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La Cina guarda all’estero alla ricerca di terreni più fertili

La Cina guarda all’estero alla ricerca di terreni più fertili. A fare il punto della situazione sulla crescita dell’interesse del gigante asiatico per l’acquisizione di nuova terra coltivabile è un articolo apparso sul quotidiano statunitense Los Angeles Times.
29 marzo 2014 – Quando Ma Wenfeng era un ragazzo, suo padre guadagnava così poco denaro coltivando grano e mais, che la sua famiglia mangiava principalmente mantou, pane cotto a vapore che è l’alimento base dei poveri. L’ultima cosa che si aspettava era di diventare agricoltore.
Ora la sua più grande ambizione è quella di avviare un’azienda agricola, ma non in Cina, paese in cui la parola “agricoltore”, nongmin, è sinonimo di “contadino”. Molti agricoltori cinesi hanno passato da tempo l’età pensionabile ma continuano a coltivare piccoli, inefficienti appezzamenti di terreno.
Spinti dalla volontà di trovare grandi distese di terra con abbondanti forniture di acqua pulita, i cinesi guardano lontano –  agli Stati Uniti, al Cile, al Brasile, alla Russia, all’Ucraina, alla Bulgaria e all’Australia.
“Siamo l’economia la cui crescita è la più rapida al mondo, con un’enorme richiesta di prodotti agricoli”, spiega Ma, che lavora come analista per un’associazione commerciale di Pechino, la CnAgri. “Quando guardiamo all’estero, vediamo grandi appezzamenti di terra dove è possibile gestire un’azienda agricola che abbia senso economicamente”.
Dal punto di vista economico, l’investimento cinesi nei terreni agricoli possiede una logica impeccabile. Una statistica spesso citata rivela che la Cina possiede il 20% della popolazione mondiale e solo il 9% delle superfici coltivabili. “Nel corso della storia cinese, la nostra terra non è mai stata abbastanza”, afferma Tian Zhihong, professore di agricoltura internazionale alla China Agricultural University.
La Cina soffre di siccità e desertificazioni croniche, e negli ultimi decenni ha aggravato la propria situazione inquinando il terreno o destinandolo all’edilizia in una precipitosa corsa verso lo sviluppo economico. Nel mese di dicembre, il Ministero della Terra e delle Risorse ha rivelato i risultati di uno studio quinquennale (precedentemente tenuto segreto): 8 milioni di acri di terreni agricoli, ovvero circa il 2% della terra coltivabile del paese, è troppo inquinata per l’attività agricola.
Dalle angurie che esplodono al riso al cadmio, entrambi conseguenze di un eccessivo uso di fertilizzanti, gli scandali alimentari nazionali hanno reso più popolari in Cina i cibi stranieri.
“Vogliamo portare il sole, la terra e l’acqua americani in Cina”, afferma Zhang Renwu, un uomo d’affari che possiede due aziende agricole in Utah, dove viene coltivata erba medica per nutrire le vacche da latte.
Le aziende cinesi stanno acquistando terreni agricoli dove è loro concesso – molti paesi infatti vietano la vendita di terreni agli stranieri – o stanno formando partenariati con aziende agricole estere.
Quando lo scorso anno il più grande produttore di carne di maiale in Cina, Shuanghui International Holdings, ha pagato 4,7 miliardi di dollari per la sua controparte statunitense, Smithfield Foods Inc., ha anche acquisito più di 100.000 acri di terreni agricoli in Missouri, Texas e North Carolina. (La Smithfield, con sede in Virginia, non ha rivelato l’estensione dei terreni agricoli coperti dall’acquisto, ma basta pensare che una società controllata aveva riferito che era in possesso di più di 100.000 acri nei tre stati.)
In Australia, un consorzio a guida cinese ha acquistato una piantagione di cotone da 200.000 acri nota come Cubbie Station, completa di quello che si dice essere il più grande sistema di irrigazione dell’emisfero sud.
Nel 2012 la Legend Holdings, la società madre dell’azienda produttrice di computer Lenovo Group, ha formato una società sussidiaria denominata Joyvio per coltivare frutta all’estero. La Joyvio ha investito nella coltivazione di mirtilli, kiwi e uva in Cile ed è alla ricerca di nuove operazioni in cui investire.
Vi è molta polemica su questi investimenti, sia in Cina che all’estero. Il governo cinese è sensibile alle critiche che gli sono rivolte per aver permesso che un numero troppo elevato di terreni agricoli finisse per essere utilizzato per costruire appartamenti e centri commerciali, e per essersi dimostrato riluttante troppo a lungo circa i cambiamenti da tempo necessari per  modernizzare il settore agroalimentare.
La dottrina del Partito Comunista sostiene che il 95% dei cereali in fornitura al paese dovrebbe essere prodotto in Cina, e nel 1960 Mao Tse-tung preferì far morire di fame la popolazione piuttosto che importare cibo. Anche se il presidente Xi Jinping si è un minimo allontanato dal concetto delle quote per l’autosufficienza cerealicola, l’ideologia di base rimane.
“Le nozioni storiche di sicurezza alimentare e autosufficienza sono un’incredibile fonte di legittimazione per il Partito Comunista. Questo, dopo tutto, è un partito di contadini che assunsero il potere durante un periodo di carestia,” ha dichiarato Jim Harkness, ex presidente dell’Istituto per l’Agricoltura e la Politica Commerciale, con sede a Minneapolis.
In un articolo pubblicato nel 2012, l’Istituto Internazionale per lo Sviluppo Sostenibile, con sede in Canada, ha confermato l’esistenza di 54 progetti cinesi all’estero, che coprono quasi 12 milioni di acri. (Land Matrix, un gruppo di attivisti che raccoglie informazioni sulla vendita dei terreni agricoli, ha scoperto che la quantità di terra coltivata oltremare dai cinesi è quasi il doppio.)
Gli investimenti cinesi in terreni agricoli assumono molte forme. Le grandi imprese statali stanno investendo in piantagioni per la coltivazione di mais, riso, manioca e sesamo in Tanzania, Senegal, Sierra Leone e Zambia tra gli altri paesi. Alcuni prodotti vengono venduti localmente, mentre altri vengono esportati in Cina.
I piccoli imprenditori cinesi hanno affittato le aziende agricole al di là del confine con la Russia come parte di un accordo con Mosca. Diversamente dall’Africa, dove i dipendenti sono locali, anche i cinesi hanno attraversato il confine con la Russia. Secondo i dati resi noti lo scorso anno durante una fiera nella provincia cinese nord-orientale di Heilongjiang, nel 2013 sono stati segnalati almeno 30.000 agricoltori a lavoro in Birobidzhan, regione siberiana ricavata nel 1930 da Josef Stalin come una Regione autonoma ebraica.
Liu Jianping, un imprenditore della provincia di Heilongjiang, che coltiva 40.000 acri nell’Estremo Oriente Russo, spiega che la Russia possiede grandi appezzamenti di terreno coltivabile, senza  un numero sufficiente di agricoltori. “I russi sono costretti a lasciare le loro terre inutilizzate,” prosegue. “Hanno bisogno di persone che sappiano coltivare”.
Tuttavia l’interesse della Cina per i terreni agricoli provoca spesso preoccupazione, evocando visioni di un drago che divora le risorse del mondo per nutrire i suoi 1,3 miliardi di abitanti.
Quando nel mese di settembre un giornale di Hong Kong pubblicò un comunicato stampa di una società cinese con organizzazione quasi militare, dicendo che intendeva coltivare fino a 11.562 miglia quadrate in Ucraina, a lungo soprannominata granaio d’Europa, si scatenò il putiferio. Un’azienda agricola con quell’estensione avrebbe un’area grande come il Belgio o l’Armenia.
In Gran Bretagna, diversi mesi fa, uscì sul Daily Telegraph un articolo dal titolo “Con i ‘furti di terreni’ la Cina ha ottenuto il controllo del 5% dell’Ucraina, la si accusa di ‘neo-colonialismo’”.
La società cinese, la Xinjiang Production & Construction Corps, rimosse rapidamente il comunicato stampa incriminato dal suo sito, e l’Ucraina pubblicò una smentita. L’accordo, tuttavia, è stato fatto, ma per una quantità molto inferiore di terreno e con un contratto di locazione della durata di 50 anni. I cinesi hanno accettato di sviluppare sistemi di irrigazione, in cambio di condizioni favorevoli all’importazione delle colture di quel terreno, principalmente del grano.
Vi sono state molte polemiche riguardo alle iniziative cinesi in Africa, la Cina è stata accusata di sfruttare il continente, già molto colonizzato. “Lo Zimbabwe è ormai colonia cinese a tutti gli effetti”, è il titolo di un articolo dello scorso novembre dello Zimbabwe Mail, sui campi di proprietà cinese di grano, soia e tabacco alla periferia di Harare, la capitale.
Molti paesi vietano la proprietà straniera, mentre in altri vi è una forte opposizione alla vendita di terreni ai cinesi. Quindi i nuovi investimenti cinesi sono sempre più strutturati come locazioni a lungo termine, oppure, in cambio di vantaggiosi prezzi di acquisto, si promette di utilizzare il potere economico della Cina per costruire infrastrutture.
“Accennare al coinvolgimento della Cina equivale a schiacciare un pulsante rosso,” afferma Deborah Brautigam, professoressa alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies di Washington. “Esiste un effetto Cina”.
La Cina è ben lungi dall’essere il più grande investitore in agricoltura del mondo. Gli Stati Uniti sono ancora al primo posto, insieme a Gran Bretagna, Corea del Sud, Malesia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Singapore, e detengono tutti investimenti maggiori o in grado di rivaleggiare con quelli della Cina.
Tuttavia la Cina sta colmando velocemente la distanza. I suoi investimenti stranieri diretti nel settore che comprende l’agricoltura (insieme alla pesca e alla selvicoltura) erano pari a 5 miliardi di dollari alla fine del 2012, quasi il doppio del 2010, secondo i dati del Ministero del Commercio.
“Solo negli ultimi due anni le grandi aziende agricole si sono spostate all’estero su larga scala, e penso che la tendenza aumenterà,” afferma Ma Wenfeng, l’analista della CnAgri. Ritiene inoltre che il problema principale sia l’inefficienza della coltivazione in Cina oggi. Secondo i dati raccolti dalla sua associazione, il riso, il mais, il grano e la soia importati sono tutti meno costosi di quelli coltivati in Cina.
“L’agricoltura in Cina è arretrata. La maggior parte degli agricoltori ha più di 50 anni, è poco istruita e cerca di guadagnarsi da vivere con 10 mu [1.65 acri] di terra”,  spiega Ma e fa notare che suo padre, a quasi 70 anni, continua a coltivare.
Crede che il governo cinese debba fornire una retribuzione che consenta agli agricoltori anziani di andare in pensione, cosicché la loro terra possa essere coltivata su scala più ampia in modo più efficiente. Fino ad allora, afferma “se si vuole coltivare con profitto, è necessario andare all’estero”. [Barbara Demick, quotidiano – a cura di agra press (gin)]

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