Importazioni, boom del valore della pasta mentre cala il grano duro
La pasta spicca il volo, ma il grano duro resta a terra. Nel primo semestre del 2008 il valore delle esportazioni di spaghetti e penne è aumentato del 46 per cento a livello mondiale, con punte del 50 per cento nei paesi dell’Unione Europea, dove finisce un terzo del totale della produzione esportata. Ma il prodotto simbolo del made in Italy trionfa anche sui mercati asiatici, dove l’export è raddoppiato, tanto da avvicinare i livelli degli Stati Uniti, gli unici a rimanere sostanzialmente stabili. Insomma, anche se linguine e tortiglioni costano di più, i consumatori di tutto il mondo sembrano non farci caso. E non solo loro. Dopo un iniziale calo, i consumi di pasta in Italia sono tornati a salire, risultando in aumento dell’1,4 per cento nel primo semestre, secondo elaborazioni Coldiretti su dati Ismea ac Nielsen. Non basta. Il rapporto Ref per Ancc-Coop stima che, per effetto dei rincari, gli italiani spenderanno solo per l’acquisto di pane, pasta e derivati dei cereali 3,4 miliardi in piu’ nel 2008, per un valore di circa 140 euro per famiglia. Resta l’interrogativo sui motivi di tutti questi rincari. Fino a qualche tempo fa industriali e commercianti ripetevano la solita litania sul boom del prezzo del grano (peraltro gonfiato da una serie di movimenti speculativi che non hanno portato alcun vantaggio agli agricoltori) che rendeva inevitabile un aumento del prodotto finale. Una giustificazione che, però, non regge più, ammesso e non concesso che abbia avuto qualche validità anche prima. Nel corso del 2008, le quotazioni del mercato del grano duro sono, infatti, diminuite del 40 per cento, passando da un prezzo di circa 500 euro a tonnnellata (gennaio 2008) ai 290-300 euro a tonnellata, mentre i costi di produzione per le imprese agricole continuano a salire. Come giustificare, allora, i nuovi rincari di penne e spaghetti? La realtà è che la filiera produttiva italiana continua ad essere sbilanciata verso la distribuzione, mentre si contrae sempre di più la quota di agricoltura e industria. Basta leggere i dati sulla ripartizione di quanto spende ogni giorno il consumatore. Ben sessanta centesimi vanno alla distribuzione commerciale, 23 all’industria alimentare e solo 17 centesimi agli agricoltori. Una situazione insostenibile per il sistema produttivo sulla quale occorre intervenire. Non a caso Coldiretti sta lavorando ad una strategia per semplificare e razionalizzare la filiera, per rispondere alle esigenze degli agricoltori nell’interesse dei consumatori. L’obiettivo è affrontare l’emergenza inflazione con un piano che sarà presentato al Governo a fine anno e che vede il coinvolgimento, oltre che delle imprese agricole, del sistema dei consorzi agrari (Assocap), dai quali passa oltre il 40% dei mezzi tecnici, lo stoccaggio e la trasformazione dei prodotti, di CoopColdiretti e del sistema dei farmers market. |
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