Nei paesi industrializzati il ritorno dei giovani alla terra sta diventando un fenomeno ormai generale. Sulla tendenza in Italia Coldiretti presenterà un’analisi approfondita in occasione del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, in programma a Cernobbio, sul lago di Como, venerdì 19 e sabato 20 ottobre. Ma anche in Spagna si sta verificando una storica invesione di tendenza, come racconta un articolo apparso sul quotidiano El Pais.
La terra e’ diventata la forma di sopravvivenza di molti laureati spagnoli. Dopo anni in cui molti giovani guardavano all’agricoltura e all’allevamento con disinteresse, la politica di rigore estremo a cui e’ soggetta la Spagna, e le sue conseguenze devastanti, hanno portato un numero crescente di giovani con istruzione superiore a considerare l’agricoltura come uno sbocco professionale, in un movimento che non era mai esistito nel nostro paese. Ne’ in questo modo ne’ con questa intensita’.
I numeri forniti da Asaja (l’Associazione agraria dei giovani agricoltori), citati dal presidente, Pedro Barato, mostrano che negli ultimi cinque anni 2.500 giovani sono entrati in agricoltura in Castiglia e Leon, mentre in Castiglia-La Mancha, tra il 2000 e il 2010, i nuovi agricoltori sono stati 8.764. Crescono le vocazioni agricole, in parte a causa del crollo del mattone, in parte per necessita’. Ma ci sono altre ragioni. "La gente vuole lavorare in un’attivita’ basata sull’economia reale e, inoltre, vivere in campagna e’ piu’ conveniente che vivere in una citta’", riflette Pedro Barato. "Quello che cercano veramente e’ una vita diversa." Pertanto, questo esperto ritiene che "arrivi aria nuova in agricoltura".
Questi venti vengono anche dall’Unione Europea, dove il tasso medio di incorporazione nella popolazione agricola e’ del 6,4% rispetto al 4% spagnolo. Quindi questo movimento di ritorno, che sta vivendo anche il Portogallo, ha ancora spazio per crescere in Spagna, dimostrando che il settore e’ nel mezzo di un cambiamento strutturale radicale. Tanto che ci sono ormai alcune prove evidenti di questa trasformazione. "La coltivazione di fragole a Huelva in questa campagna e’ aumentata in conseguenza dei laureati che sono tornati in campagna", dice Eduardo Lopez, responsabile dei rapporti di lavoro per il Coordinamento delle organizzazioni di agricoltori e allevatori (Coag).
E intanto alcuni luoghi comuni stanno cadendo. Se il canone tradizionale ci parla di un agricoltore spagnolo generalmente di sesso maschile, di eta’ avanzata (secondo l’Ine, l’Istituto di statistica, ci sono 167mila agricoltori che hanno piu’ di 49 anni) e poco esperto con le tecnologie dell’informazione o le nuove tecniche agricole, casi come quello di Miguel Minguet, Juan Luis Gonzalez, Maria del Mar Ferral o Miren Belate dimostrano che gradualmente un altro tipo di agricoltore cerca il suo posto nei nostri campi.
Oggi c’e’ chi ha gia’ dato un nome a questo movimento: "nuovi contadini". Cosi’ racconta Gustavo Duch, coordinatore della rivista "Sovranita’ Alimentare", che tratteggia anche un ritratto di questi nuovi agricoltori. "Queste persone che tornano in campagna credono in aziende agricole piccole e sostenibili, la cui base sono le colture biologiche. Inoltre, non vogliono utilizzare le sovvenzioni agricole europee o dipendere dalla grande distribuzione per vendere i loro prodotti; ricercano il contatto diretto (con i consumatori) e la distribuzione via Internet".
Miguel Minguet e’ un giovane (37 anni) ingegnere industriale formato in Inghilterra che ha nel riso il suo spazio professionale. Coltiva 16 varieta’ diverse nel parco nazionale della Albufera (Valencia), e "nella sua vita passata" era stato consulente tecnologico, aveva lavorato per la Ford. Ma nel 2008 ha dovuto prendere una decisione. Oppure ritornava nella fattoria di famiglia, in questo paesaggio privilegiato di Valencia, o l’azienda avrebbe chiuso. Suo padre e’ ormai anziano e ha dovuto trovare il ricambio. Quattro anni dopo raccoglieva un milione e mezzo di chili di riso. "Ci sono molti giovani che stanno tornando nei campi, ma ce ne sono altri che semplicemente non sono andati via," dice Minguet.
Questo movimento arriva al 6% della popolazione agricola nell’Unione europea.
Il senso di appartenenza o di attaccamento a una zona geografica, ma anche culturale, tocca anche Miren Belate. Una donna di 32 anni di Pamplona che dal 2009 ha a Ilarregui (Navarra) un’azienda di 40 ettari con 75 vacche da latte. In queste terre verdi e ripide produce annualmente 340 mila litri di latte, che vende tutte a Danone. Per lei, "il lavoro e’ vita, e il bestiame e’ una vita felice" riassume energica. Ha lasciato alle spalle quattro anni come avvocato che ora, con il tempo, sembrano una nuvola nera nella memoria. Non e’ stato facile. "Mi e’ toccato di sentire spesso la frase ‘Questa ragazza e’ pazza’, ma per me l’allevamento non era solo una risposta alla crisi, ma soprattutto una vocazione", dice. "E’ stato un modo di dare uno sbocco alla terra e al lavoro in campagna che mia madre ha portato avanti per anni".
In fondo e’ un modo di intendere l’agricoltura e di ricordare, come indicato da Gertjan van der Geer, gestore del fondo di investimento Pictet Agricoltura, "che le buone pratiche migliorano la qualita’ dei terreni agricoli, riducono l’impiego dei beni strumentali di produzione agricola e diminuiscono i costi".
Ma forse una delle lezioni piu’ interessanti che lascia questo nuovo approccio e’ che non solo risponde ai condizionamenti economici, ma "e’ accompagnato da una ideologia politica e un pensiero sociale che difende la vita di campagna e i valori ad essa associati e di cui, per inciso, tutti abbiamo bisogno ", dice Gustavo Duch. (…)
[Miguel Angel Garcia Vega, quotidiano – a cura di agra press]