Usa primo mercato per l’export di extravergine
Nella grande distribuzione la crescita media dei prezzi derivante dalla scarsità di offerta a livello nazionale e globale, ha già ridotto dal 47% del 2022 al 20% del 2024 il differenziale esistente tra l’olio evo comunitario, che continua a rappresentare la tipologia più venduta a volume con il 62% e il ‘100% italiano’. E’ quanto emerge dall’analisi dell’Osservatorio Sol2Expo-Nomisma. Questo avvicinamento ha reso più “attrattivo” al consumatore il prodotto ottenuto da olive italiane, il cui prezzo medio a scaffale è giustamente più elevato. “L’auspicio è che il consumatore italiano acquisisca una maggior consapevolezza sul valore reale dell’olio extravergine di oliva – ha detto Denis Pantini, responsabile Agroalimentare di Nomisma – portandolo a riconoscere l’evo, come un alimento principe della dieta mediterranea e non un semplice condimento o ingrediente da utilizzare in cucina”. Sul fronte della distribuzione moderna su base NielsenIQ, principale canale di vendita in Italia, gli ultimi tre anni sono segnati dagli effetti combinati dell’inflazione e di una produzione leggera, che hanno determinato una riduzione delle vendite a volume tra il 2022 e il 2024 del 10%, a fronte di un aumento del 64% a valore. Per quanto riguarda il mercato estero, l’export di evo raggiunge 160 Paesi, ma il 65% del valore è realizzato in Stati Uniti (32%), seguiti da Germania (15,5%), Francia (7,9%), Canada (4,7%) e Giappone (5,3%). In 20 anni il consumo mondiale di olio d’oliva è cresciuto ‘a piccoli passi’ (da 2,7 a 3 milioni di tonnellate), denotando tassi di crescita più rilevanti nei paesi extra-Ue, che hanno visto aumentare il loro peso dal 28% al 57%. |
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