il Punto Coldiretti

Marini: “Fermare chi specula sul cibo”

Di curioso c’è che anche se il prezzo dei cereali cresce del 70% in un anno, ai contadini non ne viene quasi niente. Le quotazioni di riso, mais e grano che sentiamo ripetere da settimane sono stratosferiche anche nel senso che si muovono sopra la testa degli agricoltori.

Presidente della Coldiretti Sergio Marini, ancora ieri la Fao ha rilanciato l’allarme sui prezzi degli alimentari. È una situazione fuori controllo?

C’è molta volatilità, soprattutto sui cereali. È qualche anno che succede. Poi gli allarmi sono forse esagerati, perché se andiamo a vedere i prezzi l’aumento è sì fortissimo rispetto a un anno fa, ma siamo del 30-40% sotto i picchi massimi toccati nel 2008. Il problema è che questo mercato è rigidissimo, sia sul fronte della offerta che su quello della domanda. Basta una piccola variazione e le quotazioni si impennano.

Gli ultimi rincari come si spiegano?

C’è qualche problema sul lato dell’offerta, raccolti deludenti in alcuni mercati chiave, gli incendi che hanno colpito la Russia. Ma non basta a spiegare quello che sta succedendo. Secondo i nostri calcoli metà degli aumenti di prezzo sono dovuti alle manovre degli speculatori, lasciati a giocare sul mercato delle materie prime alimentari come se vendessero e comprassero oro o azioni. Il fatto che il mercato sia rigido, e quindi con quotazioni facili da influenzare, li agevola molto. Qualcuno dovrebbe fermarli.

Ha già in mente chi potrebbe farlo?

I mercati sono internazionali, quindi deve muoversi un’autorità globale. Serve una politica antispeculazione, che limiti il traffico di contratti derivati e futures sulle materie alimentari. Parliamo di cibo, di fame. Non scordiamoci che la scintilla delle rivolte nel mondo arabo è venuta dai prezzi del pane. Al mercato deve essere impedita tanta volatilità, che fa male ai consumatori ma anche agli agricoltori.

La produzione di biocarburanti che ruolo ha in questa volatilità continua?

I biocarburanti pesano, perché sottraggono una grossa quantità di raccolto. Anche eticamente non condivido l’idea di ridurre la produzione di cibo per fare più carburante. Sta davvero diventando un problema, anche da noi: nella Pianura padana il mais prodotto per i carburanti toglie terreno, cibo e lavoro. Incentivarne tanto la produzione, quando le coltivazioni non riguardano solo prodotti residuali, è un errore.

Chi ci guadagna devvero se i prezzi salgono?

Le quotazioni dei cereali si impennano sempre quando i raccolti sono già terminati e il prodotto è già stato venduto ad altri prezzi. Non è l’agricoltore che ci guadagna, anche se sul lungo periodo anche i suoi listini lievitano. Però devo aggiungere che gli aumenti, entro certi limiti, erano indispensabili, perché i prezzi di alcuni prodotti alimentari, ad esempio il grano tenero, l’anno scorso erano scesi così tanto che in molti in Italia non hanno nemmeno seminato. Era più facile perderci che guadagnarci.

E i clienti finali?

Da noi c’è un problema di filiera. La carota raccolta dal contadino prima di arrivare a tavola è passata di mano anche 5 o 6 volte lungo la filiera. Ogni passaggio ha il suo costo. Noi puntiamo ad avvicinare gli agricoltori e i loro clienti finali. Come stiamo facendo con i ‘Farmers market’ , che stanno avendo successo in tutt’Italia, e come presto faremo nei punti vendita ‘Campagna amica – La bottega’, che saranno una forma di distribuzione più simile a quella di un supermercato, ma con gli agricoltori protagonisti.

I vostri costi di produzione intanto sono saliti anche a gennaio. Dobbiamo prepararci a nuovi aumenti?

I nostri costi stanno salendo soprattutto a causa della corsa dei prezzi dell’energia. Probabilmente saliranno ancora. Ma la filiera è così lunga che è capace di attenuare gli effetti degli aumenti: calcoliamo che a un costo di produzione agricolo che cresce del 10% corrisponde circa un aumento dell’1,7% dei prezzi finali. Non è un caso che gli alimentari segnino tradizionalmente aumenti inferiori alla media dell’inflazione.

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