il Punto Coldiretti

EuropAfrica, agricoltura familiare per costruire reti d’imprese

Nell’ambito della Campagna EuropAfrica si è svolto a Roma un Congresso internazionale in cui, oltre alla Coldiretti, hanno partecipato il presidente della Federazione dei contadini dell’africa Orientale (EAFF), Philip Kiriro, il presidente della Rete delle organizzazioni contadine e dei produttori agricoli dell’Africa Occidentale (ROPPA), Ndiogou Fall, il presidente della Piattaforma regionale  di organizzazioni contadine dell’Africa centrale (PROPAC), Elisabeth Atangana, quindi funzionari della Commissione Europea (CE), della FAO, dell’IFAD, alcuni funzionari di organismi intergovernativi africani, un rappresentante della Fondazione ungherese Gaia e della Federazione dell’Agricoltura Vallone (Belgio); il tema era: "L’agricoltura familiare reagisce alla “crisi” alimentare. Quale appoggio da parte delle politiche agricole?".

Uno dei punti condivisi era quello che l’agricoltura familiare possa dar vita, anche in maniera creativa, a reti d’impresa radicate territorialmente in grado di rispondere alle sfide alimentari e alle esigenze di sostenibilità dello sviluppo, dal punto di vista ambientale, sociale e culturale. Per i Paesi africani, questa centralità dell’agricoltura d’impronta familiare non è solo un’opportunità, ma è anche una drammatica esigenza umanitaria, poiché essa rappresenta la maggioranza della popolazione di quei Paesi e, un po’ paradossalmente, di coloro che soffrono la fame.

Nel convegno si è ricordato che le sfide degli ultimi anni, dall’emergenza alimentare innestata dal fenomeno degli alti prezzi di certi prodotti agricoli di base (cereali e riso), ai rischi di minori produzioni in seguito ai cambiamenti climatici, hanno riportato al centro dell’attenzione internazionale le “politiche agricole”, anche per organismi sovranazionali come la Banca Mondiale,  che per tutta la fase delle liberalizzazioni commerciali, le aveva cancellate dall’elenco delle politiche per lo sviluppo.

Quindi le politiche agricole sono utili, e l’esperienza di realtà come l’Unione Europea (UE) dimostra che servono politiche agricole nazionali e regionali per un’integrazione economica regionale dal “volto umano”; poiché si parte dalle esigenze primarie dei popoli che si integrano, con politiche popolari (nel senso politicamente significativo del termine), cioè, inclusive. D’altronde questo passaggio intermedio dell’integrazione regionale, in particolare quella Sud-Sud, sembra essere il viatico migliore per una “globalizzazione dal volto umano”.    

Però se le politiche sono utili, il dibattito si focalizza su quali politiche agricole e quali strumenti. I Pvs hanno diritto ad un sistema di regole e misure differenziato che consenta loro di proteggere le forme nascenti di organizzazione dei mercati locali e nazionali. I riferimenti vanno alle classiche misure della protezione tariffaria e alle garanzie di prezzo, in particolare sui prodotti di base indispensabili per la sovranità alimentare di un popolo; però, il tutto collocato dentro una visione di integrazione regionale con le inevitabili specializzazione che essa attiverà, senza dimenticare i rapporti con soggetti sovra regionali, come l’UE.

Il dibattito diventa vivace e registra posizioni diversificate quando si passa alla Politica Agricola Comunitaria dell’UE e alla sua riforma: qualcuno non ha mai digerito il disaccoppiamento del 1992 perché vi vede solo l’aspetto del premio alla non produzione, diversi vogliono rincorrere un intervento pubblico (dell’UE) che fissi prezzi, quote e tariffe per proteggere un’agricoltura europea altrimenti destinata a soccombere nel confronto internazionale. In breve, si rincorre una PAC dei primordi calibrata sulla piccola impresa familiare, quasi fosse una sorta di riserva indiana  da preservare.

La Coldiretti non può rincorrere questi libri dei sogni, non si può riscrivere la storia pensando di aggiustare oggi quello che non ci piace più di allora, poiché quella politica non favorì l’impresa familiare. Noi abbiamo l’impressione che il confronto su questi temi, in particolare tra europei, risenta troppo di vecchie parole d’ordine, di nostalgie che impediscono di guardare avanti. Invece, è importante guardare avanti a politiche che promuovano le reti territoriali di imprese agricole, negli aspetti produttivi e remunerandone i molteplici contributi che esse possono rendere alle comunità.

Occorre rafforzare la presenza dei produttori agricoli nelle filiere convenzionali, creare nuovi spazi di mercato per la diversificazione, quello che conta è il paradigma della rigenerazione dell’agricoltura in un nuovo patto con il cittadino-consumatore; rispetto agli strumenti occorre il massimo pragmatismo, elevarne uno al ruolo di salvatore è una mossa psicologica, più che politica.

Politiche per le imprese agricole inquadrate nel loro contesto territoriale, sono la risposta dei territori al vento di trasformazione imposto dai “signori dei flussi globali”, delineano un terreno su cui i produttori agricoli del Nord e del Sud possono incontrarsi per far valere le ragioni del mondo agricolo. Su questo terreno continueremo a lavorare per far crescere nella società civile e nelle istituzioni nazionali e sovranazionali la consapevolezza di ciò che fanno e possono fare gli imprenditori agricoli e le loro imprese familiari.  

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