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Lotta alle aflatossine del mais: approvato l’uso d’emergenza di Aspergillus flavus

Via libera del Ministero della Salute all’uso d’emergenza di Aspergillus flavus ceppo MUCL 54911, come richiesto da Coldiretti. Si tratta di un agente di biocontrollo a base del ceppo atossigeno indicato, in grado di ridurre il contenuto di aflatossine nel mais destinato esclusivamente all’uso mangimistico. Il formulato nasce da un progetto condiviso tra Coldiretti, Consorzi Agrari d’Italia, l’Università Cattolica di Piacenza e Corteva Agriscience.

Aspergillus flavus MUCL 54911 è naturalmente presente nell’ambiente. Quando il prodotto viene applicato alla coltura, compete con i ceppi di A.flavus che producono le aflatossine e ne limitano la presenza. I trattamenti su mais sono autorizzati dal 20 marzo 2020 al 17 luglio 2020. La società produttrice ha presentato il dossier per l’approvazione definitiva a livello europeo della sostanza attiva nonché quello del prodotto fitosanitario per la registrazione nazionale del formulato.

Aver ottenuto l’autorizzazione all’impiego del formulato in uso d’emergenza è molto importante in quanto le aflatossine rappresentano i principali e più diffusi contaminanti in grado di esercitare un ruolo rilevante nel commercio dei prodotti agricoli di interesse alimentare e mangimistico. La ricerca scientifica ha evidenziato, infatti, come le aflatossine siano un rischio emergente in quanto, a seguito del cambiamento climatico in atto, se le temperature dovessero aumentare di 5°C entro la fine del secolo, come previsto da alcuni scenari IPCC, si assisterebbe ad un forte allargamento della zona di rischio per la contaminazione da aflatossina B1, soprattutto nel Sud-Est europeo.

La ragionevole certezza di poter reperire sul mercato mais caratterizzato da bassi livelli di contaminazione è, quindi, di primaria importanza: il rischio di incorrere in contaminazioni inaccettabili nel breve periodo, con effetti negativi sulla salute degli animali allevati o, nel medio periodo, sul formaggio in stagionatura, sono diventati uno degli elementi che conducono a privilegiare fonti e areali di approvvigionamento a basso rischio e forniture soggette all’origine a particolari controlli o modalità di produzione.

Secondo i più recenti dati Istat, in Italia, nel 2019 sono stati coltivati 632.168 ha di mais con una riduzione dell’11% rispetto ai 728.000 ha del 2015. La produzione totale che, attualmente, ammonta a 63.885.787 q, risulta in ripresa rispetto al 2017 (61.140.970 q) grazie soprattutto all’incremento medio di quest’ultima campagna.

ll mais occupa, in ogni caso, un ruolo di rilievo nell’agricoltura italiana. In termini di superficie rappresenta una delle colture di maggiore diffusione, incidendo per il 10%, rispetto alla superficie agricola utilizzata. La maggiore estensione della coltura riguarda la produzione di granella, dalla quale si ottiene in prevalenza mais destinato all’industria mangimistica, ma anche materia prima per l’industria amidierae molitoria. Anche la produzione foraggera ha una grande importanza. Il mais foraggero (o ceroso) entra, infatti, nel ciclo produttivo dell’allevamento zootecnico. Infine, il silomais può essere impiegato per la produzione di biogas.

In questo scenario, le importazioni nette possono raggiungere circa 6 milioni di t. per un valore, più o meno, di un miliardo di euro con un’autosufficienza decisamente inferiore al 50%. Il nostro mercato preferisce il prodotto locale, ma se la produzione nazionale è carente – come sta avvenendo – aumentano le importazioni con un impatto negativo sulla tenuta dei prezzi del mais italiano.

Le motivazioni relative alla flessione della produzione di mais sono dovute non solo agli elevati costi di produzione a fronte di prezzi di mercato non remunerativi, ma anche a condizioni climatiche sempre meno favorevoli che hanno determinato importanti ripercussioni sulla qualità sanitaria delle granelle e conseguenti ulteriori deprezzamenti,inducendo molti imprenditori agricoli a prediligere la soia, un’alternativa spesso più premiante rispetto al mais. Nel medesimo arco temporale, infatti, la produzione di soia è aumentata di quasi il 20%.

La situazione analizzata da Ismea che registra tale sensibile contrazione nello spazio di vent’anni nella produzione maidicola è fonte di preoccupazione per cui è molto importante ricorrere a strategie e misure efficaci, sia politiche che di mercato, per tutelare la prima coltura annuale in volumi di produzione, nonché la materia prima più rilevante per l’ottenimento di mangimi destinati alle produzioni zootecniche di qualità.

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