il Punto Coldiretti

Pac, una politica per le imprese contro le rendite fondiarie

Il 22 febbraio è uscito un documento di proposte della filiera agroalimentare italiana intitolato “La Pac dopo il 2013”, la cui rilevanza politica si segnala per almeno tre motivi.
1) La rappresentatività, essendo il documento sottoscritto da tutte le organizzazioni agricole, centrali cooperative e sindacati, con la sola esclusione di Federalimentare.

2) La tempestività, giacché il documento esce proprio mentre si sta elaborando la posizione italiana sulla Pac, offrendo un riferimento prezioso e ineludibile: da un lato, infatti, esso rende più agevole costruire una piattaforma negoziale; dall’altro, toglie qualunque alibi a un’eventuale inerzia politica su questo fronte.

3) Ma soprattutto la presenza di contenuti veri, poco annacquati dall’esigenza di non scontentare nessuno, come invece spesso accade in documenti unitari, la cui importanza sta nel fatto di averli scritti e nel numero di firme raccolte, più che nelle cose dette.
Intendiamoci, nel documento non manca qualche ambiguità, probabilmente frutto di un complicato lavoro di mediazione; ma in poche pagine esso espone con chiarezza il modello di agricoltura e di Pac che lo ispira.

Tralasciando i temi su cui la posizione italiana è scontata (difesa del budget della Pac e della quota italiana, distribuzione delle risorse tra Paesi con criteri diversi dalla superficie, quali Plv, valore aggiunto, lavoro), quali sono i punti più rilevanti?

Innanzitutto, c’è l’idea forte di una rinnovata centralità nella Pac delle imprese agricole. E tale centralità, insieme ad alcuni passaggi sullo sviluppo rurale, di cui si rivendica esplicitamente una caratterizzazione più “agricola”, può sembrare la riproposizione di un vecchio modello di agricoltura monofunzionale, concentrata sulla produzione di beni e indifferente (quando non addirittura insofferente) a vincoli ambientali, sociali e territoriali.

Anche se non si può escludere la presenza di un’anima di questo tipo, nel documento emerge un’idea molto meno semplicistica secondo la quale, per incentivare la produzione di beni pubblici da parte degli agricoltori e tener conto di dimensioni diverse dalla sola produzione di alimenti e materie prime, è necessario inglobare tali dimensioni nel comportamento delle imprese agricole; in questo senso è coerente la scelta di concentrare l’intervento su di esse, specie nella qualificazione che ne dà il documento, di imprese agricole singole o associate, legate al territorio, capaci di produrre in modo sostenibile in filiere corte e trasparenti che garantiscono sicurezza, qualità e informazione ai consumatori.

Un altro punto importante riguarda i pagamenti diretti, e in particolare la “piena consapevolezza che l’attuale sistema basato sul criterio storico vada superato, anche per contrastare posizioni di rendita fondiaria” (il corsivo è nostro). Dunque, luce verde alla regionalizzazione, anche senza nascondersi la difficoltà di gestire la forte redistribuzione dei pagamenti che essa comporterà in un’agricoltura differenziata come quella italiana e richiedendo, quindi, adeguata gradualità e flessibilità.

Sulle misure di mercato il documento prova a dare qualche indicazione, richiamando strumenti vecchi e nuovi (assicurazioni, contrattualistica, reti di sicurezza, stoccaggio privato, interventi mirati tipo Art. 68), ma su questo tema, riportato alla ribalta dalle fluttuazioni dei prezzi e sul quale la Commissione Ue è latitante, è evidente la necessità di una discussione più approfondita per la ricerca di strumenti efficaci e non distorsivi.

Infine, c’è la ripresa dello spunto contenuto nelle proposte della Commissione del novembre scorso, per una Pac rivolta agli agricoltori “attivi”: il documento li individua nelle “imprese agricole che sono orientate al mercato e operano sul territorio, anche attraverso forme di aggregazione e integrazione, che in modo professionale creano reddito e producono alimenti ed effetti positivi per la società”. Una formulazione un po’ ambigua, ma che fa qualche passo avanti rispetto alla generica indicazione della Commissione e contiene alcune parole-chiave utili per pervenire a una definizione più operativa.

In sintesi, i punti forti sono l’apertura alla regionalizzazione, l’enfasi sugli agricoltori attivi, il richiamo a strumenti di regolazione dei mercati autogestiti dai produttori. In ogni caso, il documento della filiera è una novità positiva da salutare con ottimismo, come utile passo verso una posizione italiana con cui prima negoziare e poi applicare la futura Pac.

Fabrizio De Filippis
Coordinatore del Gruppo 2013 – Direttore Dipartimento di Economia Università Roma Tre

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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