il Punto Coldiretti

Pesche, una crisi che viene dall’estero e dalla Gdo

Nel complesso di un 2009 di crisi per le produzioni ortofrutticole, spicca, in senso negativo, la situazione delle pesche, per certi versi paragonabile a quella del 2005. Analizzando l’andamento dei prezzi rilevati da Ismea (media sulle diverse piazze per il complesso pesche e nettarine), si vede come i prezzi medi di quest’anno siano solo di poco superiori al 2005 ed al 2004 ma, ovviamente, con i costi di produzione del 2009 (vedi tabelle).

E’ ancora presto per poter analizzare la situazione, mancando ancora tutti i dati relativi al raccolto e all’andamento dell’import/export e consumi. Ma qualche riflessione possiamo già farla, basandoci sui dati di giugno, in attesa dei dati dell’intera campagna.
Innanzitutto possiamo vedere che la voce “pesche” nei primi 6 mesi del 2009 ha fatto registrare una crescita delle importazioni, passate da 32,6 milioni di chilogrammi a 41 milioni di chilogrammi (+26%) ed un calo delle esportazioni, passate da 51 a 36,8 milioni di chili (-28%). In sostanza, almeno teoricamente, a parità di raccolto sul nostro mercato c’erano a giugno circa 22,6 milioni di chilogrammi in più di pesche rispetto al giugno 2008, dato da incrementare se il raccolto del periodo è stato più abbondante del 2008, da ridurre in caso contrario.

La prima domanda è scontata: da dove vengono queste pesche? Dando per certo che i dati Istat siano attendibili in quanto a quantità e a provenienza (fatto che le manifestazioni di Coldiretti alle frontiere hanno quanto meno fatto vacillare, visto che si possono trovare prodotti che arrivano dall’estero già etichettati come italiani), circa 6,3 milioni di chilogrammi pesche proverrebbero dalla Spagna, 1 milione dalla Francia, quantità minori da altri paesi.

La seconda domanda è  altrettanto scontata: dove non sono andate le nostre pesche?
Facciamo un passo indietro. Nei dati viene riportato il livello delle esportazioni italiane di pesche nel 2008 (vedi tabelle). E’ evidente il peso preponderante del mercato tedesco, che ha assorbito il 42% delle nostre esportazioni di pesche nel 2008. A giugno 2009 sono aumentate le esportazioni di pesche italiane in Austria (+0,8milioni di chili), in Lituania (+170.000 chilogrammi), Polonia (+260.000 chili), Romania (+300.000 kg), Russia (+560.000 kg), Slovacchia (+150.000 kg), Ucraina (+200.000kg), ma è chiaro che pesa troppo la crisi del mercato tedesco con un calo di 7 milioni di chilogrammi rispetto alle esportazioni del giugno 2008.

C’è una terza domanda che, ingenuamente, si potrebbe porre: ma chi ha deciso di importare in Italia, 1° paese produttore europeo, oltre 8 milioni di pesche a giugno? E quante di queste pesche sono state vendute come pesche spagnole o francesi e non come pesche italiane?

I dati, si ripete, sono solo parziali, però alcune conclusioni possiamo trarle.
Emerge con chiarezza l’inadeguatezza delle misure di prevenzione e gestione delle crisi previste dalla recente riforma dell’Ocm ortofrutta in presenza di situazioni di mercato gravi come quelle affrontate nel 2009; situazioni oltretutto non determinate da problemi “agricoli” in senso stretto (quale ad esempio una annata di produzione eccezionale per quantità), ma dal calo dei consumi in conseguenza della crisi economica generale, cui si aggiungono comportamenti opinabili da parte dei distributori, Grande distribuzione in primis, tra cui vendite sottocosto e promozioni “strane”.

Vanno aumentati i controlli sulla corretta etichettatura delle pesche, ma anche degli altri prodotti ortofrutticoli, che spesso migliorano la loro immagine “spacciandosi” per italiani. Il Legislatore deve  poi trovare una soluzione ai rapporti troppo squilibrati con la grande distribuzione, ad una contrattualistica medioevale criticata anche dal Parlamento europeo: a chi produce non possono rimanere solo briciole che non coprono i costi di produzione. Infine, dobbiamo recuperare il mercato tedesco, ma allo stesso tempo riuscire a differenziare le destinazioni per ripartire maggiormente il rischio.

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