta i fabbricanti di fertilizzanti nazionali. Secondo quanto emerso dallo studio, nonostante negli ultimi dieci anni si sia già operata una riduzione del 20% dei fertilizzanti azotati, un’ulteriore restrizione come la messa al bando dell’urea nel bacino padano andrà inevitabilmente a compromettere la produttività di filiere di punta dell’agricoltura italiana. Lo studio analizza anche l’impatto del divieto sull’uso dell’urea in termini di riduzione delle rese agricole, in particolare nelle colture cerealicole. In uno scenario in cui nel Bacino Padano si producono annualmente circa 4.4 milioni di tonnellate di mais da granella, si stima una diminuzione del 36% nella produzione (pari a circa 1,6 milioni di tonnellate in meno l’anno), un calo del 17% su circa 2,1 milioni di tonnellate di frumento tenero, del 25% su 551mila tonnellate di frumento duro e, addirittura, del 63% su 1,4 milioni di tonnellate di riso. Perdite che avrebbero ricadute significative su numerose filiere agroalimentari d’eccellenza italiane. Non solo.

I dati mostrano come da un punto di vista ambientale l’applicazione dell’urea incida sulle emissioni di gas serra in maniera estremamente contenuta: appena lo 0,1% delle emissioni totali italiane e solo l’1,3% di quelle agricole. Dati che confermano come il suo divieto non avrebbe effetti significativi sulla mitigazione delle emissioni di gas climalteranti. L’ipotesi di un blocco dell’uso dell’urea nel Bacino Padano avrebbe infatti “effetti estremamente negativi su alcune colture chiave del nostro sistema agroalimentare. Il mais, ad esempio, è una componente essenziale per sostenere il comparto zootecnico e le grandi produzioni DOP; il frumento costituisce la base delle filiere 100% italiane dei prodotti da forno, dolciari e della pasta; mentre il riso italiano assicura una quota significativa dell’approvvigionamento europeo – ha sottolineato Paolo De Castro, presidente di Nomisma – Senza soluzioni tecnicamente ed economicamente sostenibili, si rischia di compromettere in modo serio la produttività e la redditività delle aziende agricole dell’area padana, mettendo in discussione il posizionamento competitivo dell’intero sistema agroalimentare italiano, tanto sui mercati nazionali quanto su quelli internazionali” .

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