L’Usda, il Dipartimento all’agricoltura degli Stati Uniti, taglia al ribasso le previsioni di un boom di importazioni di cereali dalla Cina. La notizia è apparsa sul prestigioso quotidiano britannico Financial Times, secondo il quale la "tigre asiatica" non diventerà il maggior importatore mondiale di prodotti cerealicoli.
Lo scorso anno, il Dipartimento all’Agricoltura degli Stati Uniti pensava che la Cina era destinata a diventare il maggior importatore mondiale di cereali. Ma l’aumento delle scorte, e la contrazione della domanda, hanno portato l’agenzia americana a riconsiderare la cosa, e a correggere al ribasso le sue previsioni. Le stime di lungo periodo dello scorso anno, che, per il 2023/2024, facevano riferimento a importazioni per 22 milioni di tonnellate, sono state portate a 6,5 milioni.
"Negli ultimi 18 mesi, il quadro generale e’ profondamente cambiato", ha dichiarato Fred Gale, economista dell’Ecomic Research Service del Dipartimento all’Agricoltura degli Stati Uniti.
L’aumento della domanda di mais estero, in particolare statunitense, registrato nel 2011, e nel 2012, ha portato gli analisti, sia all’interno, sia all’esterno, del paese, a prevedere che la Cina sarebbe diventata un importatore netto del cereale, che viene utilizzato soprattutto come mangime per il bestiame e per il pollame, e negli alimenti lavorati.
Ma cosa e’ successo?
Dopo i raccolti record del 2012 e del 2013, e un forte calo del consumo, la Cina si e’ ritrovata con enormi scorte di mais.
"Ci vorranno anni perche’ la Cina possa disporre di scorte cosi’ abbondanti", spiega l’agenzia americana nel suo ultimo rapporto concernente le importazioni agricole del paese.
A parte le condizioni meteorologiche favorevoli, la storia dietro l’aumento delle scorte cinesi e’ ben nota agli operatori commerciali attivi nel settore dello zucchero e del cotone. Le politiche cinesi a sostegno dei produttori agricoli comportano un prezzo di sostegno del mais piu’ alto, rispetto al prezzo internazionale. Tutto cio’ incoraggia non solo la produzione interna, ma anche le importazioni, per via del calo dei prezzi cerealicoli globali.
Anche le scorte sono aumentate, poiche’, nell’anno commerciale 2013/2014, le autorita’ hanno acquistato mais interno per sostenere il mercato, portando le riserve ufficiali di mais a 100 milioni di tonnellate, pari a circa la meta’ del consumo nazionale annuo.
Un altro fattore e’ costituito dall’impennata delle importazioni cinesi di sorgo e di orzo, utilizzati come sostituto del mais, spiega Gale. Secondo i dati diffusi dal Dipartimento all’Agricoltura degli Stati Uniti, nell’anno commerciale 2014/15, le importazioni cinesi di sorgo e di orzo – che, a differenza di altri cereali, non hanno quote di importazione – sono arrivate a 11,5 milioni di tonnellate, contro quota 1,7 milioni di tonnellate del 2010/11.
Sebbene le autorita’ abbiano messo all’asta 63 milioni di tonnellate di mais, per cercare di ridurre le scorte del paese, solo 25 milioni di tonnellate sono state, in realta’, acquistate, spiega il Dipartimento all’Agricoltura. Nonostante cio’, Pechino ha annunciato che, per sostenere il prezzo della commodity, procedera’ all’acquisto di mais del raccolto del 2014. Le scorte di mais hanno, oggi, toccato il picco massimo degli ultimi 14 anni.
I funzionari del governo considerano le importazioni agricole come inevitabili, ma sembrano anche non fidarsi dei mercati internazionali, secondo il Dipartimento all’Agricoltura. (…)
"La strategia sulla sicurezza alimentare e’ fortemente influenzata dalla percezione di un predominio delle aziende straniere nel settore cinese della soia, descritto come una potenziale minaccia per l’offerta di soia del paese", ha detto.
Questa posizione aiuta a comprendere le decisioni prese dalla Cina negli ultimi anni.
Innanzitutto, ha diversificato le fonti di approvvigionamento, per consentire agli importatori del paese di avere un maggior potere contrattuale, e per ridurre i rischi provenienti da un possibile embargo commerciale.
Per esempio, le autorita’ cinesi hanno aperto il mercato al mais dell’Argentina e dell’Ucraina, nel 2012, quando le importazioni provenienti dagli Stati Uniti hanno iniziato a diminuire.
Secondo, la Cina sta cercando di ottenere un maggior controllo sulle sue catene di approvvigionamento agricolo, attraverso investimenti all’estero. La decisione della China National Cereals, Oil and Foodstuffs Corp (COFCO) di acquistare una quota azionaria della joint-venture agricola con il Noble Group, e di acquisire il pacchetto di controllo dell’olandese Nidera, sembra seguire questa strategia.
Un aumento degli investimenti all’estero offrira’ una quota di profitti maggiore alle aziende cinesi, consentira’ di avere forniture affidabili per il mercato interno, e portera’ ad avere maggiore influenza sui prezzi internazionali, si legge nel rapporto. [Emiko Terazono, quotidiano – a cura di agra press]