il Punto Coldiretti

Il Ceta e il popolo degli “utili idoti”

Venerdi 13 luglio dal palco dell’Assemblea della Coldiretti il Vicepremier e Ministro dello Sviluppo economico Luigi di Maio ha annunciato che il Governo proporrà al parlamento di non ratificare l’accordo di libero scambio con il Canada (Ceta). Un decisione attesa e coerente con gli annunci delle forze politiche di maggioranza in campagna elettorale e con lo stesso contratto di governo che è il frutto di una capillare azione di sensibilizzazione da parte di un’inedita ed importante alleanza tra diverse organizzazioni Coldiretti, Cgil, Arci, Adusbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Federconsumatori, Acli Terra e Fair Watch, alla quale si è peraltro aggiunto un Intergruppo parlamentare No Ceta trasversale.

Il risultato è stato una vera rivolta popolare, con la contrarietà nei confronti del Ceta espressa da 15 regioni, 18 province 2500 comuni e 90 Consorzi di tutela delle produzioni a denominazioni di origine. Senza dimenticare circa il 70% dei parlamentari eletti che hanno firmato direttamente o attraverso i propri partiti o movimenti la propria contrarietà al trattato prima delle elezioni aderendo al documento di Coldiretti e Campagna Amica.

Tutto normale quindi. Purtroppo non è stato cosi perché l’accordo piace ad alcuni industriali troppo a lungo abituati a vedere svendere l’agricoltura italiana e le sue ricchezze nei trattati internazionali a vantaggio dei propri interessi. E il Paese sembra sprofondare improvvisamente in un lontano passato veteroindustriale quando si diceva “Ciò che va bene per la Fiat va bene al Paese” che tante opportunità ha fatto perdere all’Italia.

E’ qui che a difendere l’interesse di pochi entra in campo il popolo degli “utili idioti” che per superficialità, ignoranza o convenienza sono disposti ad affermare il contrario della verità e a sacrificare gli interessi dei propri associati pur di andare in soccorso ai cosiddetti “poteri forti”. Si inizia con l’esaltare le fantastiche tutele che sarebbero garantite alle nostre produzioni tipiche per la prima volta in un Paese anglosassone omettendo i reali contenuti dell’accordo.  Il diavolo, infatti, come si sa, si nasconde nei dettagli e sulla base del trattato oltre 250 denominazioni di origine (Dop/Igp) italiane riconosciute dall’Unione Europea non godranno di alcuna tutela sul territorio canadese mentre per la lista dei 41 prodotti Made in Italy ipoteticamente tutelati sono previste importanti eccezioni come il via libera all’uso delle traduzioni dei nomi dei prodotti tricolori (un esempio è il parmesan) ma anche la possibilità per alcune tipicità (come asiago, fontina e gorgonzola) di usare per le imitazioni canadesi gli stessi termini se erano presenti sul mercato nordamericano prima del 18/10/2013 mentre se l’attività è stata avviata successivamente si dovrà semplicemente aggiungere una indicazione come “genere”, “tipo”, “stile”. E’ gravissimo il fatto che con il trattato l’Unione Europea per la prima volta autorizza all’estero l’utilizzo della traduzione inglese Parmesan del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano, per formaggi che non hanno nulla a che fare con le due specialità Made in Italy più vendute nel mondo. Un precedente disastroso a livello internazionale contro il quale si sono battuti da sempre i Consorzi di Tutela dei due formaggi che hanno proprio nelle imitazioni il concorrente più temuto all’estero.

Ecco perché ad uscire per prime sono le falsità sulle vendite in Canada dei formaggi italiani più esportati, il Parmigiano Reggiano ed il Grana Padano, che sarebbero balzate alle stelle. La realtà è esattamente il contrario: sulla base dei dati Istat più aggiornati, in netta controtendenza all’aumento fatto registrare sui mercati mondiali, le esportazioni di Parmigiano Reggiano e di Grana Padano in Canada sono crollate del 10% in valore e del 6% in quantità nel primo trimestre del 2018 rispetto al quello dell’anno precedente, il confronto più significativo per valutare gli effetti preliminari dell’accordo di libero scambio con l’Unione Europea (Ceta), entrato in vigore in forma provvisoria solo il 21 settembre 2017.

Smascherato il primo falso, si allarga il tiro e si sottolineano i presunti vantaggi che avrebbero dagli accordi i nostri vini, che con oltre 1/3 del valore, sono il prodotto agroalimentare italiano più esportato in Canada. Purtroppo non è vero neanche questo perché calano del 4% le bottiglie di vino Made in Italy esportate nel paese Nordamericano nel primo quadrimestre del 2018 rispetto al quello dell’anno precedente, dopo l’entrata in vigore dell’accordo Ceta. E allora si dice che è l’intero agroalimentare Made in Italy a guadagnarci. La realtà è anche in questo caso diversa poiché con il Ceta si è verificato un forte rallentamento della crescita in Canada. Le esportazioni dei prodotti agroalimentari nel Paese dell’acero sono aumentate del 4% nel primo quadrimestre del 2018 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ma erano cresciute di ben il 6% nello stesso periodo prima dell’entrata in vigore del Ceta.

A questo punto alcuni “esperti” puntano il dito sulle importazioni per affermare che con il Ceta si sono ridotti gli arrivi di grano duro che tanto fanno preoccupare gli agricoltori italiani. La verità, anche in questo, caso gli operatori la conoscono bene. Le importazioni dal Canada di grano duro si sono praticamente azzerate perché non rispondono più alle richieste dei consumatori e agli stringenti criteri di qualità fissati dai pastai italiani per la presenza di glifosato, il cui uso nel paese nordamericano è permesso in preraccolta e vietato in Italia. Il tema allora cambia ancora e si sottolinea, con un tono che ha l’amaro sapore del disprezzo verso la gente comune, che l’interesse di pochi “contadini” non può prevalere su quello generale del Paese con grandi vantaggi per le esportazioni italiane in Canada che sarebbero aumentate addirittura dell’8% grazie al Ceta. Anche qui siamo nel campo delle invenzioni visto che le esportazioni totali dell’Italia in Canada sono aumentate appena del 3% nel primo quadrimestre 2018 rispetto allo stesso dell’anno precedente, secondo i dati aggiornati dell’Istat.

Fortunatamente i numeri sono numeri e le bugie hanno le gambe corte. Ora è auspicabile, e forse anche probabile, che in futuro con la crescita economica le esportazioni in Canada aumenteranno ma sarà certamente difficile imputarlo al Ceta che, invece, se non sarà fermato resterà per sempre responsabile della svendita dei marchi più prestigiosi del Made in Italy agroalimentare che altri Paesi saranno autorizzati a chiedere nei trattati di libero scambio che l’Unione Europea si appresta a concludere.

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