Il discorso di Mattarella all’evento “Agricoltura è”
In occasione della cerimonia di inaugurazione del Villaggio “Agricoltura è” il 24 marzo 2025 nell’anniversario della firma dei Trattati di Roma il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha avuto un dialogo una rappresentanza di studenti di Istituti agrari e alberghieri del quale si riportano alcuni stralci. Domanda: Buongiorno, signor Presidente. Con il Trattato del 1957 sulla Comunità economica europea viene formalmente istituita la Politica Agricola Comune. Sarà un caposaldo delle politiche europee. Anzi un motore della costruzione comunitaria. E lo è tuttora, vista l’importanza che occupa nel bilancio dell’Unione. Nel frattempo, nell’arco dei decenni, l’agricoltura in Europa si è trasformata, è cambiato il suo ruolo e il suo peso nelle economie e nelle società, restando cruciale per la sicurezza (degli alimenti e non solo), le potenzialità di sviluppo e la qualità della vita degli europei. Lei ritiene che l’Europa possa essere ancora di supporto agli operatori agricoli in questa stagione così tempestosa? Presidente: ti ringrazio innanzitutto per avere parlato della Politica Agricola Comune con il nome per esteso, e non con l’acronimo PAC, come abitualmente si fa. Qui, col permesso del Ministro, esco fuori tema rispetto al tema dell’agricoltura. Siamo sommersi dagli acronimi. Nel web, sulla stampa, nei documenti, anche quelli che ricevo. Sono infarciti di acronimi. È come un linguaggio per iniziati, che esclude chi non è consapevole. In fondo, ragazzi, riflette quello che sta avvenendo anche con i telefonini, con i messaggi telefonici, in cui le parole vengono contratte; si riducono ad alcune lettere, vengono quasi simboleggiate. Cioè, si contrae il modo di esprimersi, per brevità, per guadagnare tempo. Ma quello che vorrei dire – uscendo dal tema della giornata – è che il pensiero si esprime con la parola. E se le parole si contraggono e perdono compiutezza espressiva, il pensiero non riesce più a esprimersi adeguatamente. Quindi bisogna stare attenti. Sono indispensabili acronimi e messaggi brevi. Ma mai perdendo di vista quanto sia importante esprimersi in maniera compiuta. L’agricoltura è sempre stata protagonista nella vita dell’integrazione europea. Lo è già nel Trattato. All’articolo 3 – all’inizio del Trattato, nei primi articoli – si parla della Politica agricola comune. E poi ve ne è un altro, che è l’articolo 39, che parla dei traguardi da raggiungere. Parla della qualità dei prodotti, del tenore di vita di chi in agricoltura vive, della capacità di approvvigionamento, di prezzi ragionevoli per il consumatore, della tutela del mondo agricolo nel suo complesso, cioè. Questo ha fatto sì che nascesse – come abbiamo visto – la Politica agricola comune, che ha avuto grandi risultati, successi importanti. Abbiamo visto una crescita costante dell’agricoltura in Europa. Per l’Italia il bilancio è altamente positivo. Per i mercati in cui siamo entrati, per la qualità dei prodotti che inviamo, per le filiere agroalimentari che sono diventate produttrici di eccellenze mondiali. Siamo il primo Paese dell’Unione come prodotti tutelati. Vi sono centinaia di prodotti italiani che sono – vorrei evitare gli acronimi – di denominazione di origine protetta, di indice geografico protetto, di specialità tradizionali garantite. L’Italia, più di ogni altro Paese dell’Unione, ha un numero alto di prodotti con queste protezioni, dimostrando – questo – la grande qualità della nostra agricoltura. Quindi è abbastanza facile dire che l’agricoltura rimane nevralgica nell’Unione, e l’Unione la garantisce, come ha fatto in questi decenni. E quella italiana è protagonista. Domanda: Buongiorno, signor Presidente. L’agricoltura italiana esprime rilevanti eccellenze, molto apprezzate dai consumatori internazionali. L’attuale spinta a porre dazi, a interrompere i processi di commercio internazionale, può avere dei riflessi negativi sull’export dei prodotti agricoli italiani? Presidente: La cooperazione, i mercati aperti, per noi corrispondono a due esigenze vitali che abbiamo: la prima è quella della pace, la seconda, quella dei nostri concreti interessi come Paese esportatore. Quindi, è facile dirlo – è abbastanza ovvio – ma è indispensabile ripeterlo, ribadirlo: i dazi creano ostacolo ai mercati. E ostacolano la libertà di commercio; come dire, alterano il mercato, penalizzano i prodotti di qualità, perché tutelano quelli di minor qualità. E questo per noi è davvero una cosa inaccettabile. Ma dovrebbe essere per tutti i Paesi del mondo inaccettabile. Si è dato vita, in questi decenni passati, alla Organizzazione Mondiale del Commercio per indurre tutti i Paesi del mondo a commerciare in maniera leale, con regole rispettate. Non sempre vi si è riusciti – naturalmente – però, quell’organismo è riuscito a far sì che crescesse in maniera più corretta il mercato mondiale. Ha fatto crescere molti Paesi, li ha fatti migliorare. Questo sistema, questa volontà di collaborazione su regole leali, è indispensabile. Alle volte viene violato, e lo sappiamo. Vi sono Paesi che hanno un sovrappiù di produzione, che sorreggono per riversarlo sui mercati esteri. Ma questo non ha come risposta i dazi di chiusura, ha come risposta le regole da far rispettare e da migliorare come efficacia. Un sistema di dazi e di chiusure creerebbe conseguenze fortemente negative anche per gli apparati produttivi interni. Pensiamo all’Italia: noi esportiamo il 40% del vino che produciamo; un terzo del riso che produciamo; importiamo la metà, il 50%, del grano che ci serve. Quando si parla di guerre commerciali, spesso si mette l’accento sull’aggettivo “commerciali”; bisogna metterlo, invece, sul sostantivo “guerre”, perché sono guerre anche queste: di contrapposizione, che inducono poi a contrapposizioni sempre più dure e più pericolose. Bisogna essere sereni, senza alimentare un eccesso di preoccupazione, perché l’Unione Europea – di cui facciamo saldamente parte – ha la dimensione, la consistenza, la forza per interloquire in maniera autorevole, con calma, ma con determinazione, per contrastare scelte di chiusura dei mercati e di applicazione dei dazi, così immotivati e così generali. Il nostro apparato produttivo è strettamente interconnesso, integrato con gli apparati produttivi di altri grandi Paesi d’Europa. Questo fa dell’Europa un soggetto forte, autorevole sul piano economico. Quindi, la scelta è interloquire con autorevolezza, con calma – ripeto – ma anche con determinazione, perché si mantenga l’apertura dei mercati che è anche una garanzia di buona vita internazionale. Vedete, l’Unione Europea, nel corso del tempo, ha stipulato accordi di apertura dei mercati con il Giappone, con il Canada, con l’America Latina con il Mercosur: sono tutti rapporti che, da un lato, consentono scambi commerciali vantaggiosi per entrambe le parti ma, soprattutto – e accanto a questo, che è importante, naturalmente, come interesse del nostro Paese e dell’Europa – creano una tessitura di collaborazioni, di rapporti di fiducia internazionale, che garantisce la pace. Mercati contrapposti mettono in pericolo la fiducia tra i Paesi, la collaborazione internazionale. Mercati aperti, con commerci comuni, scambiati, creano rapporti di fiducia, di conoscenza; creano – appunto – questa tessitura di collaborazione che garantisce la pace. Per questo la nostra posizione è chiarissima: per la pace nel mondo e per il vantaggio delle popolazioni occorre avere mercati aperti. E questa è una regola di civiltà, che da tanto tempo è stata affermata. |
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