il Punto Coldiretti

Flotta Italia a rischio con le quote per il pesce spada

La riunione annuale dell’ICCAT, l’organizzazione internazionale per la conservazione dei tunnidi nell’oceano Atlantico e Mediterraneo, tenutasi quest’anno in Portogallo, introduce per la prima volta la gestione mediante le quote di cattura del Pesce Spada, inserite all’interno di un “piano di recupero degli stock per la durata di 15 anni. 

La quota totale di cattura per il primo anno, il 2017, sarà di 10.500 tonnellate che andranno calando di un 3% per gli anni successivi, il periodo 2018-2022 (totale 15%).  La taglia minima per la specie non sarà più di 90 cm. ma è stata aumentata a 100 cm. (calcolata dall’incrocio delle spade – bocca – al punto di incontro delle due pinne caudali), una misura pur al disotto della taglia adulta che dovrebbe essere secondo la ricerca applicata a 140 cm.  

I dati sulla consistenza del Pesce Spada, forniti dal CGPM (FAO) e UE, relativi alle catture dicono che lo stock mediterraneo si sia impoverito del 70% e che le cause principali di questa riduzione di disponibilità siano la “pesca illegale” e la “cattura di esemplari ancora giovani”.  

I dati in possesso all’ICCAT dicono che la consistenza delle catture di esemplari non adulti è pari a  circa i ¾ degli esemplari catturati nell’intero bacino del Mediterraneo.  Dati quelli utilizzati assai vetusti (2010) che andavano confermati con un attività di monitoraggio nel anno 2016, ma purtroppo l’accelerazione voluta dall’organizzazione stessa ha spiazzato tutti, in particolare gli operatori di un settore impreparato a sopportare pesantissimi sacrifici che scaturiranno dalle quote.

Tale scelta, se da un lato accelera la ricostituzione degli stock di Pesce Spada, dall’altro rischia di distrugge un settore, quello del palangaro, come già accaduto con il tonno-rosso. Di non poco conto è il fatto che dovremo valutare anche l’impatto che tale specie in recupero potranno avere sulle altre specie predate, “approccio sistemico”, stock sono altrettanto in difficoltà, il tutto al fine di evitare quanto avvenuto con il tonno-rosso, il cui recupero ha messo a rischio la tenuta di altre specie predate.

Per fare un necessario confronto la gestione tramite il “sistema delle quote” nel tonno, ha creato operatori ricchi, poveri e nulla-tenenti.   Un sistema di oligopolio, dove 12 aziende a circuizione detengono circa il 75% della quota nazionale affidata al sistema a “circuizione”;  3 aziende con tonnara fissa detengono il 7% della quota nazionale e comunque il 100% della quota affidata al sistema “tonnara fissa”;  30 aziende con il sistema a palangaro detengono il 9% della quota nazionale di tonno-rosso ed un restante 9% sono la quota delle catture accidentali e pesca sportiva.  

Questo ha creato tensioni interne tra i detentori di quote, in particolare tra chi si è visto affidare 3 tonnellate e chi ne ha avute 150 (dato 2016), e tensioni esterne con chi non può fare catture di tonno, perché non possiede quote e si deve confrontare con una legge stupida, che gli impedisce di tenere il tonno che abbocca all’amo come cattura accidentale.  

Ora la palla passa a Bruxelles dove la Commissione dovrà, entro il mese di febbraio 2017, stabilire i criteri di ripartizione delle quote. Il timore è quello, come avvenuto per il tonno-rosso, che forti lobby diventino padrone di larga parte delle quota europea ed a loro volta in Italia della quota nazionale.

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