il Punto Coldiretti

L’etichetta salva il riso Made in Italy, +3500 ettari seminati

L’obbligo di indicare l’origine in etichetta ha salvato il riso Made in Italy dalla concorrenza sleale delle importazioni low cost spacciate per italiane, con una previsione di aumento delle semine tricolori pari a circa 3500 ettari nel 2019. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti divulgata in occasione della presentazione dell’iniziativa “Abbiamo riso per una cosa seria” organizzata insieme alla Focsiv a favore dell’agricoltura familiare in Italia e nel mondo con gli agrichef, i cuochi contadini, di Campagna Amica al lavoro per far scoprire le ricette tradizionali a base di riso.

Nell’anno successivo all’entrata in vigore nel febbraio 2018 della nuova normativa sull’obbligo di indicare la provenienza in etichetta fortemente sostenuta dalla Coldiretti, nella coltivazione di riso in Italia si è verificata una positiva inversione di tendenza con la previsione di 220.670 ettari seminati nel 2019 secondo l’ultimo sondaggio dell’Ente Risi a marzo, dopo 3 anni di continui cali che hanno portato a perdere quasi 20.000 ettari di superfici seminate a riso.

Un cambiamento determinato dalla ripresa delle quotazioni per i raccolti Made in Italy dopo essere scese su valori insostenibili per i produttori. Parallelamente, nel 2018 le importazioni di riso straniero sono crollate del 24%, scendendo a 180 milioni di chili, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat.

L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine non consentiva di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative ed impediva anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali e, con esse, il lavoro e l’economia del territorio. In gioco c’è il primato dell’Italia in Europa dove il nostro Paese è il primo produttore di riso con 1,40 milioni di tonnellate su un territorio coltivato da circa 4mila aziende che copre il 50 % dell’intera produzione Ue con una gamma varietale del tutto unica.

Alla valorizzazione della produzione nazionale ha contributo però anche lo stop all’invasione di riso asiatico nell’Unione Europea che da metà gennaio 2019 ha messo finalmente i dazi sulle importazioni provenienti dalla Cambogia e dalla Birmania (ex Myamar) ritenuta peraltro responsabile di gravi violazioni dei diritti umani nei confronti della popolazione Rohinya (una minoranza etnica di religione musulmana), oltre che dello sfruttamento del lavoro minorile e dell’uso di prodotti pericolosi.

Nel dettaglio sono previsti dazi solo sul riso Indica lavorato e semilavorato per un periodo non superiore a tre anni, con un valore scalare dell’importo da 175 euro a tonnellata nel 2019, a 150 euro a tonnellata nel 2020 fino a 125 euro a tonnellata nel 2021 ma è possibile una proroga ove sia giustificata da particolari circostanze. Secondo i primi dati aggiornati alla fine di marzo della Commissione Europea, i numeri dimostrano che la clausola di salvaguardia inizia a fare effetto. Le importazioni di semilavorato e lavorato da Cambogia e Myanmar nel mese di marzo in Europa sono calate di 24mila tonnellate (16.000 a fronte delle 40.000 registrate a febbraio e delle 54.000 tonnellate di gennaio).

Si tratta di una esperienza che dimostra l’importanza della trasparenza dell’informazione ai consumatori per salvare il consumo di suolo in un Paese come l’Italia dove nel 2019 sono scomparsi 100mila ettari di terra coltivata, pari alla superficie di 150mila campi da calcio, a causa del consumo di suolo e della cementificazione ma anche del mancato riconoscimento del lavoro degli agricoltori e dei bassi prezzi pagati per i prodotti agricoli nazionali per la concorrenza sleale delle importazioni low cost di prodotti dall’estero.

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