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Cresce il prezzo dei terreni agricoli, dopo la pandemia boom di compravendite (+30%)

La pandemia ha rilanciato la terra come bene rifugio. Dopo lo stop forzato delle compravendite nel 2020 con un calo del 12%, il 2021 ha ridato smalto alle operazioni che hanno registrato un balzo del 30%, con il conseguente aumento dei prezzi. Le quotazioni dei terreni agricoli infatti sono cresciute dell’1,1% sull’anno precedente. Sono i dati diffusi dal rapporto Crea sull’andamento del mercato fondiario in Italia nel 2021. La relazione segnala però una flessione del valore del patrimonio fondiario a causa del tasso di inflazione. Il prezzo medio nazionale si è attestato su 21mila euro a ettaro, ma la situazione non è omogenea su tutto il territorio nazionale, perché il range oscilla tra i 42.300 ettari del Nord Est, i 29mila del Nord Ovest e i 15mila del resto dell’Italia. A sostenere le quotazioni sono dunque Nord e zone di pianura.

A crescere non è solo il numero delle compravendite, ma anche quello della superficie interessata che, secondo l’Osservatorio del Mercato Immobiliare (Omi), ha segnato un aumento del 59% sul 2020, anche in questo caso con andamenti diversi: nel Nord Ovest e Centro infatti si arriva a+ 70%, mentre nelle altre circoscrizioni non si supera il +55%.

Secondo la valutazione del Crea i risparmiatori avrebbero investito in terra l’eccesso di liquidità che si stava manifestando prima del periodo della pandemia e dunque l’incremento dell’acquisto di immobili, che ha interessato anche il mercato urbano, è letto come “la risposta dei risparmiatori alla congiuntura molto incerta e segnata da una forte spinta inflazionistica”. E questo conferma la terra come “il tipico bene rifugio”.

La richiesta è ovviamente elevata per i terreni fertili, dotati di maggiori infrastrutture e nei comparti che hanno le migliori prospettive commerciali. E la nuova Pac, almeno fino a ora, non avrebbe spostato le scelte. Sulla situazione fotografata, potrebbe pesare, come sottolinea il Crea, l’incertezza della congiuntura internazionale che ha determinato un aumento dei costi e la volatilità dei mercati delle commodity. E dunque oggi non è possibile valutare se ci sarà un ribasso dei prezzi o invece la domanda continuerà a salire e con questa i prezzi proprio in considerazione del valore di bene rifugio della terra.

Il report conferma anche per il 2021 il buon andamento degli affitti. La domanda premia i terreni migliori e cioè pianura e soprattutto seminativi irrigui e colture di pregio. La maggiore richiesta in terreni in affitto – evidenzia il Crea – sembra legata alla ripresa delle attività produttive dopo il Covid, ma anche alla necessità di raggiungere i requisiti per ottenere i contributi con le misure del Psr. Anche l’Istat con il nuovo Censimento ha confermato la crescita del 27% dell’affitto rispetto al precedente censimento. Le aziende con terreni solo in proprietà infatti si sono ridotte del 44% come numero e del 28% in termini di Sau. E queste terre “liberate” dai proprietari finiscono all’affitto.

Sono 5 milioni gli ettari coltivati in affitto e 1,2 milioni quelli in comodato gratuito, in pratica il 50% della superficie agricola utilizzata. Anche il fronte degli affitti è comunque condizionato dall’evoluzione del conflitto e dall’aumento dei costi ai quali non corrisponde un analogo rialzo dei prezzi riconosciuti agli agricoltori. Un altro elemento di rischio è rappresentato da una possibile maggiorazione dei canoni. Con l’attuale quadro di instabilità internazionale poi i proprietari non sono disponibili a stipulare contratti a lungo termine. Una scelta spinta anche dall’attesa di vedere quale potrà essere l’impatto della Pac. Sul mercato degli affitti continuano a incidere – conclude il Crea – i progetti per gli impianti di energia rinnovabile.

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