Gli interventi al Forum di Cernobbio: mondo accademico e autorità
Fabrizio De Filippis Le proposte sulla nuova Pac presentano luci e ombre, secondo il professor Fabrizio De Filippis, Direttore del Dipartimento di Economia dell’Università Roma Tre, nella sua relazione al Forum Coldiretti di Cernobbio. Vi sono novità positive (lo spacchettamento del regime di pagamenti diretti, l’imposizione di tetti ai pagamenti più alti, il nuovo regolamento sullo sviluppo rurale) ma alcune di esse sono declinate male: in particolare, il pagamento greening, volto a premiare comportamenti virtuosi sotto il profilo ambientale, e l’agricoltore attivo, per restringere la platea dei beneficiari della Pac a chi esercita l’attività agricola davvero e non come pura estrazione di rendita. In entrambi i casi – ha sottolineato De Filippis, che è anche un esponente del Gruppo 2013 – le definizioni sono insoddisfacenti e non applicabili in modo equilibrato nell’Ue a 27, per cui sarebbe più saggio dare flessibilità agli Stati membri nella applicazione nazionale. Tra gli aspetti da bocciare vi è la “convergenza”, il meccanismo per ridurre le disparità tra i pagamenti diretti nei diversi Paesi: essa, infatti, genera una redistribuzione modesta a livello Ue ma con effetti squilibrati per alcuni Paesi, primo tra tutti l’Italia, penalizzata dall’uso della superficie (e non anche PLV o lavoro) come parametro di riferimento. Per l’Italia, dunque, il negoziato parte male – ha spiegato il professore -, ma come paese già tra i più forti contributori netti del bilancio Ue potrà chiedere correzioni sostanziali: sia sulla convergenza che sui margini di flessibilità di applicazione nazionale della nuova Pac. Sarà difficile ma non impossibile, anche perché il pacchetto di proposte sulla Pac, vista la debolezza politica di Ciolos e le tante modifiche già intervenute, sembra tutt’altro che blindato. Giacomo Vaciago Il nostro Paese non cresce perché le moderne tecnologie non sono ancora diffuse. E’la denuncia di Giacomo Vaciago, economista dell’Università Cattolica di Milano, intervenuto al Forum Coldiretti di Cernobbio. Esse sono importanti perché danno guadagni di produttività solo se si rispetta la legge, solo se paghi le tasse, hai un’amministrazione efficiente, cioè on line con te. Se fare la coda negli uffici pubblici è la nostra interpretazione del terzo millennio vuol dire che non ci siamo. Nel nostro paese c’è sempre stata l’illegalità – ha spiegato il professore -, non siamo peggiorati, ma oggi da 15 anni non funzionano le moderne tecnologie. Negli ultimi anni non c’è stato ammodernamento e questo ci ha portato ad essere l’unico paese al mondo dove la produttività totale è diminuita. Negli uffici c’è ancora una tecnologia vecchia. Ciascuno di noi passa tempo sul computer, ma deve anche fare altro lavoro manuale o fare code e questo fa produrre meno per ora lavorativa. Questo ci dovrebbe preoccupare – ha sottolineato Vaciago – . Le misure che stanno per essere varate sono insufficienti. C’è bisogno di un’agenda condivisa, c’è bisogno di un’agenda per la crescita. La crisi in Europa non è finanziaria, non è un problema di debito. Ci sono due mondi distinti nell’unione monetaria che si sono molto allontanati. Germania e altri paesi del nord crescono, Italia, Spagna, Grecia e Portogallo no. E’ la prima volta che un paese viene ammonito dall’esterno perché deve crescere. Questo dovrebbe essere invece un nostro obiettivo. Per la prima volta la generazione dei figli avrà un reddito peggiore di quello dei genitori – ha spiegato -. Serve che la moderna tecnologia venga estesa a tutti, ma il singolo non può risolvere il problema. Serve il governo perché solo così si potrà evitare la diffusione dell’illegalità. Si tratta di vivere in un mondo in cui si rispettano le leggi, prima di tutte quelle del fisco, che è la prima sovranità del governo. Un paese dove c’è diffusa evasione è un paese dove c’è cattiva democrazia. Nel nostro Paese gli affari si fanno al cellulare. La tecnologia è valida se è diffusa, funziona bene se estesa a tutti. Servono idee chiare, una diagnosi condivisa e un governo che si occupi del Paese. Se la tecnologia diventa universale, i guadagni migliorano. Se analizziamo gli ultimi 150 di storia, si vede che il nostro Paese è cresciuto molto ma poco nei primi e negli ultimi 20 anni. Adesso stiamo faticando a crescere ma è ora di aprire una nuova stagione – ha concluso Vaciago – e possiamo tornare a crescere proprio con la moderna tecnologia. il primo aspetto dell’illegalità è la contabilità in nero, spesso presente nelle nostre imprese. Prima o poi questi problemi faranno parte di una agenda condivisa e verranno affrontati come meritano. Il nostro paese ha molte opportunità e noi dobbiamo coglierle. Donato Ceglie Quant’è difficile far rispettare la legalità? Ha preso le mosse da questa domanda l’intervento al Forum di Cernobbio del magistrato Donato Ceglie, il quale ha sostenuto che il problema della legalità non può essere solo un problema di “guardie e ladri”, una questione che riguarda solo le forze di polizia e di alcune procure. Citando dati Eurispes, Ceglie ha ricordato che l’illegalità costa all’Italia qualcosa come 190 miliardi euro l’anno. “Occorre – ha detto – investire di più in prevenzione e cultura delle regole e in servizi più efficienti. Se la sfida è globale, la risposta non può essere solo di una procura, ma occorre una banca dati nazionale”. Il magistrato ha ricordato che l’Unione europea ha imposto ai Paesi membri di prevedere gravi sanzioni non solo per le persone fisiche, ma anche per le persone giuridiche. “Anche se con lentezza, stiamo operando – ha detto – per colpire i patrimoni di questi – soggetti che operano a livello transnazionale. Gli esempi sono tanti, come nel caso di soggetti italiani che esportavano rifiuti tossici in Cina e negli stessi container importavano prodotti alimentari o per l’infanzia. Purtroppo nel nostro Paese mancano ancora puntuali indagini epidemiologiche che ci dicono quanto costano in salute le nuove agromafie”. Ricordando che il comma 2 dell’art.9 della Costituzione recita che “la Repubblica tutela il paesaggio”, Ceglie ha ricordato che in Italia il paesaggio “è stato violentato, affidando scelte edilizie all’anarchia dei singoli. I ripetuti annunci di condono edilizio – ha detto – sono benzina per il motore dell’abusivismo”. Il magistrato ha citato come esempio virtuoso la scelta di Coldiretti, associazioni consumatori e associazioni ambientaliste di costituirsi parte civile nei processi delle agromafie. “E’ un segnale che può funzionare meglio di nuove leggi”. Cesare Patrone Nel 1985 il Corpo forestale faceva progetti per interventi sul territorio con una duplice analisi, una finanziaria ed una economica. Il corpo forestale si occupa delle 3 a: ambiente, agricoltura e alimentazione. C’è stata una evoluzione del nostro corpo dopo il 2001 in quanto si credeva che certe competenze fossero di competenza locale. L’analisi viene da Cesare Patrone, Capo del Corpo Forestale dello Stato, intervenuto al Forum Coldiretti di Cernobbio. Prima era un corpo tecnico con funzioni di polizia, adesso invece è un corpo di polizia con funzioni tecniche. Non c’è sviluppo senza collegamento con la legalità. Ci occupiamo anche di incendi boschivi, di commercio di animali e piante in via d’estinzione. Le criticità di oggi? L’infiltrazione delle organizzazioni criminali che operano sfruttando gli spazi della globalizzazione. Operiamo attivamente per combattere il reato ambientale – ha spiegato Patrone – , evitando la prescrizione, puntando sulla piena padronanza e percezione del reato ambientale. La falsificazione agroalimentare non è più qualcosa che riguarda soltanto strati di popolazione cha acquistano certi prodotti. Riguarda tutti e tutti i prodotti, poiché causa un deperimento della qualità che colpisce tutta la popolazione. L’amministrazione forestale è a un nuovo snodo: dove c’è l’impegno dello Stato e della comunità, è possibile andare avanti. Abbiamo avuto una legge importante per le nostre attività grazie all’impegno agricolo – ha poi ricordato il capo della Forestale -. Ciò che manca è la costanza, la perseveranza. C’è bisogno di fare riflessioni attente sia nell’ambito delle procure anti-mafia che nelle procure. C’è bisogno di capacità che consentano la giusta interpretazione del reato ambientale. I rapporti con la Coldiretti, che vanno avanti da tempo, hanno portato a riflessioni importanti e questi devono continuare e devono contribuire a migliorare il sistema. Come Corpo forestale, avvertiamo la cultura diffusa della cittadinanza passiva e percepiamo un senso di solitudine. La comunità – ha concluso – aspetta sempre che ci sia qualcuno per trovare la soluzione ai problemi. Ci sono possibilità soltanto se tutti insieme lavoriamo insieme per una vera azione di progresso nel campo della tutela ambientale. Dominick Salvatore Le cause della crisi sono riconducibili – secondo l’economista statunitense Salvatore – ai mutui subprime dati a persone e famiglie senza garanzie e a tassi variabili più bassi. E’ stato fatto perché i mutui sono stati impacchettati e rivenduti alle banche di investimento (cartolarizzazioni). Le agenzie di rating, pagate dalle banche che emettevano i mutui subprime, erano state chiamate a valutare la rischiosità di tali operazioni, assegnando la tripla A e la SEC, equiparabile alla nostra Consob, non ha saputo controllare la situazione. La causa è iniziata negli Stati Uniti, ma se l’Europa non avesse avuto gli stessi eccessi americani, la crisi non si sarebbe mossa così velocemente. Le banche italiane sono state virtuose – ha precisato – perché non sono riuscite a diventare banche di investimento e quindi non hanno potuto beneficiare dei profitti derivanti dalla vendita dei mutui subprime. La crisi si è estesa ai Paesi emergenti attraverso il settore reale e il contagio è stato più lento. Ma perché la crescita è lenta e c’è il pericolo di una nuova recessione nei Paesi avanzati? si è chiesto Salvatore. Innanzitutto per il deficit e le spese pubbliche insostenibili. Gli Usa non possono fare stimolo fiscale a causa di deficit e debito così alti. Ma anche per le incertezze economiche, incertezza sull’aliquota di imposte e sul costo assicurazione sanitaria, e ancora per l’orizzonte delle politiche economiche troppo breve con il risultato che le imprese non investono. C’è anche il problema della moneta cinese, sottovalutata di almeno il 20-30%. La crisi in Europa è dovuta invece – ha sostenuto l’economista della Fordham University – a deficit pubblici e debiti sovrani insostenibili (Paesi Gipsi) e competitività bassa. Qualche decennio fa, la malata dell’Europa era la Germania ma, una volta rimesso in ordine i conti, il costo del lavoro è sceso. E come si aumentano i salari? Si aumentano con la produttività, ma se la produttività non cresca allora ogni aumento di salario comporta l’aumento del costo del lavoro. Per battere la crisi per gli Usa – ha detto ancora – è necessario lo stimolo fiscale nel breve e la riduzione delle spese pubbliche nel medio termine, oltre all’eliminazione delle incertezze delle politiche economiche e agli investimenti nelle infrastrutture. Per l’Eurozona occorre rifinanziare le grandi banche, ridurre i deficit pubblici, aiutare i Paesi deboli come Spagna e Italia. Occorrono bancarotta controllata della Grecia e ristrutturazioni per competitività internazionale. Se la Grecia dovesse uscire dall’euro – ha avvertito Salvatore – i mercati attaccherebbero i Paesi più deboli. Federico Rampini Intervenendo sullo scenario geopolitico e i risvolti sociali, Federico Rampini ha sostenuto che sono di fronte a cambiamenti che si possono comprendere in una ottica di transizione secolare. Per la prima volta, dopo cinque secoli finisce il potere della razza bianca. Lo testimoniano i Brics, il gruppo di Paesi rappresentati da Brasile Russia, India e Cina, con l’aggiunta recente di SudAfrica. Mentre declina un tipo di ordine sociale ed economica – ha detto Rampini – ne sta emergendo un altro che però non si è ancora affermato perché i nuovi Paesi non sono ancora organizzati. La crisi attuale – secondo l’editorialista di Repubblica – si differenzia da una normale recessione perché i crack bancari a ripetizione significano che la durata del periodi di crisi durerà molto più a lungo, fino la 2015. Per comprendere questa crisi, secondo Rampini bisogna studiare gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. E’ solo in quel periodo che si ritrova la dilatazione enorme delle diseguaglianze sociali. Ciò che la distingue è la formazione della popolazione: oggi sta andando in pensione la parte più popolosa della popolazione, cose che non avveniva al tempo della grande depressione. Allora si ebbero risposte divaricate, con l’insorgere di totalitarismi come il fascismo e il nazismo, furono prese ad esempio le scelte mussoliniane della grandi opere. Anche questa crisi è un laboratorio politico, con una involuzione prolungata delle democrazia che viene sequestrata – ha detto Rampini – dalle lobby del denaro, mentre emerge anche una deriva tecnocratica, come nel caso della Grecia, dove la sovranità popolare è stata sospesa da gruppi tecnocratici esterni, mentre emergono una serie di populismi di destra e di sinistra. La crisi si complica se consideriamo la revisione delle regole da parte dei Paesi Brics, che stanno sostituendo il potere americano e dell’occidente in generale, pur senza avere una architettura della futura governance mondiale. E’ una sorta di ritorno a Bretton Woods. Si pensi alla decisione della borsa di Monbay in India, che ha vietato le speculazioni sui futures dei prodotti agricoli, che oggi sta diventando una norma mondiale. Si pensi anche al Brasile che sulla manodopera impone, per chi vuole partecipare ai progetti, di assumere manodopera brasiliana. La Commissione europea ha calcolato che i Brics hanno applicato 139 nuove norme protezionistiche. E’ drammatico che l’occidente sia assente. Gerard Francois Dumont Credo che uno dei problemi della Pac è che il contesto economico non è adatto al contesto agricolo. Lo ha detto Gerard Francois Dumont, dell’Università la Sorbona di Parigi, intervenendo al Forum Coldiretti di Cernobbio. Il collegamento tra demografia e agricoltura: quante persone da nutrire? Quali problemi di distribuzione? Quale tipo di persona andrà nutrito? Ci stiamo avviando verso i 9 miliardi di persone o ci fermeremo a 8 – si è chiesto il professore francese -? Il mondo deve confrontarsi con vari rischi e potremo portarci oltre i 9 miliardi solo se migliorassero le regole e il rispetto sanitario, l’alimentazione, i rapporti geopolitici. Si sta assistendo a una crescita meno spinta della popolazione: il periodo di grande sviluppo dovrebbe essere stato quello dal 1950-2000. In Europa – ha continuato Dumont – troviamo dinamiche demografiche estremamente diverse. Un secondo elemento da considerare è la distribuzione agricola (accentratori, francia – policefalici, italia), un terzo è il totale dei consumatori in Europa, che dovrebbe restare abbastanza variabile sino al 2050. Ad ogni modo, è dato per acquisito che la loro distribuzione sarà diseguale. Aumento di consumatori in alcuni Paesi europei e diminuzione di consumatori in altri Paesi europei. Diminuzione di 65 milioni in Germania, calo in Italia. I consumatori saranno diversi per due ragioni: una legata agli apporti migratori, l’Europa è un territorio cosmopolita e le scelte di consumo sono sempre più diversificate. (es. in Francia non più carne e patatine ma cous cous). L’altra dipenderà dall’età, persone attive con relativamente poche persone anziane e pochi bimbi. Nel tempo potrebbe essere il contrario: meno persone attive e più persone anziane con necessità differenti. Aumenteranno le persone di 75 anni e più. Sviluppi demografici – ha concluso Dumont – ci porteranno a scenari molto diversi. La Cina inizierà a vedere calare la propria popolazione, mentre l’India vedrà crescere la propria popolazione. Marco Mancini L’Università italiana può fare la sua parte a patto che si investa sulle energie dei giovani. Uno strumento può essere quello del trasferimento tecnologico. Oggi nelle Università – ha detto il Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università italiane Marco Mancini – ci sono 53 uffici per il trasferimento tecnologico e il 60% partecipa a patti scientifici e tecnologici. Gli Atenei sono terreni interessanti per progetti d’impresa detti spin-off, oltre alla formazione di giovani menti all’interno del mondo delle imprese attraverso il dottorato, rivisto nelle sue linee portanti tramite decreto ministeriale. Oggi esistono 873 spin-off, imprese che nascono all’interno di idee che si formano dentro le Università e che propongono ricerca e sviluppo. Di queste 873 imprese – ha precisato – un terzo è dedicato all’elettronica, a nanotecnologie, a beni culturali, ma non ci sono numeri significativi per quanto riguarda l’agricoltura. Esistono però 22 facoltà di agraria e forse è opportuno dare una chance in più nel confronto col mondo dell’impresa. La crisi è molto forte – ha concluso – ma constato che quanto più si crea un cluster nel territorio, con le energie proprie del territorio, la competizione internazionale c’è. Se non ci si affida alla capacità di ideazione che viene dall’università e dal mondo della ricerca, rischiamo di soccombere. Il made in Italy con la ricerca è la risposta. |
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