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Horeca e Brexit, le spine nel fianco del vino made in Italy

Chiusura, anche se parziale negli ultimi mesi, del canale Horeca e affanno dei mercati internazionali stanno condizionando le performance del vino made in Italy. Un’analisi dettagliata sull’andamento produttivo e commerciale in relazione alla variegata offerta della Cantina Italia è stata messa a punto dal centro studi Divulga. Sul settore, e in particolare su alcune specifiche categorie di vini, pesa molto la difficile situazione che sta vivendo la ristorazione sia all’interno che all’estero. A peggiorare il quadro poi la mancanza di turisti.

Preoccupa molto il fronte dei mercati internazionali caratterizzato da incertezze. L’ombra di una Brexit senza intesa rischia poi di offuscare le prospettive del settore, soprattutto per quanto riguarda le bollicine che negli ultimi anni stavano registrando un andamento economico particolarmente frizzante. L’export nel Regno Unito ha già segnato nei primi 8 mesi del 2020 un calo di quasi il 7,8% rispetto allo stesso periodo del 2019 dovuto allo stop del canale Horeca che veicola gran parte degli spumanti made in Italy. Quello britannico è un mercato importante dove si realizza oltre il 25% dell’export totale dei vini spumanti nazionali. Un andamento preoccupante che si affianca a risultati non eccellenti registrati anche negli Stati Uniti. Le bollicine tricolore nel periodo gennaio-agosto sono arretrate infatti sul mercato americano del 5%.

Secondo l’analisi di Divulga non è comunque andata meglio ai nostri competitor. Il vino francese, in particolare sta soffrendo decisamente di più. L’export del vino d’oltralpe in questi primi 8 mesi del 2020 è letteralmente precipitato, facendo registrare – 20% in valore, a pesare sul crollo delle vendite anche i dazi Usa del 25% che invece non hanno interessato i vini italiani ed anche ad un inedito indebolimento dei listini all’esportazione dei vini francesi, in particolare il bordeaux. Ma anche le bollicine francesi stanno attraversando momenti molto duri e anche in questo caso più dei nostri vini spumanti. L’arretramento delle esportazioni francesi di champagne è stato netto (-30% circa in valore). Il segmento in cui si colloca il prodotto (prezzo medio di poco inferiore a 30euro/litro), lo lega ancora più delle nostre bollicine, alla vitalità del canale Horeca.​

E’ questa dunque la situazione che si trova ad affrontare una produzione caratterizzata quest’anno da un elevato livello qualitativo. Secondo le stime elaborate da Coldiretti, la produzione di vino per il 2020 sarà in lieve calo rispetto all’anno precedente. Si stima, infatti, una produzione di circa 46,55 milioni di ettolitri rispetto ai 47,5 del 2019 con una riduzione di circa il 2%. Se, invece, prendiamo in considerazione la media di produzione dell’ultimo quinquennio la riduzione si attesta attorno al 4,8%. Le previsioni dovranno essere confermate a fine vendemmia con la presentazione delle dichiarazioni di produzione. Le stime produttive per la Spagna definiscono una produzione stimata pari a 43 milioni di ettolitri (+12,3% rispetto allo scorso anno) e per la Francia di 44,1 milioni di ettolitri (+ 2%). Dal punto di vista qualitativo per l’Italia le aspettative sono estremamente positive e fanno presagire una produzione di buona qualità, costellata da diverse punte di eccellenza. Questo grazie a condizioni climatiche che non hanno scontato particolari eccessi di calore e hanno consentito una stagione non particolarmente piovosa.

A livello territoriale alla testa della produzione si conferma il Veneto che con circa 11 milioni di ettolitri previsti dovrebbe contare per quasi un quarto dell’intera produzione nazionale di vino. Seguono la Puglia e l’Emilia Romagna rispettivamente con circa il 17,3% e il 14,8% .

Lo studio ha acceso i riflettori anche sulla Grande distribuzione organizzata per analizzare i cambiamenti prodotti dal Covid. La domanda del vino – sottolinea l’analisi di DIVULGA- si sta rivelando poco elastica e le perdite registrate dai valori alle esportazioni sono accompagnate da decrementi meno importanti dei volumi esportati. Dal 2019 ad oggi la perdita in valore dei consumi di vino risulta quasi quattro volte superiore alla diminuzione dei volumi venduti. Queste considerazioni hanno un valore generale e vanno dunque calibrate sulle singole categorie di vino, al cui interno ci possono essere ulteriori diversificazioni. A pagare sono oggi in larga parte i vini dei circuiti premium price, legati soprattutto alla ristorazione.

La loro sostituzione è stata inevitabilmente solo parziale: il consumo di alcuni prodotti è associato alle occasioni in cui essi trovano svolgimento, che sono tutt’uno con il vino venduto. Di conseguenza il canale della ristorazione può essere solo parzialmente replicato da canali alternativi, che pure hanno guadagnato spazio con l’intensificarsi delle occasioni di consumo domestico anche di prodotti di alta gamma. Il circuito dei vini offerti dalla Gdo ha fatto registrare una diffusa crescita e la somma degli accadimenti dei primi 10 mesi del 2020 indica come in questo periodo gli acquisti di vino nei circuiti della distribuzione organizzata siano cresciuti significativamente rispetto ai livelli dello scorso anno (+6,5% in valore).

A beneficiarne sono soprattutto i vini di qualità (Doc-Docg e Igt), seguiti dai vini spumanti e dai vini comuni che risultano fanalini di coda nella classifica della crescita media (in valore e volume) dei vini venduti nella Gdo nel primo semestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. I vini comuni risultano, secondo i dati Ismea/AC Nielsen Bd MKT, essere l’unica categoria ad aver sperimentato una variazione media negativa dei prezzi. Questo dato potrebbe segnalare un parziale recupero da parte del consumatore della domanda di qualità a causa della chiusura dei ristoranti e dei bar, a cui si è agganciata una parziale riconfigurazione dell’offerta di vino sugli scaffali della distribuzione organizzata, che ha lasciato più campo ai vini di qualità.

L’ultimo elemento preso in esame per tastare il polso al settore sono le giacenze. Il vino presente nella “Cantina italiana” infatti non è solo il mero risultato del rapporto tra produzione e vendita, ma anche la sedimentazione di risultati produttivi condizionati: dall’avvio della vendemmia, dalle operazioni di cantina, dai cambiamenti climatici e dalle scelte imprenditoriali. Dalle rilevazioni relative agli inizi di novembre emerge che le giacenze di vino, pur registrando un leggero appesantimento (+7,4%), in particolare per le produzioni di qualità, non sembrano aver raggiunto livelli preoccupanti, soprattutto se si tiene conto dell’effetto carico dovuto ai risultati produttivi straordinari della vendemmia 2018. I dati Icqrf di inizio novembre rilevano la presenza negli stabilimenti enologici italiani di 42,3 milioni di ettolitri di vino, 16,9 milioni di mosti e oltre 14,5 ettolitri di vino nuovo ancora in fermentazione. Seppur con le dovute cautele a causa delle operazioni di cantine in corso, si rileva un aumento delle giacenze del +7,4% per i vini e del 16,9% per i Vnaif, in riduzione invece le giacenze dei mosti (-5,7%).​​​

 

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