il Punto Coldiretti

Rapporto Coldiretti-Eurispes, da agromafie un giro d’affari di 12,5 miliardi

Il volume d’affari delle agromafie, ovvero delle attività della criminalità organizzata nel settore agroalimentare, ammonta oggi a 12,5 miliardi di euro (il 5,6% dell’intero business criminale). E’ quanto emerge dal Primo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia realizzata da Coldiretti e Eurispes e presentata a Roma.

L’iniziativa, svoltasi a Palazzo Rospigliosi, ha visto la presenza del presidente di Coldiretti, Sergio Marini, e di diversi autorevoli magistrati: dal procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso a Donato Ceglie, della Procura della Repubblica di S. Maria Capua Venere, da Luca Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, a Raffaele Guariniello (Procura della Repubblica di Torino), fino ad Antonio D’Amato (Procura della Repubblica di Napoli) e Vincenzo Macrì (Procuratore Generale della Repubblica di Ancona).

Presenti con il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, anche il Generale di Divisione della Guardi di Finanza, Luciano Carta; il Generale Cosimo Piccinno, dell’Arma dei Carabinieri; Giuseppe Peleggi, Direttore Generale Agenzie delle Dogane; Giuseppe Serino, Ispettore. Capo del Dipartimento Repressioni Frodi Mipaaf; Giuseppe Vadalà, primo dirigente del Corpo Forestale dello Stato.

Secondo i dati del Rapporto, del fatturato complessivo 8,8 miliardi di euro provengono da attività illecite (frode con appropriazione di finanziamenti comunitari, contrabbando, sofisticazione, contraffazione, caporalato, evasione fiscale e contributiva), mentre 3,7 miliardi arrivano da in reinvestimenti in attività lecite.

Le attività criminali nel settore agroalimentare partono da un primo livello rappresentato da usura, estorsioni, abigeato e furti (in cui si registra un incremento nell’ultimo triennio di circa il 48%), per passare poi a un secondo livello con il controllo della manodopera (attraverso il caporalato) soprattutto di matrice straniera e clandestina, le contraffazioni alimentari (soprattutto nel settore degli oli), lo stoccaggio illecito di rifiuti e, in generale, il controllo del territorio per finalità proprie delle organizzazioni mafiose. Infine, il terzo stadio è costituito dal riciclaggio di danaro sporco, soprattutto quando la criminalità organizzata si è inserita in altri nodi strategici della filiera, come quello dei trasporti. Ma l’obiettivo ultimo di questo processo è il drenaggio illegale di fondi pubblici.

Il tutto con gravi ripercussioni sull’economia e sulla società: concorrenza sleale verso gli imprenditori agricoli, perdita della qualità prodotti e dell’occupazione, anche a causa della delocalizzazione, omologazione dei consumi, capacità di manipolare i prezzi finali con danno per i consumatori. 

Secondo l’ultima relazione del Commissario Straordinario, sono oltre 10mila i beni, tra immobili e aziende, confiscati dallo Stato alla criminalità organizzata, e di questi il 45% sono costituiti proprio da possedimenti agricoli. Dopo la costituzione dell’Agenzia Nazionale dei beni sequestrati e confiscati, vi è stata un’accelerazione nelle confische definitive. Su 1.323 aziende definitivamente confiscate, 87 risultano operare nel settore “agricoltura e servizi connessi”, mentre, su 9.660 beni confiscati, 1.941 (20%) sono rappresentati da terreni agricoli.

Ad aggravare la situazione contribuisce la mancanza di un’etichettatura trasparente su tutti gli alimenti in commercio, poiché la legge sull’etichettatura obbligatoria dell’origine approvata lo scorso 18 gennaio dopo il pressing di Coldiretti attende i decreti applicativi. Accade così che, secondo il Rapporto Coldiretti-Eurispes, il 33% dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati (per un valore di 51 miliardi di euro) deriva da materie prime importate e rivendute col marchio made in Italy.

In questa situazione c’è spazio per comportamenti criminali dagli effetti gravissimi sia per la salute delle persone che per l’attività economica delle imprese. E’ il caso, ad esempio, dello scandalo dei mangimi alla diossina in Germania che hanno contaminato allevamenti di polli, uova e maiali venduti in tutta Europa.

Da qui l’importanza delle attività di controllo che fa del made in Italy a tavola il settore più sicuro in assoluto. Nel 2010 oltre 33mila ispezioni sono state effettuate nel settore alimentare dai carabinieri del Nas, il Nucleo Antisofisticazione dei Carabinieri, mentre sono state 4451 le infrazioni penali riscontate, 16.140 le sanzioni amministrative, 2472 le persone segnalate all’autorità giudiziaria e di queste 47 arrestate. I militari dell’Arma hanno anche chiuso 1275 strutture, sequestrato quasi 11mila tonnellate di generi alimentari e 12,9 milioni di litri di bevande.

Ma a fare danni, soprattutto all’estero, è anche il fenomeno dell’italian sounding, i prodotti che ricordano nel nome o nella confezione il made in Italy pur essendo fatti con materia prima estera. Un giro d’affari che supera i 60 miliardi di euro all’anno (164mln al giorno), due volte e mezzo il valore dell’export agroalimentare. Secondo il rapporto Coldiretti-Eurispes, per riportare in pari la bilancia del commercio con l’estero basterebbe recuperare quote di mercato per appena il 6,5% del valore dell’italian sounding.

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