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La Consulta “boccia” la filiera corta della Regione Puglia per gli impianti a biomassa

Le Regioni non possono limitare la realizzazione di impianti a biomassa in area agricola, bypassando i principi fondamentali in materia di energie rinnovabili fissati dal Legislatore statale e introducendo criteri non conformi a quanto previsto a livello nazionale dal Dlgs 387/2003.

Con la sentenza dell’11 giugno 2014, n. 166, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la Legge della Regione Puglia  n. 31/2008  nella sezione che preclude la realizzazione in zona agricola di impianti alimentati da biomasse, salvo che queste ultime provenissero, per almeno il 40%, da "filiera corta", cioè da un’area contenuta entro 70 chilometri dall’impianto.

La Regione sosteneva che la norma non vietasse propriamente l’insediamento in zona agricola degli impianti, ma si limitasse bensì a «prescrivere particolari modalità gestionali», costituite dall’obbligo di alimentare l’impianto per almeno il 40% di biomassa prodotta entro 70 chilometri dalla struttura. Posto che per biomassa deve intendersi la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani (art. 2, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 387 del 2003), si tratterebbe secondo la Regione di «una scelta di politica industriale ed agricola perfettamente razionale», per garantire che l’impianto sito in zona agricola «si ponga, almeno in parte, in funzione complementare rispetto alla produzione agricola» e nel rispetto della «capacità di carico» del territorio di riferimento.

Secondo la Corte, però, «appare evidente che la norma regionale impugnata persegue un obiettivo che trascende i limiti tracciati dalla normativa statale di principio, in un ambito materiale ove la Corte ha già ravvisato la prevalenza della materia ‘energia’ (sentenza n. 119 del 2010)».

Ricorda inoltre come l’articolo 12 comma 7 del Dlgs 387/2003 consenta espressamente di localizzare gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da biomasse in zone agricole, pur dovendosi tener conto delle disposizioni in materia di sostegno del settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, nonchè del patrimonio culturale e del paesaggio rurale. Il citato art. 12, comma 7, nella parte in cui afferma la compatibilità urbanistica dell’impianto energetico con la vocazione agricola del fondo, riflette il più ampio «principio, di diretta derivazione comunitaria, della diffusione degli impianti a fini di aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili» ( vedi, sentenza n. 275 del 2012).

E dal momento che la normativa regionale in materia di energia non può discostarsi da quanto previsto dal Legislatore statale, è evidente che le "modalità gestionali" imposte dalla Regione «risultano incongruenti rispetto ai limiti consentiti dalla normativa statale di principio alla localizzazione in area agricola dell’impianto energetico» e possano quindi trasformarsi in "potenziale divieto di insediamento" nel caso in cui il territorio circostante l’impianto non sia in grado di soddisfare il requisito del 40% di biomassa da filiera corta. Per maggiori informazioni, consulta il sito http://www.fattoriedelsole.org/.

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