L’accordo commerciale Ue-Marocco mette a rischio le aree orticole
L’Unione europea ha comunicato, con soddisfazione, di aver adottato una decisione relativa ad un accordo commerciale bilaterale con il Marocco per i prodotti agroalimentari. Tale decisione deve ora essere sottoposta all’approvazione del Consiglio e del Parlamento europeo. La soddisfazione espressa dall’Ue è legata al fatto che l’accordo dovrebbe essere portatore di benefici sia per l’economia comunitaria che per quella marocchina, integrando e completando le rispettive produzioni. Ovviamente il Marocco si aspetta di poter incrementare le proprie esportazioni di prodotti ortofrutticoli freschi, mentre l’Unione ritiene di poter far crescere il commercio dei propri prodotti trasformati verso un’area di prossimità a forte crescita demografica. Il Marocco liberalizzerebbe immediatamente il 45%, in valore, delle importazioni provenienti dall’Ue, per arrivare al 70% nell’arco di 10 anni, mantenendo dei contingenti tariffari per alcuni prodotti tra cui mele e concentrato di pomodoro. L’Europa acconsentirebbe ad aprire al 55% delle importazioni dal paese che si affaccia sul bacino del Mediterraneo, rimuovendo dazi e barriere, mantenendo però sistemi di protezione per i prodotti più sensibili, quali pomodori, zucchine, fragole, cetrioli, aglio e clementine. Per questi prodotti sono state fatte concessioni in termini di contingenti tariffari, ma con il mantenimento del regime del prezzo di entrata. Come rimarcato da Coldiretti più volte, accordi di questo tipo rischiano di provocare ricadute economiche particolarmente pesanti nelle aree specializzate nella coltivazione di ortaggi, che utilizzano o meno strutture riscaldate. Preoccupa soprattutto la capacità del sistema comunitario di monitorare e far rispettare i calendari e i contingenti tariffari che troppo spesso, come denunciato più volte nel corso del 2009 e del 2010, vengono ignorati dagli operatori marocchini, oltre al fatto che gli elevati standards comunitari in termini di protezione ambientale, condizioni di lavoro e sicurezza alimentare, non avrebbero riscontro nel prodotto di importazione. Ovviamente l’Ue tende a stipulare questi accordi per aprirsi nuovi mercati e per incrementare le proprie esportazioni, siano esse di trasformati, quanto di tecnologia, servizi o altro. E’ chiaro che queste aperture, pur rappresentando opportunità economiche per il sistema europeo, mettono a repentaglio l’economia di intere aree comunitarie, spesso specializzate, quasi sempre diverse da quelle che potrebbero averne dei benefici, creando delle vere e proprie emergenze sociali. Sono infatti numerosi i territori e le imprese, soprattutto del nostro meridione, la cui economia è basata, ad esempio, sulla produzione di pomodori o di zucchine, anche nei periodi più freddi della stagione. In alcune aree si sfrutta il clima favorevole, utilizzando il riscaldamento solo in caso di gelate, o senza nessun riscaldamento. In altre zone si utilizzano serre riscaldate, per produrre ortaggi anche nella stagione fredda. Queste imprese, ad alta specializzazione, spesso poste in aree in cui l’economia agricola è l’unica risorsa, sono già state messe a forte rischio di sopravvivenza, come anche le aziende florovivaistiche, dalla decisione dell’Agenzia delle Dogane di sospendere la riduzione dell’accisa sul gasolio per il riscaldamento, fatto su cui si attende ancora la soluzione più volte annunciata da una politica troppo litigiosa ed autoreferenziale, e vedono avvicinarsi il rischio di concessioni a paesi, come il Marocco, posti sulla sponda meridionale del bacino del Mediterraneo, che hanno costi di produzione più bassi. Questi accordi sono stipulati dall’Ue sulla base di una presunta definizione di prodotti contro-stagione che non ha ragione di essere, visto l’enorme sviluppo latitudinale dei territori comunitari. Inoltre l’accordo, che potrebbe portare benefici a produzioni più continentali o trasformate, non è indolore per altri territori, perché le zone che potranno, eventualmente, aumentare la loro esportazioni, non sono le stesse che verranno interessate da una maggiore concorrenza sul mercato interno. Non si può quindi giustificare il tutto sottoforma di operazioni a somma zero o positiva per il settore agricolo o agro-alimentare. Se analizziamo i dati degli ultimi due anni, riportati nella tabella sotto, si vede come ad una crescita delle esportazioni di mele, faccia da contraltare la crescita delle importazioni di pomodori, per carità, ancora su numeri piccoli, ma le une provengono da territori diversi da quelli messi in difficoltà dalle importazioni di pomodoro. E’ poi evidente la difficoltà non solo italiana, ma comunitaria, nel tenere sotto controllo i flussi, l’applicazione corretta dei calendari di importazione, dei contingenti tariffari e dei prezzi di entrata che dovrebbero costituire la delicata alchimia a cui si demanda la riuscita di questo tipo di accordi. A dimostrazione della debolezza del sistema, si riporta la recente notizia del sequestro di oltre 22.000 kg di pomodoro proveniente dalla Tunisia che veniva commercializzato spacciandolo per siciliano, per non parlare dei casi di triangolazioni utilizzate per superare il problema dei contingenti o delle difficoltà del sistema comunitario a tenere il conto, in tempo reale, delle importazioni complessivamente registrate nei diversi punti di accesso, per far scattare gli eventuali dazi aggiuntivi. Per proteggere le economie e l’occupazione dei territori sensibili ed evitare il determinarsi di emergenze sociali in un momento economico già difficile, è assolutamente necessario che questi accordi vengano sospesi o, quanto meno, siano prima studiati meccanismi di maggiore tutela di quelli prospettati, vi siano meccanismi compensativi per i territori danneggiati e sia immediatamente ripristinata l’accisa-zero per il gasolio destinato al riscaldamento delle serre. SCAMBI ORTOFRUTTICOLI FRESCHI ITALIA/MAROCCO
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