Globalizzazione asimmetrica, quando le regole non valgono per gli altri
Ormai il termine “globalizzazione” fa parte del nostro linguaggio; spesso è utilizzato come sinonimo di opportunità, altre volte è collegato a problemi commerciali. Sta di fatto che è diventato parte della nostra quotidianità. In qualunque momento, in ogni gesto, in tutte le situazioni, tocchiamo con mano quali che sono gli effetti della globalizzazione: è praticamente impossibile trovare un giocattolo che non venga dal continente asiatico (nonostante i marchi dal nome più o meno italiano), le scarpe sportive sono ormai quasi tutte prodotte a poche decine di euro in Cina o Corea o Vietnam, per poi essere vendute a centinaia di euro alle nostre latitudini. E poi ci sono rubinetti, mobili e chi più ne ha più ne metta. Non parliamo dei prodotti agro-alimentari, quelli che ci toccano più da vicino, dato che l’Unione Europea è il primo importatore mondiale. Ci dicono che questa è la globalizzazione, la sfida, ma ci sembra un confronto ad armi impari. Infatti se i nostri confini sono diventati assolutamente permeabili a qualunque tipo di prodotto, altrettanto non avviene per le nostre produzioni. Siamo in una situazione di “globalizzazione asimmetrica”, la condizione di mercato più pericolosa che ci possa essere. Prodotti agroalimentari e florovivaistici di tutto il mondo si riversano sul nostro territorio, sugli scaffali dell’Unione Europea a 27, ma le nostre produzioni trovano ostacoli di ogni tipo, tariffari e non tariffari che, di fatto, ci negano l’accesso a molti mercati. Ma a cosa è dovuta questa asimmetria? Fondamentalmente al diverso approccio che hanno l’Unione Europea e gli altri Paesi nei confronti degli scambi commerciali. L’Ue ha una legislazione di tipo permissivo: tutto ciò che non è espressamente vietato, è consentito, l’unico obbligo è il rispetto delle regole generali fissate dalla Unione, ovvero standard di commercializzazione e livello dei residui di agrofarmaci consentiti. Il che, tra parentesi, significa che nei Paesi extra comunitari si possono utilizzare prodotti vietati da noi, basta che non siano trovati residui. I paesi terzi hanno un approccio di tipo restrittivo: tutto ciò che non è espressamente consentito è vietato e, per accedere ai loro mercati, è necessario negoziare in via bilaterale specifici protocolli per paese/prodotto. In poche parole, l’Unione Europea ha trattato l’accesso al mercato comunitario a 27 dei prodotti dei Paesi terzi, mentre ogni singolo Stato membro deve (almeno fino ad oggi) accordarsi in via diretta con ogni singolo Paese terzo per accedere, con i suoi prodotti, a quel mercato. Ad esempio, dalla Cina arriva concentrato di pomodoro, aglio, funghi, semilavorati di ortofrutta, mele, legumi secchi, eccetera, mentre i nostri prodotti ortofrutticoli non riescono a raggiungere quel mercato: ecco l’asimmetria! Il motivo sarebbe legato alla presenza in Italia di un dittero, la mosca mediterranea della frutta (Ceratitis capitata), non presente in Cina.Gli stessi francesi riescono a esportare le loro mele in Cina, ma solo se provenienti dai 30 ettari (!) autorizzati dai cinesi. E pensare che basterebbe il consumo di una mela alla settimana in più per ogni cinese, per generare una domanda aggiuntiva pari al totale della produzione italiana di questo frutto. Il tema della globalizzazione asimmetrica riguarda in generale i Paesi extracomunitari che hanno tutti (chi più chi meno) innalzato barriere non tariffarie, come il Canada che ha bloccato di recente nostre partite di uva da tavola per la presenza di un altro insetto (l’oziorrinco) o gli Stati Uniti che hanno bloccato in passato le importazioni di clementine dalla Spagna, dopo che in una partita avevano trovato un esemplare di un altro dittero non presente sul loro territorio. Ma il problema esiste anche in Italia, vista la quantità di insetti e malattie arrivate negli ultimi anni con i prodotti altrui: dal cinipide del castagno (imenottero cinese che mette a rischio la nostra produzione), all’Anoplophora chinensis (altro insetto cinese che danneggia fruttiferi e piante ornamentali), dalla diabrotica del mais alla tristezza degli agrumi, dalla farfalla del geranio, originaria dall’Australia, alla cameraria dell’ippocastano. Questa asimmetria non è di poco conto, perché alcune delle nostre produzioni devono essere esportate trovare sbocchi sui mercati esteri. Solo di pesche e nettarine, mele, pere, uva da tavola, kiwi dobbiamo esportare dal 25 al 75% della produzione nazionale, per evitare il surplus interno; non parliamo del vino, dei formaggi, eccetera. Non crediamo che la strada giusta sia quella di accordi Euro-Med come quelli che l’Ue sta portando avanti ancora in questi giorni: accordi asimmetrici, a discapito delle nostre produzioni mediterranee, come pomodori, patate novelle e primaticce, zucchine, clementine e arance, solo per citarne alcuni. L’ obiettivo che deve essere assolutamente raggiunto è quello di riuscire a rimuovere gli ostacoli che ancora bloccano la crescita del vero Made in Italy nel mondo, per avere, finalmente, una vera globalizzazione che sia una reale opportunità, non solo un problema per le imprese agricole. |
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